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stazio-adrianadi Adriana Stazio - 23 gennaio 2015
E’ del 19 gennaio scorso la notizia del rinvio a giudizio per diffamazione del maresciallo Saverio Masi, attualmente caposcorta del pm Di Matteo, del luogotenente Salvatore Fiducia, del loro avvocato Giorgio Carta e di ben otto giornalisti del calibro di Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco, Antonio Padellaro.
I giornalisti sono accusati di aver diffamato alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, per aver riportato nei loro articoli o servizi televisivi le accuse dei due sottufficiali, accuse rese davanti all’AG e quindi oggetto di indagini della magistratura. Si ritrovano imputati per aver esercitato il loro diritto-dovere di cronaca. In un Paese che solo pochi giorni fa si è mobilitato da destra a sinistra al grido di “Je suis Charlie”. Forse solo quando Charlie riguarda altri Paesi ed è attaccato da poteri ostili a chi ci governa? Eppure la querela per diffamazione è troppo spesso la nuova arma più silenziosa ed efficace del piombo per zittire le voci scomode di chi cerca semplicemente di fare informazione.
Anche l’avvocato Giorgio Carta risponde di concorso in diffamazione con i suoi assistiti, ma per quali fatti? Per aver tenuto nel suo studio, insieme al suo collega Desideri, una conferenza stampa in cui i due legali illustravano le denunce sporte dai loro assistiti all’AG, usando esattamente come i giornalisti, sempre la formula dubitativa dovuta al fatto che le loro parole facevano riferimento ad accuse mosse dagli assistiti ancora al vaglio della magistratura. Caso strano, l’avvocato Desideri, che poco dopo lasciò la difesa dei due sottoufficiali, non risulta essere stato mai indagato per quell’episodio, mentre la denuncia è scattata solo per l’avvocato Carta che continua a difendere i suoi clienti. L’intera conferenza stampa si trova sul sito di Radio Radicale. Anche qui possiamo notare come l’avvocato stia pagando per aver semplicemente esercitato il diritto di difesa nel modo che riteneva più appropriato nell’interesse dei suoi assistiti. Eppure non ci sono state prese di posizione a sua difesa da parte della categoria forense, sempre così attenta ad autotutelarsi.

Ma veniamo ai due carabinieri, perché se riguardo agli altri imputati è lampante come in presenza di un’indagine in corso proprio sugli ufficiali querelanti, la diffamazione non sussista se si riportano semplicemente i contenuti di quell’inchiesta, per quanto concerne Masi e Fiducia, essi non hanno né rilasciato dichiarazioni alla stampa, né erano – come erroneamente riportato da alcuni giornali – presenti in conferenza stampa e non si riesce a comprendere in cosa sia consistito il loro concorso nel reato. Sia i giornalisti che l’avvocato fanno riferimento alle denunce presentate dai due sottoufficiali presso l’autorità giudiziaria e ai verbali resi nelle sedi competenti. In ogni caso, il punto principale non è nemmeno questo, ma prima ancora che, indipendentemente da ciò, è ben singolare che qualcuno sia rinviato a giudizio per il reato di diffamazione mentre sulle proprie denunce sono in corso indagini della magistratura, senza attenderne prima l’esito.
Abbiamo assistito alla scrittura di un’altra brutta pagina della giustizia italiana. Il problema non è tanto chi usa la querela a scopo intimidatorio, ma il fatto che ci siano procure e giudici che possano dar seguito a tali querele. Diventa sempre più difficile scrivere o denunciare alla magistratura con la spada di Damocle di subire querele solo per aver esercitato il diritto di cronaca o per aver fatto il proprio dovere di cittadino. Ma è nostro dovere non fermarci davanti al restringimento degli spazi democratici e difendere la libertà contro un sistema che cerca di isolare, delegittimare e far mollare oppure distruggere chiunque gli si opponga.

Tratto da: loraquotidiano.it

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