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roma-altare-della-patriadi Pietro Orsatti - 5 dicembre 2014
Quello che emerge dalle carte è un’enormità. Il sistema di collegamento, almeno una parte, fra organizzazioni criminali, ex eversione nera, politica, imprendintori e qualche servitore infedele dello Stato è stato duramente colpito. L’uomo d’ordine, Massimo Carminati, l’amminsitratore delegato della Mafie spa (come lo avevamo definito nel libro Grande Raccordo Criminale) e il suo cerchio magico sono emersi con chiarezza mettendo in discussione l’intero sistema di potere politico-mafioso che ha in mano la città.

Ma gli altri protagonisti della Roma criminale dove sono? Dov’è la ‘ndrangheta, ad esempio, che a Roma è presente da decenni e conta forse di più di quanto si immagini? Dove sono i siciliani di Cosa nostra, i camorristi napoletani e i casalesi, le organizzazioni “ibride” come quella di Fasciani ad Ostia, la Banda della Magliana (che ormai nessuno si azzarda a dire che sia finita con la morte di De Pedis)? Dov’è la potentissima mafia russa che teneva summit internazionali e acquisiva i pezzi più pregiati della città? Dove sono le altre organizzazioni dell’est europa e dei Balcani? Dove sono finite le organizzazioni cinesi?

Scrivevamo nel libro Grande Raccordo Criminale (pubblicato a febbraio scorso)

Un sistema che, dopo gli anni ruggenti della banda della Magliana e delle ricadute anche sulla Capitale delle stragi del ‘92 e ‘93, ha deciso di assumere un profilo militarmente basso e intanto di spartirsi aree e interessi, di investire nell’economia reale e, anzi, di diventare soggetto economico direttamente. Con le organizzazioni in concorso fra loro. La Mafie s.p.a., appunto. Una holding che riprende in mano, se mai l’avesse lasciato, un rapporto con pezzi dell’economia, della politica e dello Stato.
Perché le mafie, praticamente tutte quelle italiane e anche quelle straniere, operano da decenni all’ombra del Cupolone. Si sono insediate, si sono mimetizzate sotto la copertura di attività legali, hanno riciclato denaro sporco attraverso una rete impressionante di operazioni immobiliari, finanziarie, imprenditoriali, sono diventate in molti casi riferimento accettato, se non addirittura incluso, nel tessuto produttivo. Il mercato locale della droga gestito dai Fasciani e da Michele Senese, i Casamonica pronti a qualsiasi violenza, i sopravvissuti della Banda che hanno intrecciato rapporti di dare e avere, la ‘ndrangheta che si è mangiata, con la complicità di istituti di credito, assicuratori e notai, ristoranti, hotel cinque stelle e persino l’Antico Caffè Chigi, affacciato su 23piazza Montecitorio, e il simbolo della Dolce Vita di via Veneto, il Café de Paris, investendo il capitale del traffico
di cocaina a livello globale. E poi l’usura, con il business dei “cravattari” che non conosce crisi. Un giro d’affari nel Lazio di almeno tre miliardi di euro l’anno, pari a un terzo di tutte le attività economiche della regione. La criminalità, unica banca possibile per molti, sempre pronta a “soccorrere” a braccia aperte imprenditori e famiglie in difficoltà, applicando tassi record anche del 1500 per cento annuo, fino a subentrare con partecipazioni societarie e a prendersi le attività. E ancora gli appalti pubblici, da avere senza gara, la torta della Metro C, la più importante opera infrastrutturale che si sta realizzando in Italia, le dismissioni del patrimonio del Comune. Miliardi di euro che vengono spartiti tra tutte le associazioni criminali, sorvegliate da qualcuno che guarda all’alto cosa accade.
Perché la Roma criminale abbasserebbe il capo davanti al suo re ”nero”, Massimo Carminati. Da appartenente a organizzazioni di stampo terroristico di estrema destra a presunto killer della banda della Magliana, secondo l’accusa del processo sull’omicidio Pecorelli ma con tutti gli altri imputati – fra i quali figurava prima di tutto Giulio Andreotti – assolto, oggi sarebbe lui, come emergerebbe da testimonianze, il broker in grado di mediare i conflitti della Mafie s.p.a. capitolina, arbitro di vita e di morte, ingrado, se fosse confermato lo scenario che più volte è stato disegnato attorno al suo percorso, di decidere omicidi e di tessere relazioni con istituzioni e aziende di Stato.
Massimo Carminati sempre a un passo dall’ergastolo e sempre scagionato.
Non un’infiltrazione, ma un sistema. Mafie s.p.a. è diventato potere reale e condizionante di tutto quel che avviene sotto il Cupolone, dalle borgate ai palazzi del potere, da Ostia a Oltretevere. Un potere che dalla Capitale si espande, in un grande raccordo criminale.

Ecco, Carminati uomo d’ordine e di prestigio, carisma e curriculum, che fa da garante di affari e di pax mafiosa. Ecco l’Associazione temporanea di impresa di cui oggi è saltata la componente “d’ordine”.

E ora che succede? Troveranno le organizzazioni una figura e una struttura come quella che ha fornito la cosiddetta Mafia Capitale? Oppure si scatenerà un’altra guerra di mafia per ritrovare un equilibrio?

Qui è necessaria una parentesi. Ieri su Il Foglio Giuliano Ferrara nega l’esistenza delle caratteristiche mafiose dell’organizzazione colpita in questi giorni. Dichiarando, poi, che non si può parlare di mafia visto che non ci sono neanche i morti per strada. E’ una menzogna, spero dovuta solo alla disinformazione, di dimensioni abissali. I morti a terra ormai ci si stanca perfino di contarli.

Ecco cosa scrivevamo ancora nel libro

Il morto? Sarebbe meglio dire i morti: due, dieci, venti. Più di sessanta negli ultimi anni fra Roma e l’hinterland in una serie di esecuzioni con una cadenza allarmante. E poi minacce, feriti, attentati a cantieri ed esercizi commerciali.
L’alba della mattanza per la presa di Roma inizia nel 2007. Mentre a pochi chilometri si commemora l’anniversario della breccia di Porta Pia, quattro colpi di arma da fuoco rompono la quiete di un quartiere della Roma “bene” incastrato fra la città e il litorale. A Casalpalocco, quello sfottuto da Nanni Moretti in Caro Diario, tutto «videoregistratori e pantofole», cade a terra gambizzato un pezzo da novanta della “mala”. Vito Triassi, esponente della potente famiglia di Cosa nostra siciliana dei Caruana-Cuntrera definiti i Rothschild della Mafia, non è lì di passaggio, la sua “famiglia” si è insediata nel litorale romano fin dagli anni Settanta. Lui, “er Mafia”, è a terra con le gambe spezzate, tra i prati all’inglese e il barbecue da giardino. “Er Mafia” si rialza, ma i proiettili non si fermeranno più. Si sparerà ovunque. Non è più tempo di pace armata: è l’inizio della guerra. Una guerra di mafie che porterà a cinque anni di escalation criminale e di cadaveri a terra.

Non si gioca davanti a scenari e pericoli di questo genere.

Tratto da: orsattipietro.wordpress.com

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