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bruni-pierpaolo-1di Movimento Agende Rosse - 1 dicembre 2014
È di questi giorni la notizia che Pierpaolo Bruni, pm della Dda di Catanzaro, è nel mirino della 'ndrangheta. A marzo di quest'anno dei balordi hanno rubato la macchina del padre del dott. Bruni presso l'abitazione del magistrato a Crotone, nonostante ci fossero le telecamere. Poche settimane fa si è appreso da un detenuto che esiste un progetto di attentato preparato da più cosche, cosentine, lametine e vibonesi, nei confronti del magistrato. Il detenuto, nel rivelare il progetto, ha anche descritto gli spostamenti del dott. Bruni.

Il pm Bruni si sta occupando di varie inchieste in alcune delle quali è stata inoltrata ed accolta la richiesta di applicare il regime detentivo 41-bis per diversi imputati. L'ultima indagine dei pm Bruni e Vincenzo Luberto ha portato a Cosenza all'emissione di venti ordini di custodia cautelare da parte del gip Giuseppe Perri. I destinatari dei provvedimenti cautelari sono stati presunti boss e picciotti del clan degli 'zingari' accusati di imporre il racket a tappeto nel cosentino.
Ma la notizia che appare oggi sui giornali, alquanto anomala, è che la video sorveglianza sotto casa del Dott. Bruni, a Crotone, è stata rimossa. Una ditta, incaricata dalla Prefettura, ha rimosso l'impianto di videosorveglianza. Subito dopo la rimozione del circuito, sconosciuti hanno manomesso un tombino sotto casa del magistrato.
Ci appelliamo al Ministro dell'Interno Angelino Alfano affinché intervenga immediatamente per riattivare il servizio di videosorveglianza presso la casa del Dott. Bruni e affinché ponga in essere con estrema urgenza ogni intervento necessario a tutelare la vita del magistrato e degli uomini della sua scorta. La recente notizia di un progetto di attentato ai danni del dott. Bruni e la manomissione di un tombino presso la sua casa sono segnali gravissimi davanti ai quali lo Stato deve reagire in maniera inequivocabile e chiara: l'incolumità del magistrato e delle persone che sono al suo fianco deve essere tutelata al massimo livello.

Movimento Agende Rosse


Il pm a rischio protetto meno di un ministro

di Giovanni Tizian e Nello Trocchia - 1 dicembre 2014

Non è la prima volta che finisce nel mirino della 'ndrangheta, eppure la tutela nei suoi confronti è stata ridimensionata. Schivo e coraggioso. Magistrato in prima linea che lavora lontano dai riflettori e dalle luci dorate dell'antimafia delle passerelle, Pierpaolo Bruni è un pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. È sua la firma su alcune inchieste che, in questi anni, hanno scompaginato le articolazioni criminali e i collegamenti con il potere politico, massonico e imprenditoriale. Ora è di nuovo a rischio attentato. Un fatto noto alle forze dell'ordine e alla prefettura che su Bruni dispone i servizi di protezione.

A svelarlo è stato un detenuto confidente. Lo ha rivelato ad un agente penitenziario, un mese fa. Nel suo racconto ha messo in fila i particolari di vita del magistrato. Ha indicato la superstrada che percorre, la 107, come il luogo dove sarebbe dovuto avvenire l'attentato. Rivelazioni che dimostrano una conoscenza inquietante dei dettagli e dell'abitudini della vita del pm.

A volerlo morto sarebbe un interesse convergente delle cosche cosentine, crotonesi, e di Vibo Valentia.

La ragione di questo nuovo progetto non sono solo le inchieste senza sconti e un lavoro meticoloso di disarticolazione del potere criminale, ma anche essersi occupato del 41 bis di importanti boss calabresi. Il carcere duro fa impazzire i malacarne. Anche perché la strategia della procura e di Bruni prevede di renderlo duraturo, oltre il limite di 4 anni. Un'attività investigativa ulteriore possibile grazie al modulo di lavoro impostato dal magistrato in collaborazione con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. E i risultati sono concreti: i giudici stanno dando ragione ai pm prorogando di altri due anni il carcere duro per i boss, spiazzati da queste decisioni che demoliscono le loro speranze di usicre dall'isolamento. 

Pierpaolo Bruni è anche il magistrato che ha mandato al 41 bis una donna di un clan della provincia di Cosenza: Nella Serpa. Eppure nonostante tutto, in questi giorni, per disposizione della prefettura di Crotone è stata rimossa la videosorveglianza davanti casa del magistrato che dal 2007 faceva da scudo alla sua abitazione. La motivazione ufficiale è che il rischio si è ridimensionato.

L'operazione di smantellamento delle telecamere ha comportato anche dei costi per la prefettura. Infatti sono state noleggiate due gru. Mentre per tenerle attive i costi erano pari a zero.

Non solo. Subito dopo la rimozione del circuito, sconosciuti hanno manomesso un tombino sotto casa di Bruni. Ma è solo l'ultimo degli episodi. Lo scorso marzo tre persone hanno rubato l'auto del padre del magistrato per poi parcheggiarla nell'aria rimozione posta all'esterno della casa del pm. Grazie alla videosorveglianza è stata individuata l'auto con la quale i tre delinquenti erano fuggiti. Macchina ritrovata bruciata poco distante.

Oggi il pubblico ministero ha il terzo livello di protezione, meno di un ministro della Repubblica italiana. Una sola auto blindata, autista e due agenti di scorta. Pierpaolo Bruni rischia di restare solo. E in terra di 'ndrangheta l'isolamento fa più paura delle minacce.

In un palazzo di Giustizia tra l'altro già sotto dimensionato per giudici e per pm e con una competenza molto estesa, quattro province, dove dominano un numero enorme di cosche di 'ndrangheta.

Nel mirino del pm i clan delle province di Vibo Valentia, Crotone e Cosenza. Qui dominano casati potenti. E ben inseriti nella politica. Nel vibonese dominano i Mancuso. Una cosca che si è arricchita con il narcotraffico, grazie all'ingaggio di broker internazionali della droga e ai contatti con i paramilitari colombiani, e ha investito quattrini soprattutto a Roma, Milano e Bologna. Il nome in codice dell'inchiesta più importante sui Mancuso è Lybra. Un'indagine che ha svelato complicità politiche e nella massoneria del clan governato dal padrino Pantaleone Mancuso.

Su Crotone il magistrato ha messo in crisi le cosche locali. Che qui si chiamano Arena, Nicoscia, Grande Aracri. Una triade molto ricca che dopo una sanguinosa faida ha siglato la pace in nome degli affari. Criminali feroci che in tempo di guerra non lesinavano il piombo. Negli anni cruenti del conflitto sono state usate persino armi da guerra: bazooka e kalashnikov. Anche i gruppi del Crotonese hanno subito arresti, sequestri di beni e carcere duro.

A Cosenza i clan Lanzino, Serpa e degli "Zingari", hanno vissuto a lungo senza pensieri. Da qualche tempo però la procura antimafia di Catanzaro ha concentrato l'attenzione su una provincia che dal punto di vista criminale è sempre stata sottovalutata. Per questo i clan cosentini poco abituati ai riflettori non sopportano questa pressione. La reazione quindi potrebbe averli indotti a pianificare un progetto di morte contro Bruni. Ma per farlo, vista l'importanza della decisione, è necessario l'accordo di tutta la 'ndrangheta della zona, se non della Calabria. Ecco perché i Cosentini avrebbero avuto il placet dei boss delle altre province. Una concertazione criminale che, altro tassello molto inquietante, sarebbe avvenuta all'interno delle carceri.

Giovanni Tizian e Nello Trocchia (L'Espresso)

Tratto da: 19luglio1992.com
  

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