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di Piero Messina - 22 ottobre 2014

Sotto scorta per aver contribuito a smantellare una cosca, l'imprenditore dell'agrigentino è stato colto da un malore di fronte alle telecamere che sorvegliano casa sua. Ma per 15 minuti, come mostra questo video, nessuno lo ha soccorso. Una falla nella sua protezione che lo fa sentire ancora più solo.
Si può  rischiare di morire di fronte agli occhi inermi dello Stato? Sì, e lo dimostrano le telecamere a circuito chiuso che proteggono - dovrebbero proteggere? -  la vita di Ignazio Cutrò, il testimone di giustizia che con le sue dichiarazioni ha contribuito a smantellare una cosca mafiosa dell'agrigentino. Gli occhi elettronici dello Stato ieri sera hanno fatto cilecca. Erano le 19,10 quando Cutrò scende nello spazio di fronte alla sua abitazione, si avvicina alla sua autovettura e all'improvviso un malore lo fa schiantare al suolo. La scena è registrata dalla rete di telecamere poste a tutela del testimone.

Quelle telecamere, montate e attivate in modo tale da proteggere la vita di Cutrò e dei suoi familiari, oggetto di minacce di morte da parte dei clan mafiosi, sono collegate in presa diretta, 24 ore su 24, con due stazioni dei carabinieri. Ma per oltre un quarto d'ora, il corpo di Cutrò resterà al suolo senza nessun alert da parte di chi, dall'altra parte della telecamera con i video accesi, avrebbe dovuto proteggerlo e controllarlo. Saranno i familiari del testimone a soccorrere il parente e chiamare lo staff dei carabinieri che scorta Cutrò in ogni suo passo.

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Il referto dell'ospedale parla di crisi ipertensiva acuta. Il testimone di giustizia ha rischiato di morire per un principio di ictus. Ma quell'incidente dimostra che le telecamere sono in realtà dei fari spenti sulla vita dell'ormai ex imprenditore edile. E ora Cutrò si sente più solo. "Se per un quarto d'ora nessuno si è accorto di quel che stava accadendo - racconta il testimone all'Espresso - vuol dire che il livello di controllo è nullo e chiunque può avvicinarsi o accedere nei pressi della mia abitazione, e nei fatti agire indisturbato".

Cutrò aveva deciso di abbandonare la Sicilia e trasferirsi all'estero dopo aver venduto i mezzi della sua azienda edile. "Sino ad ora non ho compiuto quel passo - continua - perchè avevo ricevuto precise rassicurazioni su un intervento dello Stato a favore della mia famiglia. Ma non è successo nulla. Soltanto parole". Il testimone di giustizia rischia di rimanere "bloccato" in Sicilia, strangolato dai debiti e dal disinteresse verso il suo caso. "Non lavoro più e il premio per avere denunciato la mafia, semmai qualcuno debba essere premiato per questo,  è l'essere stato messo alla gogna da tasse e creditori".

Un clima insostenibile, aggravato dal totale isolamento che Cutrò vive all'interno della sua comunità in provincia di Agrigento. "Ho tentato di vendere tutti i miei mezzi anche a prezzi stracciati - racconta - ho pubblicato la lista dei materiali che avrei voluto liquidare per pagare i miei debiti, in silenzio e senza chieder aiuto a nessuno. Con quel che mi sarebbe rimasto, avrei potuto contare su una piccola risorsa economica per ricominciare una vita in un posto diverso dalla Sicilia, dall'Italia. Ma per quelle attrezzature non ho ricevuto neanche una singola offerta. Le cose di Cutrò non si debbono toccare, mi sembra che il messaggio sia chiaro e sia stato compreso. Anch'io l'ho capito: agli occhi della gente sono un morto che cammina, ma la mia unica colpa è avere combattuto la mafia".

Tratto da: espresso.repubblica.it

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