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agostino-nino-webdi no.fe. - 5 agosto 2014
Ha deciso di non tagliarsi la barba, di lasciarla crescere lunga e bianca, finché la verità sulla morte del figlio, il poliziotto di Palermo, Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, uccisi con tre colpi di pistola a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989 non verrà fuori. E’ il padre di Nino, Vincenzo, che in tanti hanno imparato a conoscere in questi anni, nel suo lungo viaggio nel Paese, insieme alla moglie, Augusta Schiera, per chiedere verità e giustizia.

Nino Agostino era un poliziotto di Palermo, negli ultimi anni impegnato in particolare nelle indagini  per la cattura dei latitanti. Secondo alcune testimonianze avrebbe svolto lavoro sotto copertura: indagini delicate, per conto dello Stato su Cosa nostra. Il suo delitto è stato in passato collegato al mancato attentato  dell’Addaura contro il giudice Falcone e ad una attività di intelligence che coinvolgeva anche altri colleghi della mobile di Palermo, come Emanuele Piazza, scomparso nel marzo del 1990.

La storia del poliziotto Agostino. Il lancio dell’agenzia di stampa Ansa quel 5 agosto alle 21: 34 recita: “Teatro del delitto è stata una baracca distante poche decine di metri dal mare. Qui le due vittime, che erano sposate da un mese, trascorrevano ogni giorno le ore libere, e talvolta vi pernottavano anche. Il sostituto procuratore Giusto Schiacchitano sta assistendo agli interrogatori sommari di alcuni testimoni. Le deposizioni che vengono raccolte non sono univoche. Secondo taluni i killer erano tre, secondo altri quattro, è stata anche indicata un’auto con altre persone a bordo che avrebbe potuto “guardare le spalle “ durante la fuga agli assassini. La moto è stata data alle fiamme non è bruciata del tutto e potrebbe aver fornito particolare preziosi per l’inchiesta. Si tratta di una “Onda” Due testimoni che hanno assisto all ‘incendio della motocicletta hanno riferito che uno dei killer avena i capelli biondi, l’altro scuri. I due svoltando l’angolo di via Magellano, a Villagrazia di Carini sarebbero saliti su un’automobile dove erano tesi da una altro complice”. Questi i primi elementi di una inchiesta che da lì a poco finirà insabbiata.

Un poliziotto sotto copertura. Numerosi elementi che portano a Cosa nostra  sono stati trascurati sin dalle prime indagini. E non si stancano di ripeterlo ancora oggi i genitori di Agostino. La macchina del depistaggio, in quella fine di anni ’80 in Sicilia, si mette in moto subito dopo il delitto: le carte delle prime indagini portano alla pista passionale, nonostante le confidenze del poliziotto a familiari sul suo lavoro sotto copertura, nonostante gli appunti ritrovati a casa di Agostino su cui nemmeno una parola si leggerà, successivamente, nei verbali. Vincenzo Agostino ha raccontato da subito ai magistrati di due uomini a bordo di una motocicletta che si sono presentati a casa sua pochi giorni prima del delitto, dicendo di essere dei colleghi del figlio. “Chiedevano con insistenza di parlare con Nino. Uno dei due – dice Vincenzo Agostino agli inquirenti – era “alto, brutto scarno in volto con gli zigomi sporgenti, fronte bassa assomiglia ad una scimmia”. E’ la famosa “faccia da mostro” su cui si è sviluppata una letteratura giornalistica non irrilevante in questi anni. Negli ultimi tempi, anche gli inquirenti sembrano aver ricostruito l’identità di un uomo “dei servizi” che sarebbe stato presente in numerose occasioni sui luoghi di stragi e delitti a Palermo. Lui, sentito dai magistrati e intervistato da giornalisti, ha negato di essere “l’uomo cerniera” fra gli apparati deviati dello Stato e Cosa nostra. Al funerale di Nino Agostino, il magistrato Giovanni Falcone, da poco nel mirino per il fallito attentato all’Addaura, che secondo alcuni pentiti sarebbe stato evitato dall’intervento dei poliziotti Agostino e Piazza ( fatto che non ha trovato conferma nelle prove legate al Dna, effettuate su ordine della magistratura) avrebbe detto ad un commissario “Io a quel ragazzo gli devo la vita”.

Sabbie mobili e verità nascoste. Ancora una volta a poche ore da delitti eccellenti di uomini che servivano lo Stato scompaiono le prove, gli indizi  che potrebbero portare sulle tracce dei mandanti e degli assassini.  Faldoni giudiziari nascondono elementi,  come fossero sabbie mobili, ingoiano testimonianze utili, pezzi fondamentali dell’inchiesta  e non li restituiscono più. Tracce di storie rimaste sospese, di delitti senza giustizia e verità, dentro cui si perde anche la storia, quella vera, di uno scontro fra lo Stato e Cosa nostra, nella Sicilia degli anni ’80. A pochi anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 21 marzo di ogni anno, durante la Giornata in memoria delle vittime delle mafie, la storia e la vita di Nino Agostino e Ida Castellucci viene ricordata insieme a quella delle oltre 1000 vittime delle mafie del nostro Paese. A Nino Agostino e Ida Castellucci è dedicato il presidio di Libera in Vallecamonica, in Lombardia. Nel loro ricordo l’impegno di molti in Italia, che in questi anni chiedono verità e giustizia al fianco dei genitori e dei familiari.

Tratto da: liberainformazione.org

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