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20140607-mafie tra noiRiportiamo di seguito l’intervento del M.llo Saverio Masi all’incontro “Mafie tra noi” tenutosi a Bologna lo scorso 7 giugno.

Bologna 7 Giugno 2014
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Occorre sicuramente dialogare di più con i giovani e che questi siano informati  di quanto  è già accaduto e del rischio che quel periodo stragista possa ripetersi. E questo ce lo possiamo ancora oggi permettere, nonostante, l’Italia sia lontanissima dai primi posti nella classifica mondiale per la libertà di stampa, grazie soprattutto al sacrificio di veri giornalisti come Mario Francese, Mauro De Mauro, Beppe Alfano, Pippo Fava, Mauro Rostagno.
Le cose sono cambiate anche in questo ambito, seppure ci siano ancora oggi presunti giornalisti che parlano di presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. E così qualche autorevole presunto giornalista ha addirittura scritto che le grandi indagini sono terminate con la morte di Falcone e Borsellino, omettendo di scrivere che probabilmente la strage di via d’Amelio è avvenuta proprio perché Paolo Borsellino era venuto a conoscenza della “trattativa”.   

Ma dobbiamo forse anche ringraziare questi presunti giornalisti perché una di loro è riuscita nell’ardua impresa di far parlare anche i nostri morti, sostenendo che oggi la posizione di Giovanni Falcone sarebbe più vicina a quella di Fiandaca che a quella dei pm che sostengono l'accusa nel processo sulla trattativa stato-mafia, i quali seguirebbero "teorie di complotti, retroscena e trame che probabilmente esistono solo sulla carta".
Tutto questo durante le commemorazioni del 23 maggio, nella cerimonia organizzata dall'ANM ed alla presenza di tanti magistrati che incredibilmente non hanno sentito il dovere di dissociarsi ed esprimere solidarietà ai colleghi, già condannati a morte dalla mafia, contribuendo così all’isolamento di quei magistrati che rischiano la vita per fare luce sulle stragi costate la vita ai loro tanto ostentati amici Falcone e Borsellino.
Nonostante ciò che sovvenzionatissimi giornali lascino intendere, è’ fondamentale per la nostra democrazia che i giovani capiscano che quella che oggi chiamiamo trattativa tra lo Stato e la mafia, oltre che a sporcare il passato della nostra politica, continua a gravare sul nostro presente e ad ipotecare il futuro dei nostri figli.  
Quando sono pervenute le prime minacce di morte, cio’ che  ha preoccupato piu' di qualunque altra cosa, ancora piu’delle minacce stesse, e’ stato il silenzio; il silenzio da parte istituzionale, mediatico e della quasi totalita' degli attori sociali.
Silenzio che vuol dire in primo luogo isolamento e che anche in passato ha sempre costituito un fattore imprescindibile per poter tessere trame oscure di potere.
Si tratta dello stesso silenzio che e' stato fatto calare, intenzionalmente ed a piu’ riprese, anche prima delle stragi del ‘92-‘93; un silenzio creato ad arte ed interrotto purtroppo soltanto dai boati di Capaci e via d’Amelio.

In questo periodo assistiamo dunque a continui e spudorati attacchi all’antimafia e mai, invece, a quel complesso e variegato sistema criminale che comprende non solo la mafia ma anche la massoneria e i servizi segreti deviati; sul vero antistato e' calato un silenzio assoluto.
Da qui derivano l’isolamento ed una vera e propria strategia offensiva messa in atto contro i magistrati di Palermo;
da un lato, infatti, i magistrati vengono continuamente screditati o semplicemente ignorati; da un altro versante è in atto una vera e propria strategia della tensione che si concretizza in attacchi di ogni tipo finalizzati ad impedire ai magistrati di poter svolgere serenamente il proprio lavoro.
Questa strategia della tensione ha riguardato in un modo o nell’altro tutti gli attori che ruotano intorno a questo processo, dai semplici sostenitori come l’ingegnere Salvatore Borsellino, ai testimoni come Massimo Ciancimino continuamente aggredito in ogni modo e forma, anche lui screditato e minacciato alla stessa maniera dei magistrati che si occupano di questo processo. Anche questo ci viene taciuto.
Massimo Ciancimino come saprete è il figlio di Vito Ciancimino, ex politico democristiano condannato per associazione mafiosa, ed è uno dei testimoni chiave di questo processo, il più importante, a cui va senza dubbio il merito di aver permesso di aprire l’indagine che poi ha portato al processo in corso davanti alla Corte di Assise di Palermo.
Per questo motivo, come già avvenuto in passato per altri processi scomodi come il processo Andreotti, oltre ad attaccare e screditare i magistrati e l’impianto stesso del processo, si cerca anche di screditare i testimoni più importanti per minarne l’attendibilità ed isolarli. Le stesse tecniche le vediamo anche in processi di sola mafia messi in campo dalle stesse organizzazioni criminali.  


Ma la vera e propria campagna di delegittimazione messa in atto contro Massimo Ciancimino è senza precedenti. Una delle cose che più comunemente si dicono su Massimo Ciancimino è che abbia iniziato a parlare per salvare il “tesoro del padre” e lo stesso Riina nelle sue intercettazioni e negli interrogatori lo accusa di questo, mostrando tutto il suo odio nei confronti del figlio di don Vito. Ma Ciancimino non è un pentito, non poteva avere benefici dalla sua collaborazione con i magistrati e infatti non ne ha avuti, anzi ha peggiorato la sua situazione, accusandosi anche di reati come il concorso esterno che di certo non aiutano con le misure di prevenzione.
Come disse anche il dottor Ingroia, se avesse voluto salvare il patrimonio, la scelta più sbagliata che poteva fare era quella di mettersi sotto i riflettori con dichiarazioni così pesanti; gli sarebbe bastato tenersi in silenzio la sua condanna per riciclaggio, far calmare le acque e andarsi a godere i suoi soldi. Invece ha scelto di rispondere, facendo nomi e raccontando fatti in parte riferitigli da suo padre in parte vissuti in prima persona, riguardanti gli uomini più potenti del nostro Paese, ex capi dei servizi segreti o capi dei servizi  segreti allora in carica, politici di primo piano, magistrati, uomini delle istituzioni, intoccabili. Dichiarazioni in parte riscontrate dagli inquirenti e su cui si basa il processo; in ogni caso dichiarazioni pesanti a cui va riconosciuto coraggio. Ma allora perché parla? Massimo Ciancimino non ci guadagna niente, peggiora la sua situazione, rischia la vita, il carcere, ma perché lo fa? Lui dice che lo ha fatto per il figlio, perché un giorno potesse avere un padre di cui essere fiero e per riscattare il suo cognome. Un pazzo? Forse per la maggior parte delle persone che misurano tutto col metro della convenienza materiale, sì!
I media hanno cercato di farlo passare per una sorta di bombarolo quando, dopo l’arresto per calunnia, in lacrime confessò di sua iniziativa ai magistrati che lo avevano arrestato che poche settimane prima aveva ricevuto a casa un pacco contenente dinamite e minacce rivolte contro suo figlio di sei anni con allegata foto del bambino e così per paura non aveva denunciato. Per questo la dinamite si trovava nel suo giardino e per questo fu ritrovata. Quindi nessun bombarolo, solo una debolezza, un gesto che, al di là del profilo penale che non è di nostra competenza, si può criticare, anche a ragione, ma di certo dettato da sentimenti umani di paura per suo figlio, di un testimone che forse solo chi ha vissuto sulla sua pelle l’isolamento la delegittimazione e la forte pressione può capire.
Questo è solo un piccolo esempio di come le notizie sono costantemente distorte o addirittura inventate di sana pianta, come recentemente la notizia divulgata da un altro presunto giornalista, dell’apertura da parte di Ciancimino di una fantomatica pizzeria dal nome “Pizza e pizzini”, con tutti i dettagli di un’intervista mai avvenuta.
Ci è stato presentato come un “pataccaro”, ma in effetti rimane testimone chiave del processo e allora forse qualcosa che non torna c’è.  Si vede che si sono trovati riscontri a molte sue dichiarazioni, si vede che molte delle cose che ha raccontato sono state ritenute credibili.
Intanto il “pataccaro”, oggetto della stessa strategia della tensione di cui sono oggetto i magistrati, viene minacciato e lasciato senza una scorta.
…(…)…
Sono stati uccisi magistrati coi componenti delle loro scorte, Prefetti, giornalisti, Presidenti della Regione, Sacerdoti, imprenditori, testimoni di Giustizia, una realtà mai esistita in nessuna parte del mondo occidentale.
Non possiamo rimanere indifferenti a tutto questo e soprattutto non possiamo rimanere indifferenti a tutto ciò che sta accadendo oggi a Palermo perché la nostra indifferenza ha ucciso più del tritolo.
Il potere mafioso è un potere che pretende di condizionare la vita amministrativa delle nostre città e la vita politica del nostro Paese e quindi occorre trovare il coraggio di recidere i rapporti delle organizzazioni mafiose con il potere politico ed istituzionale.
E per fare questo occorre che ci sia, sul versante politico, la consapevolezza che la lotta alla mafia ed alla corruzione dilagante non sono vicende diverse; occorre che non si faccia finta di capire che la lotta alla mafia ed alla corruzione politica sono due facce della stessa medaglia.

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