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strage-bologna-webdi Andrea Purgatori - 2 agosto 2013
Trentatré anni dopo, la strage alla stazione di Bologna (85 morti, 200 feriti) continua ad essere un paradosso di certezze e ipotesi nel grande buco nero della strategia della tensione che ha segnato la storia d’Italia. Fu una bomba neofascista, come hanno stabilito le sentenze che hanno condannato gli esponenti dei Nar del gruppo di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, intorno ai quali fu creata una cortina di depistaggi ideati dal capo della P2 Licio Gelli e da uomini dei servizi segreti? O un incidente provocato da un trasporto di esplosivo la cui responsabilità va cercata tra gli uomini del Fronte per la liberazione della Palestina (Fplp) di George Habash?

Un mese prima della strage di Bologna (27 giugno), nel cielo di Ustica era esploso il DC9 Itavia con 81 persone a bordo. Abbattuto in uno scenario di guerra aerea, come ha decretato la Corte di Cassazione e come aveva intuito il giudice Rosario Priore gia’ nel 1999, che di terrorismo italiano e internazionale si era occupato per anni. E proprio da Ustica è necessario partire per contestualizzare anche la strage di Bologna in un quadro di tensioni fortissime che nel 1980 vedevano l’Italia al centro di una partita cruciale tra il blocco occidentale e quello sovietico per il controllo del Mediterraneo. Con Gheddafi nemico numero uno degli Stati Uniti e della Francia.

Giudice Priore, che partita si stava giocando nell’estate del 1980, alla vigilia di Ustica e di Bologna, e quali erano i protagonisti?
“Da una parte Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Dall’altra l’Unione Sovietica che foraggiava Gheddafi. E noi nel mezzo, alleati dei primi e allo stesso tempo protettori del colonnello per motivi di interesse nazionale. In quei mesi Sadat aveva spostato la posizione dell’Egitto mollando l’ombrello militare di Mosca per quello di Washington. E in quegli stessi mesi Mosca aveva promesso a Gheddafi una fornitura di aerei Tupolev in grado di controllare il Mediterraneo fino a Gibilterra. Cosa che spaventava Londra e Parigi. In piu’, a Tripoli c’erano le centrali del terrorismo mediorientale, a cominciare da quella di Abu Nidal. Una bomba a orologeria, insomma. In grado di far esplodere la guerra nel Mediterraneo. E il 27 giugno ci andammo vicinissimi. Basta pensare al tipo di aerei che gli Stati Uniti stavano spostando verso la base del Cairo…”.

Che tipo di aerei?
“Gli F-111 schierati sulle basi inglesi, gli stessi che nel 1986 furono utilizzati per bombardare Tripoli e Bengasi. Capaci di trasportare armi nucleari tattiche. Quel 27 giugno ne transitarono almeno sei o sette nello spazio aereo italiano. Uno atterrò in avaria sulla base di Grosseto, senza un serbatoio supplementare e con la radio inservibile. Un militare lo fotografò. L’Aeronautica confermò l’emergenza però disse che si era verificata in ottobre. Ma non abbiamo mai avuto la certezza che fosse andata proprio cosi”.
Quando scoppiò la bomba alla stazione di Bologna qualcuno disse che si trattava di un doppio avvertimento all’Italia, dopo Ustica. “Esattamente. La reiterazione di un messaggio al nostro governo perché tagliasse i ponti con Gheddafi, perche’ smettessimo di proteggerlo come avevamo fatto la notte di Ustica facendogli cambiare rotta dopo che c’era stato lo scontro aereo nel quale era stato abbattuto il DC9. Noi giocavamo su più tavoli. Dentro la Nato con gli americani e dalla parte degli arabi per il petrolio. Con l’aggiunta del cosiddetto “lodo Moro”, che ci aveva garantito la neutralità da parte palestinese. Moro era già morto ma l’accordo, grazie al colonnello dei servizi segreti Giovannone che di Moro era stato stretto collaboratore per il Medio Oriente, reggeva. Noi chiudevamo un occhio e facevamo passare armi e terroristi e in cambio i palestinesi evitavano ogni tipo di azione militare sul nostro territorio. Fino all’incidente del sequestro dei missili terra-aria di Ortona, che costò il carcere ad Abu Anzeh Saleh, capo del Fplp in Italia”.

E arriviamo alla strage di Bologna…
“Il terrorista Carlos - lo "sciacallo" -, in carcere in Francia, ne parla diffusamente. Per la verità parla anche di Ustica. Secondo Carlos quello di Bologna fu un incidente in un trasporto di esplosivo. D’altronde ha anche detto che un suo uomo era uscito dalla stazione pochi secondi prima dell’esplosione”.

Parliamo di Thomas Kram, interrogato poche settimane fa dai magistrati bolognesi, a cui ha detto che la pista palestinese è un depistaggio per coprire i neofascisti.
“E che altro avrebbe dovuto dire? Kram è stato l’esplosivista di Carlos, lo ha seguito in tutte le sue azioni, in tutti i gruppi che ha fondato e guidato. Ed era con certezza a Bologna. Registrato in un albergo il 2 agosto, non si sa come e perché, quindi sfuggito ai controlli effettuati dalla polizia su tutti gli stranieri presenti in città il giorno prima. Kram ha detto di essere arrivato alla stazione dopo l’esplosione, di essersi allontanato subito e di aver preso un autobus per Firenze, che non esisteva”.

Perché Carlos lo accusa?
“Questo è da capire. Di certo, Kram fa di tutto per cercare di dimostrare che il 5 agosto non si trovava a Berlino alla riunione di Carlos con quelli del suo gruppo presso l’hotel Palace, riunione che i servizi della Germania orientale sicuramente registrarono e nella quale si parlo’ anche di Bologna. Kram dice di non essere mai stato nella Germania dell’Est, peccato che sono stati scoperti più di sessanta suoi transiti in quel Paese che aveva le mani in pasta in tutte le vicende di terrorismo internazionale di quegli anni. Brigate rosse comprese”.

Anche Cossiga disse che a Bologna si era trattato di un trasporto di esplosivo.
“Cossiga era presidente del consiglio, all’epoca. Era un profondo conoscitore dei servizi e delle trame internazionali del terrorismo. Cosi come si tolse un sassolino piuttosto grosso dalla scarpa affermando che ad abbattere il DC9 era stato un caccia francese, non mi stupisco che abbia voluto dire quello che sapeva anche su Bologna”.

E lei la pensa allo stesso modo?
“Si, penso che i neofascisti non c’entrino. Giusto che paghino con tutti gli ergastoli per quello che hanno commesso, ma a Bologna ritengo che le cose siano andate diversamente. Quella quantità di esplosivo e il suo trasporto andavano ben al di la’ delle loro capacita’ organizzative”.

I familiari delle vittime restano ancorati alla tesi neofascista.
“E mi dispiace. Qui nessuno vuole sminuire responsabilità o deviare il corso delle indagini. Ma credo sia interesse di tutti cercare di ricostruire, capire e arrivare a una verità definitiva che farebbe bene al Paese”.

Quindi, credere a Carlos?
“Carlos è un uomo che sa molto e ha anche molta paura di mettersi contro i francesi. Il suo futuro dipende da loro, una eventuale riduzione della pena dipende da loro. E i francesi non scherzano quando vengono tirati in ballo. Sono maestri nel replicare e confondere le idee”.

Tipo?
“Tipo quando venne forzato il mio armadio blindato nell’estate dl 1999 e il fascicolo con la sentenza ordinanza che li tirava in ballo fu gettato in terra nel corridoio del mio ufficio per dare a tutti un segnale. Il giorno dopo, cominciarono i depistaggi. E Carlos comincio’ a parlare di una responsabilità americana salvando i francesi. Per non parlare del caso di Marco Affatigato…”.

Terrorista dei Nar che lavorava per i servizi francesi.
“Che era sotto il loro controllo, vivo e vegeto in una località svizzera. Ma il giorno dopo l’abbattimento del DC9 qualcuno telefono’ dicendo che era morto sull’aereo. Falso, un depistaggio. E mi pare anche chiaro organizzato da chi”.

Quindi, meglio non credere a Carlos…
“Carlos sa. Ti butta le sue verità in mezzo ai piedi come delle bombe pronte ad esplodere. È anche un inquinatore. Ma su questa faccenda della strage di Bologna dovrebbero farlo parlare, perché potrebbe dire cose che ancora nemmeno immaginiamo”.

Tratto da: 
huffingtonpost.it

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