Il dirigente Fazio parla di interessi della ‘Ndrangheta militarizzata, ma anche di “livelli superiori”
”Se pensate che il Ponte sullo Stretto di Messina si possa fare tranquillamente, senza che i clan calabresi e siciliani provino a mettere le mani sulla mega opera, ve lo potete levare dalla mente. Le famiglie criminali sono già pronte ad accordarsi per mettere lo zampino”. E sullo Stretto, “non si parla solo di ‘Ndrangheta militare. Stiamo parlando anche di livelli superiori»”. Parole dure, chiare, nette. A dirle Beniamino Fazio, direttore della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro, intervenuto in conferenza stampa a seguito della pubblicazione della relazione semestrale 2024 della DIA.
Da tempo è noto che le mafie italiane non sono più quelle dei kalashnikov e del pizzo. Oggi sono mutate. Raffinate. Invisibili. E stanno puntando ai grandi cantieri pubblici, primo fra tutti proprio il Ponte sullo Stretto di Messina su cui il Ministro Matteo Salvini sta spingendo forte nonostante i rischi ed i pareri negativi.
Recentemente il Presidente dell'Anac Giuseppe Busia in audizione alle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera, in merito al dl Infrastrutture, ha rilanciato un forte allarme sulla mega opera che presenta un importo raddoppiato, un progetto esecutivo assente e il rischio di violazioni delle norme Ue.
A questo si aggiunge il rischio pesante di infiltrazioni criminali.
“Le mafie si sono evolute astutamente - ha dichiarato Fazio - emancipandosi nella società da bruti sanguinari a talentuosi uomini d’affari infiltrati in tutti i contesti: imprenditoriali, commerciali, pubbliche amministrazioni e appalti”.
In particolare, la ’ndrangheta si conferma l’organizzazione più pervasiva e insidiosa, descritta dallo stesso Fazio come un moderno Pròteo, il dio marino greco capace di mutare forma per sfuggire al controllo. La sua capacità di adattamento ha permesso l’ingresso in settori fragili dell’economia, facendo leva su crisi finanziarie e sull’uso distorto dei fondi pubblici destinati alla ripresa.
Il meccanismo è collaudato: “Prestiti illeciti a imprenditori in difficoltà, in cambio del controllo delle aziende. L’obiettivo? Riciclare capitali e conquistare porzioni sempre più vaste del mercato”.
La cecità volontaria e la zona grigia
Aggrava il quadro la cosiddetta cecità volontaria di alcuni operatori economici, disposti a chiudere gli occhi di fronte alla matrice mafiosa dei propri interlocutori pur di salvaguardare il business. “In questo modo – ha ammonito Fazio – le cosche calabresi si rafforzano e inquinano la libera concorrenza”.
Il Ponte sullo Stretto, l’ombra delle cosche e non solo
L’opera simbolo del governo Meloni – il Ponte sullo Stretto – è finita al centro dell’allarme DIA. Secondo Fazio, gli “appetiti della ’Ndrangheta sono fortissimi da sempre sullo Stretto”. E quindi ha precisato: “Non è un problema solo di Villa San Giovanni. Il problema è che le cosche si mettono d’accordo per la spartizione. Considerate che Messina storicamente comunque è una diramazione della ‘ndrangheta. Messina è un territorio particolare: nel lato nord c’è l’influenza dei barcellonesi e quindi dei palermitani. Zona sud influenza dei santapaoliani e quindi dei catanesi. Centro, influenza della ‘Ndrangheta, storicamente”.
Non solo.
Fazio ha voluto evidenziare con forza i legami tra le organizzazioni criminali e la massoneria deviata. Secondo l’investigatore la ‘Ndrangheta va immaginata in “più livelli. Esiste il livello «periferico e marginale nel quale le cosche controllano il territorio in maniera asfissiante”.
Esiste poi un livello superiore, quello della cosiddetta borghesia magiosa, “quelli con giacca e cravatta che rappresentano la dimensione affaristico-imprenditoriale del fenomeno criminale”. Infine c’è il livello inserito nelle logge deviate, utilizzate “da più di 30 anni come strumento attraverso il quale tessere rapporti con le istituzioni deviate, con politici e imprenditori. Da più di 30 anni funziona così”. Un aspetto inquietante, su cui in molti fanno orecchie da mercante.
Bonelli in Aula: “I mafiosi hanno già acquistato i terreni”
Il timore di infiltrazioni mafiose già poste in essere non è astratto. È concreto. E lo confermano anche recenti dichiarazioni parlamentari. Durante una seduta alla Camera sul decreto sicurezza, il deputato AVS Angelo Bonelli ha acceso i riflettori su una verità scottante: alcuni terreni destinati alla costruzione del Ponte sarebbero stati acquistati da famiglie mafiose. “Come facciamo a essere sicuri che non si stiano favorendo i mafiosi?”, ha chiesto retoricamente Bonelli, leggendo in Aula i nomi di alcuni clan coinvolti.
Tra questi figurano gli eredi della famiglia di Santo Sfameni, detto "il patriarca", condannato per gravi reati mafiosi, e gli acquirenti di un casolare a Villafranca Tirrena, noto rifugio di latitanti e sede di summit mafiosi, tra cui quello con Angelo Siino, noto come il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra.
Norme alleggerite e il richiamo della DIA
A preoccupare è anche l’impianto normativo contenuto nel decreto legge 73/2025, che disciplina gli interventi sul Ponte. Secondo la vice direttrice della DIA, Lorena Di Galante, il decreto snellisce eccessivamente le verifiche antimafia, prevedendo solo “liberatorie provvisorie” nei contratti pubblici in caso di emergenze.
Una semplificazione che, se giustificabile in caso di terremoti, appare pericolosa per un progetto da 13,5 miliardi come il Ponte. Di Galante ha sottolineato che “non è chiaro nemmeno quale autorità debba rilasciare le liberatorie provvisorie”, e ha chiesto al legislatore di armonizzare il testo con l’attuale normativa antimafia.
L’intervento di Busia (Anac): “Verifiche più stringenti, non deroghe”
Anche il presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, ha lanciato un monito: “Un’opera di queste dimensioni richiede un innalzamento delle verifiche”. Busia ha contestato il fatto che il valore dell’appalto sia ancora basato su stime del 2012 e ha richiesto un progetto esecutivo chiaro, non frammentato in fasi.
“La storia insegna che spesso aumentano i costi”, ha detto, invitando all’uso della digitalizzazione per controllare anche i subappalti inferiori a 150.000 euro. Ma l’amministratore delegato della società “Stretto di Messina”, Pietro Ciucci, ha ribattuto che il valore “è aggiornato” e che la progettazione per fasi “ottimizza tempi e costi”.
Il Ponte sullo Stretto non è solo un’opera ingegneristica. È un banco di prova per lo Stato, chiamato a dimostrare la propria capacità di prevenire le infiltrazioni mafiose e garantire trasparenza. Ma per farlo, serve rigore normativo, vigilanza continua e volontà politica.
Perché – come ha ricordato Beniamino Fazio – “la ’Ndrangheta non è un ricordo del passato. È presente. È potente. E sa adattarsi come nessun’altra organizzazione criminale”.
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