Ricordate la vicenda di Anan Yaeesh, il giovane palestinese arrestato all’Aquila a gennaio e rinchiuso nel carcere di Terni, per il quale il governo israeliano chiedeva l’estradizione? Ebbene il Tribunale dell’Aquila negò tale richiesta anche per il fatto che in Israele avrebbe potuto “essere sottoposto a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o comunque ad atti che configurano la violazione di uno dei diritti umani della persona evincendosi tale rischio dalle relazioni, depositate dalla difesa, di organizzazioni non governativa ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty International e Human Rights Watch”.
Mentre infuriavano i bombardamenti dell’esercito israeliano sulla popolazione civile di Gaza, pochi giorni dopo, altri due palestinesi vennero arrestati con le medesime accuse di far parte di una organizzazione terroristica palestinese, le “Tulkarem Brigate”, articolazione del gruppo armato “Martiri di Al Aqsa”. Trattasi di Mansour Doghmosh, rinchiuso nella casa circondariale di Rossano (CS) e Ali Saji Rabhi Irar, rinchiuso nella casa circondariale di Ferrara. Ora il Tribunale del Riesame dell’Aquila ha disposto la scarcerazione di Mansour Doghmosh (udienza del 9 settembre), egli però non è stato scarcerato bensì trasferito in un CPR in attesa di essere rimpatriato.
Rimpatriato dove? In Palestina? Ma cosa rimane oggi dello stato palestinese? La striscia di Gaza è stata distrutta provocando 40 mila morti e la Cisgiordania è oggetto di operazioni militari e bombardamenti quotidiani, con centinaia di morti e 10 mila palestinesi arrestati. Evidentemente il rimpatrio per Mansour (che ha moglie e tre figli piccoli) significherebbe concretamente la sua consegna alle carceri israeliane, quelle nelle quali la Corte d’Appello dell’Aquila ritiene concreto il rischio di torture, e trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei palestinesi. Com’è dunque possibile e soprattutto in questo momento “rimpatriare” palestinesi che hanno sostenuto o sostengono la legittima resistenza di un popolo il cui diritto ad una “patria” viene tutt’oggi (e da ormai quasi un secolo) negato manu militari? Non sarebbe più logico e giusto riconoscere invece a loro e alle loro famiglie la protezione umanitaria?
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