Egregio dott. Santarelli, mi rivolgo a lei all’indomani della notizia diffusa ieri dal Tg regionale relativa all’obbligo di pubblicazione all’albo comunale di Lona-Lases della sentenza definitiva della Cassazione nei confronti dell’amministratore della ditta Anesi srl, condannato anch’egli in primo grado nel processo “Perfido”. Orbene lei più volte ha affermato che, di fronte al malaffare che in questi anni ha caratterizzato il settore del porfido e coinvolto a varie riprese le amministrazioni comunali della zona, in particolare quella di Lona-Lases, la cura di tali malanni doveva essere lasciata alla Magistratura. Ancora una volta però, accettando il paragone con la tutela della salute, più che al medico di base o allo specialista ospedaliero, la Magistratura potrebbe essere paragonata all’anatomopatologo, il cui intervento a nulla vale per salvare l’ammalato (già morto) e invece potrebbe rivelarsi fondamentale per salvare altre vite, chiarendo appunto i motivi del decesso.
Ne è evidente testimonianza la sentenza di cui sopra che, riferentesi a fatti avvenuti nel 2014, è diventata definitiva solo il 4 luglio 2023, a distanza di ben 9 anni da quei fatti!
Quando lei è venuto a Lona ad illustrare la sentenza di primo grado del processo “Perfido” ha compiuto un gesto importante, che segnalava la necessità di conoscere quanto avvenuto e perché fosse avvenuto; presupposto imprescindibile per evitare che ciò si ripeta e per aiutare ad individuare in tempo i segni della “malattia” laddove ancora essa non sia conclamata e l’intervento tardivo.
Portare a conoscenza della comunità, stimolare a comprendere ed a reagire è sempre stato l’obiettivo con il quale il Coordinamento Lavoro Porfido ha proposto le sue iniziative, purtroppo puntualmente boicottate da chi rappresenta ancora la radice profonda di un “male” tutt’altro che definitivamente sconfitto. Per questo, pur intervenendo criticamente, abbiamo apprezzato la sua coraggiosa decisione di accettare il nostro invito a venire a Lona-Lases ad illustrare la sentenza, mentre altrettanto non possiamo dire della sua seconda visita, fatta per avvallare un ennesimo tentativo elettorale volto a riportarci indietro, a far richiudere occhi, orecchie e bocche, trasformando i cittadini in docili scimmiette. Come si potrebbero spiegare altrimenti le parole dell’assessore provinciale allo Sviluppo economico Achille Spinelli quando, intervenendo a Lona per “tenere a battesimo” l’unica lista presentata per le elezioni del 25 febbraio, ha affermato che “questa comunità è stata ingiustamente mortificata da vicende che l’hanno solo toccata, che sono state superate e saranno sicuramente dimenticate grazie all’impegno della nuova amministrazione”?
Non mi pare traspaia da queste parole alcuna volontà di conoscere e contrastare un fenomeno, quello della criminalità mafiosa e delle sue capacità di costruire sinergie con le lobby imprenditoriali, che ha contribuito pesantemente al degrado delle condizioni di lavoro anche all’interno del settore porfido. Quell’unico distretto industriale della provincia che, stando all’assessore Spinelli, “è il momento di valorizzare e rilanciare”, ma su quali basi? Ricordo sommessamente che uno dei reati relativi alla condanna di cui sopra è quello di estorsione nei confronti dei lavoratori, costretti a sottoscrivere dichiarazioni nelle quali attestavano una regolarità retributiva che tale non era, sotto minaccia di licenziamento. Una condizione, quella degli operai extracomunitari del porfido, di feroce sfruttamento e non solo nelle aziende controllate da presunti mafiosi; ad Albiano nel 2016 le indagini della PG aliquota Carabinieri di Trento, seguite a nostri esposti, fecero emergere irregolarità in un terzo delle aziende concessionarie e ben una dozzina di titolari furono condannati per aver dichiarato il falso nell’atto notorio col quale attestavano al comune la regolarità retributiva nei confronti dei dipendenti. Ma perché erano ricattabili gli operai? Perché i Comuni, con il disinteresse (condizionamenti?) della Giunta provinciale, non avevano mai provveduto a recepire nei disciplinari il vincolo occupazionale, stabilito al co. 5 dell’art. 33 nella legge provinciale sulle cave n. 7 del 2006. Ebbene, sig. Prefetto, di fronte ai nostri esposti in merito la politica provinciale si schierò compatta a difesa di quel sistema (totale fu la chiusura rispetto alla proposta di legge presentata dal consigliere Filippo Degasperi ed elaborata con l’ausilio del Clp) modificando la legge per sanare gli illeciti e le inadempienze che, nel silenzio delle OO.SS., hanno consentito ricatti e licenziamenti. Vergognosa fu infatti la modifica effettuata dall’allora assessore Olivi che, per sanare l’inadempienza dei comuni ed evitare la decadenza delle concessioni, spostò il termine per adempiere all’adeguamento dei disciplinari con l’introduzione degli obblighi di tutela occupazionale, dall’atto di proroga delle concessioni (avvenuto nei vari comuni tra il 2010 e il 2011, con grave ritardo rispetto al varo della legge e per Albiano addirittura mesi dopo la scadenza della proroga concessa dalla Giunta provinciale) al 31 dicembre 2017; con ciò sanando licenziamenti avvenuti fino al 60% del totale degli occupati (come emerge dalla relativa delibera del Comune di Albiano).
Questo, egregio sig. Prefetto, si chiama “radicato ed esteso malaffare” che, non mancando la componente mafiosa “di matrice ‘ndranghetista”, avrebbe dovuto preoccupare seriamente anche i suoi predecessori (con i quali ci siamo peraltro incontrati fin dal 2015), ma così non è stato.
Dispiace che anche lei abbia ritenuto di proseguire su questa strada negando ogni disponibilità a considerare soluzioni diverse dal nascondere la spazzatura sotto il tappeto, tuttavia i nodi, se ci sono, come scriveva Leonardo Sciascia (Nero su Nero) “vengono sempre al pettine, se c’è il pettine” e le assicuro che noi lo conserveremo gelosamente.
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