La scorsa settimana l’ex sindaco e anima del Coordinamento Lavoro Porfido Vigilio Valentini veniva accusato, al termine di una funzione religiosa nella chiesa di Lases, di voler candidare alle prossime elezioni comunali l’ex consigliere provinciale del M5stelle Alex Marini. “Vergognati a candidare un forestiero” lo redarguiva la gentile signora, a suo tempo sostenitrice del candidato non meno “forestiero” Pasquale Borgomeo. Mediante una lettera alla stampa locale, Valentini sostenne quindi l’assoluta adeguatezza di una eventuale candidatura di Marini, essendo stato l’unico consigliere provinciale a preoccuparsi costantemente in questi anni sia delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel settore del porfido che dei condizionamenti riverberatisi nel corso degli anni sull’amministrazione comunale di Lona-Lases. Questioni che hanno trovato puntuali segnalazioni nei piani anticorruzione redatti dal segretario comunale dott. Marco Galvagni, prossimo al pensionamento, a suo tempo oggetto di “attenzioni” non proprio positive da parte dei sindaci di quella Gestione associata che riuniva i quattro comuni di Albiano (centro più importante dell’attività estrattiva del porfido), Lona-Lases, Segonzano e Sover. Seguiva una netta presa di posizione da parte dello stesso Marini (il T del 4 gennaio scorso) che ha testualmente affermato: “in questo momento non ci sono le condizioni perché si possano svolgere elezioni libere e democratiche né a Lona-Lases né nei comuni circostanti”. Egli sottolineava come, in questi territori la 'Ndrangheta si fosse “radicata da decenni grazie alla complicità della politica locale”, evidenziando come la stessa sentenza emessa il 27 luglio 2023 dal Tribunale di Trento, relativamente al processo “Perfido”, dimostri quanto “il contesto sociale e imprenditoriale (della zona del porfido) abbia permesso il fiorire di una corruttela i cui esiti giudiziari sono solo la manifestazione più purulenta di un fenomeno che ha plasmato i Comuni del porfido negli ultimi trent’anni”. Marini paventava ciò che si sta effettivamente verificando, vale a dire che anche il candidato più volenteroso correrebbe oggi “il forte rischio di prestare il fianco a un modo distorto di pensare e gestire il potere pubblico, nonché di eleggere persone contigue a quelle che già in passato hanno governato permettendo alla criminalità di infiltrarsi in Val di Cembra”. Addirittura, a queste condizioni, avvertiva Marini, “c’è la certezza di perpetrare un modello di governo locale corrotto”, dunque parlare di candidature “è deleterio e infruttuoso: è un modo per non assumersi alcun tipo di responsabilità rispetto a quanto avvenuto”.
Nonostante queste chiare parole, dopo quattro tentativi falliti, il prefetto dott. Filippo Santarelli ha annunciato la sua presenza a Lona-Lases, il prossimo 16 gennaio, per suggellare la decisione assunta dal Commissario straordinario (ed ex questore) dott. Alberto Francini di indire l’ennesimo appuntamento con le urne il prossimo 25 febbraio. Occasione anche per “tenere a battesimo” quella che ad oggi sembra essere l’unica lista in lizza per amministrare il comune cembrano, capitanata dall’avv. Antonio Giacomelli, come riportato sull’Adige del 12 gennaio. Un nome estraneo alla comunità locale, al pari di quello di Marini, ma anche, a differenza di quest’ultimo, completamente sconosciuto!
Teste di legno?
Dopo l’ex poliziotto Pasquale Borgomeo, dunque, ancora una volta si candida a sindaco un candidato “di facciata”, quasi a parodiare i metodi delle associazioni mafiose che, per non esporre volti impresentabili, usano le cosiddette “teste di legno” quali intestatari delle società legali che essi controllano. Non me ne voglia l’avv. Giacomelli, ma con quale coraggio ha accettato di candidare a sindaco in un comune delle cui vicende mai prima d’ora egli si è occupato, in un paese del quale forse nemmeno ha mai calpestato il porfido che ne pavimenta le vie?
Certo il suo curriculum, che lo vede da ben 25 anni all’interno di numerosi CdA, è ben nutrito: da Tecnofin a Trentino Sviluppo, da enti e società che si occupano di assistenza alle Casse rurali, dalla Legoprint alla Mariani Spa; ma soprattutto di una serie di società che gestiscono impianti di risalita: dalla Nuova Panarotta alla Tesino Spa, dalla Carosello Ski Folgaria Srl alla Alta Val di Non Spa, dalla Funivia Col Margherita alla Pejo Funivie Spa. Attualmente egli risulta essere presidente dei probiviri dell’Unione Commercio e Turismo, membro del CdA del MUSE, di quello di APSP Opera Barelli e di QU.BE. Srl. Tuttavia non risulta abbia mai manifestato alcun pubblico interessamento alle problematiche del settore porfido e tanto meno alle vicende relative al presunto insediamento ‘ndranghetista nella zona a cavallo tra la Valle di Cembra e l’Altopiano di Piné. Desta sinceramente qualche perplessità la sua disponibilità disinteressata a “sacrificarsi” per Lona-Lases, non avendo mai sentito il bisogno fino a questo momento di intervenire nel dibattito pubblico che da qualche anno vede al centro il piccolo paese della val di Cembra in relazione alla presenza in zona di un “locale di ‘ndrangheta”, stando a quanto fin qui provvisoriamente accertato in Tribunale.
A proporlo quale candidato sindaco ci ha pensato la lista formata dalla ex sindaca Mara Tondini (già vice di Dalmonego) e dalla sua ex assessora Letizia Campestrini, dando l’impressione che ancora una volta si voglia indicare un candidato di facciata, mentre i personaggi che si apprestano a tirare i fili, eseguendo magari i disegni dei soliti “pupari”, rimangono al coperto nelle retrovie.
In proposito si fa notare che la ex sindaca di Lona-Lases dal 2003 al 2005, rappresenta senz’altro l’elemento centrale attorno al quale si è costituita la lista che si candida ad amministrare il Comune alle elezioni indette dal Commissario straordinario per il prossimo 25 febbraio. L’auspicio del Commissario del Governo per una amministrazione “senza condizionamenti da parte della criminalità” è senz’altro condivisibile ma tale candidatura in siffatta lista autorizza ad avere forti dubbi in proposito. In primo luogo perché, sia lei che la sua assessora, hanno avuto nel recente passato un ruolo centrale proprio nel consentire a quei soggetti, condannati in primo grado per il loro supposto appartenere ad organizzazioni criminali di stampo mafioso, il loro silente ingresso nell’economia, nella politica e nelle istituzioni.
Pupi?
Ma vediamo di riannodare i fili della memoria ritornando a quel 1995 nel quale, con la vittoria elettorale della lista guidata da Roberto Dalmonego, venne posta la parola fine all’unica esperienza amministrativa (guidata dal sindaco Vigilio Valentini) non diretta emanazione della lobby dei concessionari dell’intera zona del porfido. Nemico giurato di quell’esperienza fu il cav. Sergio Casagranda, già sindaco di Lona-Lases dal 1969 al 1982 e quindi massimo rappresentante politico della parte più oltranzista della lobby del porfido, attorno al quale si stringevano quasi tutti i concessionari operanti nel comune, che trovò nell’allora comandante dei VVFF volontari il candidato ideale per sbarazzarsi definitivamente di Valentini. Proprio in quella consiliatura avvennero due fatti cruciali per capire la nostra storia, non a caso scelti anche dalle registe di “Perfido: per sconfiggerli dobbiamo impegnarci” (Federica Chiusole e Alessandra Evangelisti), rappresentazione teatrale realizzata dai ragazzi dell’Istituto “Martino Martini” di Merzzolombardo, sotto la guida della loro insegnante Eliana Gruber. Nel 1997 entra, infatti, per la prima volta in Consiglio comunale (per surroga di un consigliere di maggioranza dimissionario) quel Giuseppe Battaglia che è stato ritenuto dai giudici di primo grado l’esecutore della strategia di “infiltrazione silente” appunto, candidato nelle liste guidate da Dalmonego nel 1995 e nel 2000 (e nel 2002 in quella capeggiata proprio da Mara Tondini) ma primo dei non eletti. Si tratta dell’anno nel quale si manifesta il grande franamento dello Slavinac, primo episodio della rappresentazione teatrale di cui sopra, causato da una lunga serie di violazioni di piani di coltivazione e prescrizioni del Servizio minerario della PAT da parte della ditta Trento Porfidi concessionaria del lotto cava n. 8. Violazioni gravi e ripetute di fronte alle quali l’amministrazione comunale Dalmonego rimase completamente inerte, nonostante fosse competenza del Comune adottare i provvedimenti sanzionatori nel caso delle ripetute violazioni verificatesi (diffida ad adempiere, sospensione della concessione e decadenza nel caso di violazioni gravi). Tanto che nel gennaio1997, di fronte all’aggravarsi della situazione, è lo stesso dirigente del Servizio minerario a dover emanare un provvedimento col quale, considerato il “vasto movimento franoso” registrato nella zona, vietava “a tempo indeterminato qualsiasi attività di coltivazione della cava”. In tale occasione fu lo stesso dirigente del Servizio minerario a chiedere al sindaco i motivi dell’inerzia comunale nell’adottare i provvedimenti di sua competenza. E questa fu la risposta del sindaco Dalmonego: “E’ vero che talvolta, al di là delle disposizioni di legge e della loro tassativa osservanza, si è cercato di comune accordo di mediare alle severe conseguenze lesive alla vita stessa delle imprese operanti in loco non arrivando all’adozione di soluzioni drastiche di revoca delle concessioni, bensì utilizzando piuttosto la possibilità di sospensione dell’attività nonché il regime sanzionatorio previsto dalla legge”.
Come si vede il sindaco, in rappresentanza dell’intera amministrazione comunale che fu compatta nel difenderne l’operato, si preoccupava di non ledere la vita dell’impresa, che spregiudicatamente operava in loco infrangendo a più riprese leggi e disciplinari, anziché di tutelare la vita delle persone in transito sulla sottostante strada provinciale Fersina-Avisio, così come dei cittadini residenti nella frazione di Lases, messa a repentaglio dal comportamento spregiudicato della ditta che ha rischiato di produrre da un possibile “effetto Vajont” nel caso la frana dello Slavinac fosse finita nel sottostante omonimo lago. Nella sua veste di vice sindaca, a partire dal 2000, Mara Tondini non ha mai manifestato alcun dissenso rispetto a tale operato e nemmeno successivamente, quando si troverà ad occupare lo scranno di prima cittadina, (con Letizia Campestrini nella sua giunta) ha mutato la posizione di duro scontro con il Comitato Slavinac che era stata assunta fin dall’inizio della vicenda da Dalmonego (si tratta di quel Roberto Dalmonego indagato per voto di scambio politico-mafioso relativamente alla sua ultima sindacatura dal 2018 al 2020). Nonostante l’affermazione perentoria fatta allora in pubblica assemblea dal dirigente della Protezione civile ing. Claudio Bortolotti “stavolta non pagherà il solito Pantalone”, evidenziando le responsabilità palesi nel determinare il dissesto, alla fine sarà la Provincia Autonoma ad accollarsi gli oneri di messa in sicurezza, per una cifra pari ad 8 milioni di euro.
Negli anni a cavallo del millennio, come ben rappresentato dai ragazzi del “Martini” di Mezzolombardo, giunge a compimento anche quel processo “corruttivo” che costituirà l’elemento fondamentale di quella “infiltrazione silente” attestata dai giudici nel primo grado di giudizio.
Dopo un decennio di presenza marginale all’interno dell’economia legata all’estrazione e lavorazione del porfido e a distanza di pochi anni dall’acquisizione, nel 1994, della prima concessione a Lona-Lases (cava Dossi-Trentina), i fratelli Battaglia si proietteranno nel pantheon imprenditoriale con l’acquisto nel 1999/2000 della grande cava privata di Camparta nel comune di Trento. A prescindere dai passaggi societari e dalle modalità (atti sottoscritti a Vaduz in Liechtenstein e nell’Isola di Man) con le quali, mediante l’intermediazione della società Leasing Bolzano, i fratelli Battaglia hanno assunto il controllo di quella cava attraverso due società omonime (Camparta srl) unitamente ai cugini Carlo e Tiziano Odorizzi, un affare da 12 miliardi di lire (definito durante il processo “Perfido” da uno dei Pm “probabile operazione di riciclaggio”), meritano senz’altro un approfondimento i personaggi coinvolti.
Pupari?
Se gran parte dei personaggi visti fin qui sulla scena rientrano nella categoria dei “pupi”, si possono però intravvedere o almeno intuire i “pupari” che discretamente si muovono prevalentemente dietro le quinte. Solo intuibili sono coloro che molto probabilmente stavano dietro gli esecutori della “probabile operazione di riciclaggio” e la pista ci conduce direttamente ai grandi traffici di droga e alla criminalità calabrese di stampo ‘ndranghetista. Meno nascosti senz’altro i “pupari” nostrani e i loro interessi in loco: mantenere saldamente il controllo delle amministrazioni locali e condizionare la politica provinciale al fine di evitare la messa all’asta delle concessioni e mantenere calmierati i canoni di concessione, fonte di facili e ingenti guadagni da parte dei concessionari. Oltre ovviamente a poter usufruire, in un settore ad alta intensità di manodopera, di un costo del lavoro vantaggioso, ottenuto attraverso il massiccio impiego di manodopera extracomunitaria e l’esternalizzazione di tutte le fasi della lavorazione.
L’affare Camparta viene condotto, non a caso, con i cugini Odorizzi, la cui caratura imprenditoriale e politica nel settore è senz’altro di prim’ordine: eredi di un impero imprenditoriale messo in piedi dai rispettivi padri (i fratelli Arnaldo e Dino) che comprendeva cave di porfido in Trentino ma anche nella Patagonia Argentina. Qui i due fratelli capostipite hanno avviato nel 1990 l’attività estrattiva su larga scala, acquistando ampi giacimenti mediante la società “Natur Stein Patagonicos SA” nella quale comparivano quali soci anche i fratelli Paolo e Gino Colombini e Bruno Paoli, imprenditori del porfido di Fornace. Per inciso ricordo che proprio dalla Patagonia argentina (Puerto Madryn) proveniva il container di porfido intercettato nel 2014 dalla polizia spagnola a Valencia, all’interno del quale era nascosto un carico di 2 q.li di cocaina (traffico che stando alle indagini condotte in Spagna e Argentina era in atto almeno da 5 anni); fatto riportato all’interno degli atti investigativi del ROS relativi a “Perfido” (e riportato dalla stampa locale e nazionale nel 2014) ma sul quale non risulta che siano state portate a compimento indagini in Italia. Come detto i cugini Odorizzi non sono soltanto titolari della più grande holding imprenditoriale legata al porfido, nella persona di Tiziano Odorizzi rappresentano anche l’espressione politica della lobby del porfido che raccoglierà l’eredità del cav. Sergio Casagranda. Già sindaco di Albiano dal 1990 al ‘95, Tiziano Odorizzi approderà nel 2003 in Consiglio provinciale, nelle file della Margherita (partito del presidente Lorenzo Dellai ma anche, guarda caso, dell’allora sindaca Mara Tondini), rendendosi protagonista due anni dopo delle vicende che porteranno alla definizione della nuova legge sulle cave (L.P. n. 7/2006), in revisione della prima norma in materia varata nel 1980. Legge che concedeva una ulteriore proroga di 18 anni delle concessioni in cambio della tutela dei livelli occupazionali, norma sistematicamente disattesa per un decennio (col complice silenzio sindacale) e quindi resa vana dalla modifica di legge dell’assessore Olivi (Pd) nel 2017.
Come evitare i “condizionamenti da parte della criminalità”?
Nel suo intervento, in occasione della visita del prefetto dello scorso 28 novembre, il consigliere provinciale Filippo Degasperi (Onda Civica) ha puntato il dito contro gli schieramenti politici che fino ad ora hanno gestito l’Autonomia, rivolgendo le sue critiche all’indirizzo della dott.ssa Laura Pedron (sul palco insieme al prefetto Santarelli e al commissario Francini), dirigente generale del Dipartimento sviluppo economico, ricerca e lavoro. Si tratta della dirigente che due mesi prima, nel pieno della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio provinciale, aveva lanciato un post sulla sua pagina Facebook a sostegno di una candidata nella lista “Fugatti presidente” del suo assessore di riferimento (Achille Spinelli). Questo nel momento in cui il dirigente generale, mediante una circolare, aveva vietato ai funzionari provinciali di rispondere alle domande della stampa sulle questioni tecniche di loro competenza se non previo accordo con l’assessore di riferimento o col presidente. Il fatto venne riportato dall’Adige del primo settembre 2023, commentando come tale dichiarazione non avrebbe ostacolato, nel caso di riconferma del presidente uscente (il leghista Maurizio Fugatti), la possibile ascesa della dott.ssa Pedron a segretario generale. Non è quindi un caso che proprio la dott.ssa Pedron sia stata inviata a rappresentare la Provincia Autonoma di Trento, in momento di vacanza della Giunta, dopo la riconferma del centro-destra alla guida dell’Autonomia. Se Degasperi ha giustamente criticato aspramente chi oggi governa la Provincia Autonoma per la sua sudditanza rispetto alla lobby del porfido, ritengo però che anche le autorità statali abbiano non poche responsabilità nella gestione di questa grave e preoccupante situazione. Il problema oggi non sta nell’eleggere ad ogni costo un’amministrazione comunale, bensì nell’avviare un percorso di risanamento della comunità che dovrebbe partire dal fare chiarezza sulle vicende amministrative degli ultimi 25 anni, ma anche sui condizionamenti della politica provinciale relativamente ai suoi interventi normativi inerenti il settore estrattivo del porfido, che ha visto decine di puntuali modifiche normative (come all’unisono hanno denunciato Marini e Degasperi) volte ad aggiustare via via singoli aspetti per soddisfare le richieste della potente lobby dei concessionari di cava. Un’operazione trasparenza che è precondizione indispensabile affinché realmente si possa ripristinare quella partecipazione democratica, a parole da tutti auspicata. “Lona-Lases è seconda solo a San Luca in Aspromonte per fallimenti elettorali e questo è il dato che colpisce di più – ha evidenziato Marini (purtroppo escluso dal Consiglio provinciale) – ma si tratta solo dell’esito finale di una situazione che vede erosa la fiducia sociale”.
Ecco i motivi per i quali i cittadini di Lona-Lases dovrebbero negare il loro consenso ad una lista costituitasi attorno a coloro che non hanno in alcun modo contrastato la “infiltrazione silente”, anzi, sicuramente in modo inconsapevole, hanno addirittura assecondato i disegni di personaggi suppostamente legati ad organizzazioni criminali di stampo mafioso e questo al fine di soddisfare le esigenze dei loro maggiorenti in campo economico e politico: se questo non è malaffare!
Sono realmente tali soggetti in grado di realizzare l’auspicio del Prefetto?