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Questo di novembre è un numero strano: è scritto e concepito solo da donne, non esiste un palinsesto preordinato, nessun fil rouge a collegare i temi.
Ho chiesto a tante donne poco note che però fanno delle cose fantastiche sul loro territorio – per mestiere o per volontariato o militanza – di scrivere qualcosa, di qualsiasi tema che loro ritenessero utile proporre e sottoporre alle altre e anche agli altri.
Si tratta di donne la cui intelligenza, competenza, capacità sono fuori dell’ordinario.
La risposta oltre a tanti silenzi è stata molto, molto, timida e vaga. Le donne in queste situazioni mostrano riservatezza, ritegno e senso di inadeguatezza non sempre corrispondente alla verità. Subito dopo questa mia richiesta di fare un numero de LESICILIANE al di fuori di ogni regola giornalistica, perché non subiamo censure, né ricatti poiché la redazione e la struttura è fatta solo da un gruppo di noi – aperta a tanti fantastici e competenti collaboratori – è accaduta la tragedia di Giulia Cecchittin.
L’atroce femminicidio di Giulia che ha sconvolto la maggior parte delle persone, delle ragazze e dei ragazzi, ha scatenato in tante di noi un rabbioso dolore e una rivolta interna che speriamo non si esaurisca dopo le tre solite settimane.
Siamo immersi in un clima di dolore, violenza, crudeltà, aggressività, disumani obbiettivi per collettività più deboli, e la morte di Giulia è stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Su questo atroce ultimo delitto personalmente non starò a cesellare parole. Non ne dirò una sola, di parola. Non ne ho di appropriate. Mi saprebbe solo di retorica, esprimere il dolore è difficile. Sono tuttavia sulla stessa lunghezza d’onda di Elena, la sorella di Giulia.
«Non c'è un posto dove una donna può sentirsi sicura in Italia, non c'è un uomo di cui ci si possa fidare».
Non è assolutamente il momento per giocare a scarica barile, del genere “di chi sono le responsabilità?”. Perché le istituzioni non riescono (o se ne fottono) a garantire e tutelare la vita di una donna?
E non mi rassicura sentir dire “non è per tutte così”, perché come spiega un bravo intellettuale in tv, il maschio ha sempre un atteggiamento, uno sguardo, un che di superiorità, un’espressione del tipo “posso fare tutto”.
E già, c’è ancora tanta strada da percorrere.
Per Elena, una sorella, è stata tirata in ballo Antigone, simbolo di lotta e determinazione, non importa se giusto, sbagliato o utile; Elena Cecchittin – straziata e devastata dal dolore – come Antigone si sta battendo per lo stesso tipo di affetto e la voglia di giustizia. Una manifestazione di amore verso la sorella che commuove e fa rumore. E il 25 novembre scorso migliaia di persone sono accorse nelle piazze per sostenere il suo dolore. Per manifestare il loro dolore per la morte di Giulia e di tutte le Giulia del mondo. Per dire ancora una volta BASTA!
In tante città c’è stata l’onda furibonda.
Nonostante le separatezze delle associazioni femministe tutte, che non iescono a stare unite SEMPRE.
La mia sensazione è che buona parte delle donne militanti o meno di associazioni, comitati, partiti, o semplicemente casalinghe o studentesse, aspettino una parola d’ordine per partire. Una parola d’ordine UNITARIA, non un ulteriore femminicidio.
Una parola d’ordine per avere il coraggio di uscire da casa.
ARRABBIARSI.
Essere ardimentose, buttare fuori tutta l’audacia e la capacità per cercare e trovare delle soluzioni che sappiamo non essere immediate.
Si tratta di percorsi lunghi. Analizzati. Studiati. Accettati dalla politica decidente.
Ci sarebbe da riscrivere la nostra storia di donne in lotta?
NO!
Basterebbe ricordarsi che quando è stato necessario, tutti, donne e uomini, giovani e vecchi, abbiamo lottato insieme e abbiamo conquistato diritti fondamentali. Anche se queste tragedie ci dimostrano che c’è ancora tanta strada da percorrere.
Basterebbe semplicemente ricordarsi che in qualunque posto di lavoro ogni uomo non deve girare la testa dall’altro lato, come a dire “non mi riguarda...”.

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