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Lettera aperta al Giudice Robert Peel Alta Corte di Londra

Riceviamo e pubblichiamo questa considerazione sul caso di Indi Gregory.

Ieri il console italiano a Manchester Matteo Corradini, ha presentato una richiesta urgente all’Alta Corte del Regno Unito chiedendo al giudice Robert Peel di cedergli la giurisdizione sul caso, ai sensi dell’articolo 9 comma 2 della Convenzione dell’Aia del 1996. La piccola, 8 mesi, ha una malattia mitocondriale rarissima e scoperta solo nel 2013 e per lei il trattamento può essere solo quello di cure palliative. Ieri il magistrato inglese ha deciso lo stop al sostegno vitale come richiesto dai medici dell’ospedale di Nottingham.

La notizia ultima è che il termine per il distacco dei supporti vitali alla piccola Indi è stato prorogato di due ore: sarà alle 16 inglesi, le 17 italiane. La Convenzione riguarda la “competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori”.



 

Giudice Robert Peel Alta Corte di Londra
Mr. Anthony May C.E. Queen's Medical Centre di Nottingham

Vicenza November 8, 2023


Buongiorno,

Vi scrivo in merito alla vicenda della piccola Indi Gregory.
Come avrete già intuito da queste prime righe la mia intenzione è quella di pregarvi dal più profondo del cuore di aiutare i genitori della bambina ad ottenere il trasferimento della minuscola paziente all'Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Potrei rifarmi ai principi del cattolicesimo specificatamente a quello cristiano per cui la vita rimane sacra fino a che il Padre di tutti noi, sia dei credenti che dei non credenti (sempre nel rispetto di chi non crede), decida altrimenti, potrei chiedervi di fidarvi/affidarvi all'amore dei genitori per la loro bambina che per il legame naturale tra genitore e figlio non sarebbero in grado di arrecarle alcun danno (non si parla certo di una coppia che abbia mostrato strani istinti persecutori), perché nessun genitore messo di fronte alla scelta se offrire la propria vita sull'altare della sofferenza, anche a rischio della dannazione, non sceglierebbe mai sé stesso invece del benessere del proprio figlio.

Bisognerebbe quindi stabilire caso per caso a quale concetto di benessere affidarsi, se sostanziarlo unicamente nel tangibile, oppure se considerare l'esistenza di piani di natura differente nei quali il tangibile è rappresentato da ciò che non ha una forma misurabile e successivamente, rispettando il peso assegnato a ciascuno di questi piani sulla base dell'individuale natura di ognuno, stabilire quale tra essi arrechi un maggiore beneficio.

Nessuno ha il diritto di stabilire con quale equilibrio debbano reggersi vicendevolmente i diversi piani dell'esistenza di un essere diverso da sé allo scopo di generare il maggior beneficio possibile.
Non è ammesso coercire una volontà quando questa è autonoma e men che meno quando la stessa sia dipendente da chi riveste una responsabilità riconosciuta dalla realtà naturale e da legami affettivi autentici, separare i due piani reale e affettivo rappresenterebbe una cesura dell'intero equilibrio su cui si fonda un'esistenza umana stabile, se ciò vale per un essere sano non si vede perché tale principio di equilibrio, manifesto a livello psicofisico, non debba essere salvaguardato nel caso in cui la salute venga meno.

Quindi essenzialmente due possono essere a mio avviso i piani più evidenti e oggetto di semplici considerazioni, ovvero quello fisico incentrato (a questo punto) sulla massima riduzione possibile della percezione del dolore, mentre l'altro piano riguarda la dimensione affettiva che mira a garantire un sostegno soprattutto emotivo, i cui benefici sappiamo riverberare anche sul piano fisico, contribuendo non poco al benessere generale e sulla capacità di sostenere una terapia, questo ce lo insegna la medicina più moderna.
Abbiamo quindi due piani che già per natura si autosostengono trovando una forma di equilibrio volta per volta senza che uno manchi all'altro.
Certamente è dovere precipuo e per fortuna che sia così, del medico affrontare, nel modo più scientifico possibile, situazioni così gravi e assumersi la responsabilità di rappresentare ciò che la scienza medica oggi è in grado di mettere a disposizione sia come terapia che come soluzioni "definitiva", è giusto che sia reso noto al paziente il massimo che è possibile compiere per salvare o rendere comunque dignitosa la coesistenza con la malattia sia essa anche breve o brevissima.

Dicevo, invece di rappresentarle la mia preghiera da un punto di vista puramente medico-scientifico o sul piano affettivo, preferisco sostenerla da quello matematico o per meglio dire statistico e non mi riferirò al caso della piccola Indi, ma al mio:
a poco meno di 2 anni mi fu diagnosticata una grave malformazione alla valvola mitrale (parliamo del 1974) individuata non già dai medici del maggiore ospedale della mia città, ma dal mio pediatra il quale non si fermò al mio bel colorito roseo e al mio costante buon umore come invece avevano fatto altri medici a cui mia madre si era rivolta, ma decise di dare ascolto all'istinto materno di una giovane ventiquattrenne ingenua che fino a quel momento non aveva mai nemmeno frequentato un cinema o le feste della scuola, intimandole di portarmi seduta stante a Bergamo alla clinica Gavazzeni gestita dallo scomparso e compianto Prof. Lucio Parenzan, uno tra i più celebri cardiochirurghi italiani, padre della cardiochirurgia pediatrica italiana icona dell’eccellenza medica nel mondo. Si scoprì di lì a breve che mi restavano soltanto pochi giorni di vita.

Fu lui il luminare che ebbe l’intuizione su come intervenire nella vicenda dei «bambini blu», quei bambini colpiti dalla tetralogia di Fallot. Fece scalpore nel 1976 la diretta tv dell’intervento su Pasqualino, 7 mesi: ecco in sala operatoria con Pasqualino c'ero anche io e tra i due quello condannato ero io... ma non andò come la scienza aveva pronosticato.
Mi riferisco alla matematica e cioè alla statistica perché le mie chance di sopravvivenza sono andate comunque scemando da quel giorno ad ogni successivo intervento (in totale furono 7 tutti entro il 1976), la maggior parte a pochi mesi se non giorni di distanza l'uno dall'altro):
presentavo una enorme dilatazione dell'atrio destro e dell'atrio sinistro, insufficienza mitralica centrale da discendenza parziale della sutura della schisi e dilatazione dell'anello.
I chirurghi che si alternarono nei vari interventi credo li conosciate di fama: furono Subramanian, Carpentier, Prof. Paolo Ferrazzi che utilizzava le mie visite di controllo come lezioni extra per i suoi praticanti (primo trapianto cuore-polmone in Italia nel 1991, circa 900 trapianti di cuore, 3.000 patologie cardiache congenite e 1.200 interventi di plastica/riparazione mitralica), il quale rischiò di rimetterci la vita quando rimase bloccato in sala operatoria con i gas liberati per disinfettare dopo il mio "passaggio", e l’adorato prof. Lorenzo Menicanti.
Gli sforzi di tanti grandi medici non furono sufficienti, in quanto costantemente aggredito da inspiegabili, allora, reazioni di rigetto che costringevano alla riapertura e all'eliminazione dello stafilococco Aureo che invadeva continuamente gli organi interni, tanto che fui confinato in un'ala deserta degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

Finché venne il momento di decidere se eseguire un ultimo intervento su un corpicino di 12 Kg appena, suture comprese, oppure di lasciare che le mie continue misteriose infezioni seguissero il loro corso portandomi ad una morte meno tormentata.
Così decisero di far decidere a mio padre, in quanto mia madre dopo 3 anni di presenza 24 ore su 24 al mio capezzale con gli ultimi 40 giorni nutrita soltanto di caffè, non avrebbe avuto la lucidità per prendere la decisione che medici ed infermieri auspicavano.
Ebbene mio padre contrariamente a quanto si attendevano decise di affidare la decisione alla mia inesauribile voglia di vivere che mi ha fatto sopportare dolori immensi.

Dopo 14 ore di intervento, dopo aver interrotto l'extracorporea tutti in sala operatoria erano rimasti in silenzio come stessero partecipando ad una funzione funebre, nulla di più avrebbero comunque potuto tentare.
Nel silenzio più totale, appena il sangue raggiunse quel cuore gigante solcato da nuove e vecchie "cuciture", venne richiamato a gran forza da un battito potentissimo che si udì distintamente:
l'allore “dott.” Ferrazzi disse a mia madre che sembrava di sentire il cuore di un giocatore di pallacanestro di 18 anni che gioca la sua azione nel tentativo di segnare il canestro più importante della sua carriera.
In un attimo il sangue riprese il suo giusto posto all'interno del corpo e tutti gli strumenti in sala operatoria ripresero a suonare con il giusto ritmo... nessuno fu mai in grado di spiegare le ragioni cliniche di ciò che accadde quel giorno.
Conclusa la vicenda, che in realtà portò il dott. Ferrazzi a partecipare a tutti i congressi nel mondo alla ricerca di una soluzione per la mia patologia, una volta uscito dall'ospedale non ho più assunto alcun farmaco, mai preso un raffreddore ho gareggiato con i velocisti di medie e scuole superiori alla pari, ho sempre conservato una grande forza fisica.

La statistica mi dette per morto già dopo il secondo intervento, la medicina al terzo, l'affetto dei chirurghi e degli infermieri unito a quello dei miei genitori invece non cedette mai e dopo il settimo sono ancora qui, con qualche acciacco, ma avendo vissuto fino ad ora una vita da persona sana.

La speranza ovviamente è che il caso, la buona sorte, un miracolo, la tenacia, l'avanzamento della scienza medica, l'amore possano nuovamente "infettare" il corpicino martoriato di quella bambina.
Non private quei genitori dell'amore per la loro figlia, non private la figlia della fiducia estrema che ripone nei suoi genitori, non private il "fato" (qualunque cosa sia in realtà) del suo ruolo,
il peggio che potrebbe accadere sarebbe che la piccola alla fine se ne andasse, ma di sicuro sarebbe un viaggio più sereno sapendo che l'amore dei suoi genitori non è venuto mai meno nemmeno nell'ultimo istante.

Se poi parliamo di dolore, tornando a me le posso dire che per via delle ferite e delle suture (più di 300 punti tra interni ed esterni) faticavo a stare in piedi dopo l'ultimo intervento per non parlare di mantenere la posizione eretta:
essendo ancora molto piccolo sarebbe stato pericoloso farmi abituare ad una posizione rannicchiata sicuramente avrebbe compromesso la naturale curvatura della mia colonna vertebrale, così visto che nessun infermiere ebbe il coraggio di accettare l'incarico fu chiesto a mio padre di tenere una mano sotto il mio mento e assieme all'altra poggiata sulla mia schiena spingere per tenermi dritto mentre camminavo su e giù lungo il corridoio del reparto come riabilitazione.

Non serve che le descriva cosa significhi avvertire ogni lembo interno del proprio corpo bruciare a causa degli strappi ai tessuti che si verificavano durante ogni "passeggiata" e quanto dolore potesse provare mio padre e odio per se stesso per il pianto che la sua fermezza mi provocava.
Io però comprendevo tutto questo e stringevo i denti e cercavo di sorridergli mentre lui cercava di fare lo stesso con me.

Nessuno, fosse ospite, paziente, infermiere o medico, osava far rumore in corridoio quando io e mio padre passeggiavamo assieme per una mezz'ora, nei giorni "fortunati" anche un'ora.

Non private quella bambina di tutto questo: alla fine in coscienza vi è evidente che non è un diritto il vostro, ma una responsabilità, pertanto, in nome di quanto tutti voi avrete sicuramente visto accadere o sentito raccontare o sussurrare dai colleghi in corsia, lasciate alla vita l'ultima parola essa sa come proseguire o se interrompersi.

Quando l'amore travalica la ragione non sempre è segno di patologia, si tratta di un linguaggio che attraversa tempo spazio e dimensioni, quasi mai ci è dato di comprenderlo, ma di sicuro assecondarlo non può essere un errore, nessuna coscienza potrà mai rimordervi per averlo fatto.
Ciò che ora la scienza non può fare lo farà domani, ma tutto ciò che l'amore potrà domani lo può fare già oggi.

Vi ringrazio per la vostra pazienza e per aver comunque voluto leggere queste mie sentite parole.
Con eterna fede nell'amore.
    

ANTIMAFIADuemila
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