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Sono molteplici ed inimmaginabili le ricadute di carattere economico del "sistema mafia", sulla comunità, derivanti dalle specifiche dinamiche economiche dell’organizzazione mafiosa.
Fino a qualche anno fa, l’azienda mafia, avvalendosi del metodo intimidatorio e del ricorso all’illegalità, era un’azienda che cresceva continuamente e registrava centinaia di miliardi di utile senza conoscere alcuna crisi e avvantaggiandosi della “esenzione” fiscale. L’azienda mafia diventa la grande protagonista dell’economia italiana potenzialmente capace di coprire, con il proprio “fatturato”, parecchie manovre finanziarie dei governi che si sono succeduti nel tempo. Soldi sporchi, macchiati di sangue, frutto di violenza e di soprusi.
Un’economia sporca in continua crescita mentre l’economia sana langue in danno della rete di piccole imprese commerciali o artigiane che non riescono a sostenere il peso dell’indebitamento e non riescono neanche ad ottenere linee di credito e finanziamenti dalle banche.
Nel gennaio del 2012 il presidente di Confesercenti, Marco Venturi (grande accusatore di Antonello Montante), dichiarava che “una parte del Paese è controllata dalla criminalità organizzata e la crisi, la mancanza di fondi, rendono ancora più drammatico il problema. Lo Stato si è impegnato, ma serve un cambio di passo delle istituzioni: niente sponde politiche, niente appalti, assunzioni, investimenti all’ombra della criminalità”.
Com’è ormai consuetudine, non sembra che da allora siano seguiti interventi dello Stato per mettere fine alla supremazia economica della mafia che ha continuato a crescere e ad arricchirsi.
L’obiettivo dell’impresa mafia non è tanto quello di ottenere il benessere dei propri associati quanto quello dell’arricchimento tout court.
Uno studio particolareggiato di Marco Arnone - giovane e valentissimo economista prematuramente scomparso - sostiene che la vera lotta alla criminalità organizzata può realizzarsi in termini positivi, solamente mediante l’applicazione di strumenti idonei a colpire i patrimoni mafiosi e quindi gli immobili, i beni mobili, i valori mobiliari, le disponibilità liquide, i beni-azienda.
Partiamo da un concetto che non può sfuggire e che è naturalmente prioritario rispetto a qualsiasi altro. Oggi parliamo di mafia economica e finanziaria. Dobbiamo tralasciare ogni argomentazione sulla mafia militare perché la mafia oggi assume le forme dello Stato e s’infiltra nello Stato stesso: nella pubblica amministrazione, nella società civile, nell’associazionismo, perfino nella chiesa e perfino nell’antimafia.
I figli dei mafiosi si sono addottrinati, hanno frequentato le scuole di classe, noti istituti privati; sono divenuti avvocati, medici, ingegneri, manager. Perciò sono riusciti ad infiltrarsi nella società civile, ne fanno parte a pieno titolo, frequentano i salotti cittadini, i circoli, i club, i ristoranti alla moda. E fanno di tutto - riuscendovi quasi sempre - per insinuarsi nel mondo economico ed imprenditoriale anche facendo uso del potere intimidatorio imparato ed ereditato dai propri padri.
Così il gioco è fatto!
Sia pure con altri sistemi, apparentemente più leciti, riescono a controllare il territorio non più dall’esterno bensì standovi dentro, mischiandosi al resto della collettività, molto spesso con la piena e silente consapevolezza di quest’ultima.
Questo è il vero momento della trasformazione: il sistema mafioso si orienta verso il mondo economico e finanziario. Ecco perché la vera lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso non potrà che essere indirizzata all’aggressione dei patrimoni, quelli che stanno a cuore al mafioso perché costituiscono la costruzione di un potere parallelo concorrente con il potere dello Stato.
Come già detto, è ormai opinione comune - ne hanno discusso ampiamente giuristi, sociologi ed altri esperti della materia - che il mafioso è già assuefatto alla vita carceraria tanto da tollerarla mentre mal tollera essere privato dei propri beni, frutto della propria attività malavitosa e criminale ma pur sempre simbolo del potere acquisito. Ecco perché, con riferimento alle analisi economiche, lo Stato dovrebbe riservare maggiori risorse umane e finanziarie all’informazione sull’economia mafiosa tanto da evitare che uno Stato invisibile si accosti ad un sistema mafioso ben visibile ma poco osservato dall’opinione pubblica.
La responsabilità di tale indolenza non può essere attribuita - come spesso avviene - ad eventuale inoperosità della magistratura o delle forze dell’ordine che invece sono quotidianamente impegnate per combattere il fenomeno con molteplici difficoltà. Si provi a pensare alla carenza dell’organico nella magistratura requirente e giudicante, alla carenza del personale di segreteria e di cancelleria, alla carenza di strumenti di indagine. Il pianeta giustizia, non può certamente funzionare in condizioni di precarietà; esso dovrebbe avere tutta l’attenzione del mondo politico. Ma l’attuale situazione mostra con evidenza quanto poca sia la volontà del legislatore e dell’esecutivo, di dare una svolta decisiva a questa immane lotta.

(prima parte)
(dal libro di Elio Collovà – Mafia Egemone – Editrice Albatros)

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