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L'ultimo verdetto della Cassazione non esclude affatto che uomini delle istituzioni si rivolsero a Cosa Nostra nel tentativo di fermare la stagione delle stragi. Al contrario conferma quanto accertato da altre precedenti sentenze definitive. Punto per punto, ecco cosa non torna nelle versioni dei media mainstream che tentano di negare (inutilmente) i fatti.
“La trattativa non è mai esistita”. Lo ripetono, in coro e in pompa magna, quasi tutti i grandi giornali in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione che ha chiuso il processo Trattativa Stato-mafia. Gli Ermellini hanno assolto in via definitiva dal reato di “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno per non aver commesso il fatto”. Con loro, è stato assolto anche l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, già condannato in precedenza a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, tornato libero dopo aver scontato la pena. I mafiosi imputati al processo, Leoluca Bagarella e Antonino Cina, hanno invece ottenuto la prescrizione a causa della riqualificazione del reato nella forma "tentata". Una volta appurato l'esito del verdetto, pezzi influenti dell'informazione mainstream, anche televisiva, non hanno avuto remore a sfruttarlo per confondere l'opinione pubblica sulla questione, deviando completamente dalle verità già sancite dagli organi giudiziari.

Carta canta
Moltissime testate, tra cui il Giornale, Libero, il Riformista, Il Messaggero, Il Dubbio e l'Huffington Post, si sono spinte a titolare a caratteri cubitali che la trattativa non sarebbe mai esistita, sostenendo si tratti, di fatto, di un teorema dei pm di Palermo che hanno indagato su quelle delicatissime interlocuzioni. Tutto assolutamente falso: a dircelo sono infatti le sentenze che quella trattativa l'hanno confermata e "storicizzata" ormai da molti anni. La prima pronuncia a far luce sulla trattativa-aperta dall'invito al dialogo lanciato ai boss dai carabinieri nel 1992, tra la strage di Capaci e quella di Via D'Amelio, per il tramite del mafioso corleonese Vito Ciancimino risale addirittura al 1998. I giudici della Corte D'Assise di Firenze, sentenziando sulla strage di Via dei Georgofili del '93, misero nero su bianco che iniziativa dei Ros (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa. Una trattativa che non solo vi fu ma che, nonostante le "buone intenzioni con cui fu avviata" ebbe "un effetto deleterio sulle istituzioni". Tale iniziativa, infatti, "mettendo a nudo l'impotenza" dello Stato, convinse "definitivamente" i mafiosi "che la strage era idonea a portare vantaggi all'organizzazione".

Do ut des
In tempi più recenti, a mettere un punto fermo sull'esistenza della Trattativa Stato-mafia è stato il processo culminato, nel 2017, con la condanna definitiva all'ergastolo per Francesco Tagliavia, capomafia di Corso dei Mille colpevole di aver fornito l'esplosivo che provocò l'attentato nel capoluogo toscano. Nel 2012, la Corte d'Assi- se di Firenze confermò che “una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des; L'iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”; "l'obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno d'intesa con Cosa Nostra per far cessare la sequenza delle stragi". Nelle motivazioni, i giudici affermano che “la proposta del Mori, che apparve come promanante dallo Stato, dovette effettivamente giungere ai vertici di Cosa Nostra, e segnatamente a Riina [-]. In seguito all'interruzione della trattativa, avvenuta con l'attentato di via D'Amelio, la mafia per tutto il 1992 restò in attesa che si ripristinassero i canali interrotti e poi, dal maggio del '93, la sua fazione oltranzista riprese a far esplodere le bombe [...] in modo che lo Stato capisse e si piegasse”. Per i giudici, era certo che lo Stato avrebbe capito proprio perché la trattativa era stata interrotta. Nel 2016, la sentenza di Appello-bis- che l'anno successivo ottenne il marchio definitivo della Corte di Cassazione considerò l'esistenza della trattativa comprovata dall'avvio poi interrotto di iniziali contatti emersi tra rappresentanti politici locali e delle istituzioni e vertici mafiosi, giudicandola logicamente postulata dalla stessa prosecuzione della strategia stragista: il ricatto non avrebbe difatti senso alcuno se non fosse scaturita la percezione e la riconoscibilità degli obbiettivi verso la presunta controparte". I giudici hanno ritenuto provato che, dopo la prima fase della cd. trattativa avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l'attentato di via D'Amelio, la strategia stragista prosegui alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura e l'obiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quell'interruzione".

Fatto storico
A confermare l'esistenza della trattativa sono stati peraltro, gli stessi uomini del Ros. Incontro per la prima volta Vito Ciancimino [..]a Roma, nel pomeriggio del 5 agosto 1992 - disse Mario Mori davanti giudici il 27 gennaio del 1998 - L'Italia si era quasi in ginocchio perché erano morti due fra i migliori magistrati nella lotta al- la criminalità mafiosa. Non riuscivamo a fare nulla dal punto di vista investigativo e cominciare a parlare con lui: 'Signor Ciancimino, cos'è questa storia, questo muro contro muro? Da una parte c'è Cosa Nostra dall'altra parte c'è lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente? La buttai li, convinto che lui dicesse: 'Cosa vuole da me, colonnello? Invece disse: 'Si potrebbe, io sono in condizioni di farlo' [..] Certo, io non gli potevo dire che rappresentavo solo me stesso oppure: 'Be', signor Ciancimino, lei si penta, collabori che vedrà che l'aiutiamo. Gli dissi: "Lei non si preoccupi, lei vada avanti. [...] 18 ottobre, quarto incontro. Mi disse: 'Guardi, quelli (Riina & C., ndr) accettano la trattativa [_]”. De Donno, che fu il primo a interfacciarsi con Ciancimino, riferì in aula: “Gli proponemmo di farsi tramite, per nostro conto, di una presa di contatto con gli esponenti di Cosa Nostra, al fine di trovare un punto di incontro, un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di questa attività di contrasto dello Stato”. E Ciancimino accettò.
La sentenza della Suprema Corte dello scorso 27 aprile ha decretato che gli uomini dello Stato non veicolarono al cuore delle istituzioni la minaccia stragista di Cosa Nostra, smentendo quanto deciso dalla Corte d'Assise di Palermo, che nel 2018 li aveva puniti con pesantissime condanne in solido con i boss, e dalla Corte d'Assise di Appello, che due anni fa ha invece assolto i Ros «perché il fatto non costituisce reato e Dell'Utri per non aver commesso fatto. Secondo la Cassazione, insomma, le condotte dei carabinieri nella cornice della trattativa non sono penalmente rilevanti. Ma il fatto storico rimane indelebile. In attesa delle motivazioni, con le sentenze passate in giudicato e le dichiarazioni dei suoi protagonisti alla mano, occorre infatti ribadire una verità granitica: la trattativa non è “presunta” né frutto di un “teorema” di qualche pm in cerca di visibilità, ma un tassello verificato della storia del nostro Paese.

Tratto da: TPI

In foto: la lettura sentenza d'Appello del processo Trattativa Stato-Mafia © ACFB

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