Metà di mille, dicono a Milano. Per raccontare che c’era un’infinità di gente. Ecco, saranno più di cinquecento i familiari delle vittime innocenti di mafia che domani giungeranno a Milano da tutta Italia per ritrovarsi nella basilica di Santo Stefano. Per ricordare alle 18, in una grande veglia, i nomi dei loro cari e rinnovare la propria domanda di giustizia. E poi partecipare alla manifestazione di piazza Duomo martedì alle 11.
Se non ci siete mai stati, sappiate che è difficile immaginare qualcosa di più coinvolgente ed emozionante. Nella basilica di piazza Santo Stefano, accanto all’università, fede e laicità, desiderio di aldilà e voglia di giustizia terrena, sentimento e ragione, si mescoleranno in un’atmosfera irreale, ma radicata in una storia che più materiale non si potrebbe, pur se ignorata dai libri di storia. Quei cinquecento e più familiari rappresenteranno con i loro occhi – ora smarriti ora fieri –, con le foto ingiallite al petto, con la loro andatura – dalla fatica di incedere dei più anziani allo sgambettare dei nipotini – un pezzo sanguinoso, il più largo, il più continuo, del cammino della nazione.
I loro volti, le loro biografie, parlano e appartengono a tutti. Dalla strage dei sindacalisti contadini nella Sicilia del dopoguerra ai giornalisti tacitati con il piombo, da chi è caduto per i suoi ideali politici a chi è stato tradito e ucciso per l’idea di Stato che si portava dentro, dai giovani ribelli gonfi di speranza ai bimbi uccisi per strada o su un campetto di calcio. Che la città di Milano si raccolga intorno a questa folla dolente. Che magari scherza come tutti ma la notte sogna spesso cose diverse, da toglierle il fiato. Anche dopo dieci, venti o trent’anni. Partecipi la città, con il suo arcivescovo, il suo sindaco, il suo prefetto, i cittadini memori e i giovani che la memoria la cercano. Senta la veglia come propria. Poiché è della storia di tutti che si parla, anche se qualcuno ne ha pagato il prezzo più di altri. Ci si specchi, nome dietro nome, e provi a riandarne al significato, all’anno, al punto preciso in cui la violenza esplose. Quando fu? Un giorno di una lontanissima estate fitto di muli e di bandiere rosse? O dopo una vittoria ai mondiali di calcio, Paolo Rossi, lo ricordate? O in un inferno salito d’improvviso sulla terra tra Milano e la Sicilia? O in una Napoli impazzita dove si contano morti quanti nella guerra civile irlandese? Grazie a Libera e a don Luigi Ciotti per avere inventato, ventotto anni fa, questa giornata, voluta da familiari meravigliosi che non ci sono più (Saveria Antiochia, Rita Borsellino…).
Perciò si resta increduli sapendo che due giorni dopo, alla Camera dei deputati, e con la partecipazione della ex ministra della Giustizia Marta Cartabia (esiste un senso delle cose…), sarà presentato un libro la cui cifra fondamentale è l’attacco alla legislazione antimafia e in particolare a Libera, concentrato di abusi e nequizie di ogni sorta. Già, alla Camera che ospita nel frattempo una mostra dedicata a La Torre e dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Due giorni dopo che lo stesso presidente della Repubblica sarà andato a celebrare la giornata della memoria a Casal di Principe, in ricordo di don Peppe Diana.
È lo spirito dei tempi. Che si intensifica. Soffia un vento sinistro sulle leggi antimafia “perché la mafia è cambiata”. Si confonde il 41 bis con l’ergastolo ostativo. La lotta alla mafia è uscita da tempo dalle agende politiche. E Libera, che cerca come può di svolgere una funzione di supplenza, fa da bersaglio per i conformisti travestiti da voci coraggiose, così come accadde con l’antimafia degli anni 80.
Com’era bello quando non c’era un’associazione nazionale che difendesse le vittime, o le aiutasse a costituirsi parte civile. Com’era bello quando nelle scuole non c’era la fissa della mafia, con questi ragazzi che d’estate vanno a fare i volontari nelle terre confiscate, forse che non è lavoro nero anche questo? Com’era bello quando nessuno studiava questa materia e si potevano dire fesserie a piacere da qualunque tribuna. Quando il diritto era l’impunità eretta a sistema. Quando Libero Grassi poteva cadere da solo, e i colleghi ne seppellivano la memoria in pochi giorni. E quando nessuno difendeva gli interessi delle vittime di mafia tra ministeri e prefetture, quando “signora mi lasci tutti gli appunti la richiamerò al più presto” e nessuno chiamava.
Di ogni organizzazione e movimento, pure del Risorgimento o della Resistenza, si può fare la controstoria e trarne infamie. Il fatto è che per molti non c’è bisogno della controstoria; basta la storia. Mentre quella vera di chi ha pagato e non si è piegato all’ingiustizia somma del potere mafioso sta scritta su quelle facce riunite in veglia. Una dietro l’altra. La storia siamo noi.
Tratto da: ilfattoquotidiano.it
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