Sono otto anni che Gino ci ha lasciato. La sua assenza si sente. Anche la rimozione del suo ricordo va avanti: nessuno più ne parla e sembrano essere definitivamente tramontati i progetti di intestazione di una strada, della biblioteca o di qualche altro angolo di Partinico. Nessuno che in questa campagna elettorale ne abbia ricordato le lotte e le idee. L’ambientalismo, che in certi periodi aveva reso Partinico una delle città siciliane più sensibili ai problemi dell’inquinamento, è tramontato con la scomparsa dei suoi uomini più rappresentativi, oltre Gino, Piero Ciravolo, Nino Amato, Toti Costanzo. I temi della vivibilità, della lotta all’abusivismo edilizio, della pulizia delle periferie, della viabilità, di un’agricoltura in grado di affrontare le sfide e i prezzi dei mercati sono scomparsi o, in qualche caso, hanno fatto capolino durante la recente campagna elettorale comunale, per essere poi seppelliti tra chiacchere, sogni e progetti irrealizzabili. Voglio ricordare Gino con un frammento del suo ultimo discorso, fatto qualche ora prima dell’incidente che ne provocò la morte. Per trovare il video.
8 novembre 2014: L’Associazione culturale Peppino Impastato organizza a Cinisi, nella sala comunale dei convegni un incontro per parlare dell’esperienza del “Circolo Musica e Cultura”, creato da Peppino Impastato e da altri compagni nel 1977. E comunque il nome dell’Associazione non risulta nel manifesto, poiché, secondo qualche compagno, avrebbe potuto dare troppa politicizzazione all’iniziativa e scoraggiare a partecipare chi voleva mantenere le distanze. Quando, al mio arrivo, mi accorgo di questa cosa la ritengo come un vergognarsi di se stessi e sono tentato di andar via, ma Gino Scasso, arrivato contemporaneamente, mi persuade a restare e a sedermi al tavolo degli interventi. Comincia Giacomino, che si è dato da fare per organizzare il tutto: propone un’immagine idilliaca del Circolo, come un momento in cui egli ha trovato la sua completa realizzazione. Qualche altro parla della struttura interna, Francesca parla della formazione del gruppo femminista, altri dei momenti di dibattito, socializzazione, analisi, organizzazione di iniziative, ecc.
Intervengo sostenendo che la mia presenza alle attività del circolo è stata occasionale, per motivi di distanza e lavoro, ma che ho contribuito alla sua nascita, a partire dal Concerto di fine anno 1976: metto in evidenza i limiti di quell’esperienza rilevati e scritti da Peppino nel suo documento, pubblicato nel mio libro su Peppino, in particolare la tendenza a rifugiarsi nel personale, la condizione pre-politica di molti dei partecipanti, l’incapacità di risolvere una serie di contraddizioni alla base di una aggregazione basata solo sui bisogni e sulle esigenze personali di comunicazione. In pratica un giudizio nettamente negativo che ha portato inevitabilmente alla dissoluzione e alla fine di quell’esperienza. Mentre parlo alcuni compagni mi guardano con segni di riprovazione. Qualcuno mi dirà poi che Peppino aveva tutto il diritto di fare quell’analisi, ma io non potevo riproporla proprio perché era negativa. Mah!
Gino interviene pure e ci mette il carico: “Non è possibile che tutti quelli che vengono il nove maggio siano considerati estranei in questo contesto di Cinisi e nella zona. Se vogliamo ricordare Peppino dobbiamo impegnarci come fece Peppino: non sulla strada della legalità, perché ognuno di noi si ritrova il coraggio che ha, però bisogna sapere andare al di là di ogni ideologismo. Non si può essere con la testa e la mentalità da reduci nel periodo del renzismo, che propone come modelli di comportamento Marchionne con quello che ha fatto. Certamente non siamo più quelli di una volta, abbiamo i capelli bianchi, non abbiamo più la forza di prima. Però non possiamo fare sesso: se vogliamo ricordare Peppino bisogna essere conseguenti, con tutti i condizionamenti della situazione fisica. Io, per esempio, questa estate non ero in grado di fare un tubo: ognuno di noi ha i suoi acciacchi. Allora il problema è fare una riflessione seria e non portarlo in giro per il mondo come un madonna pellegrina. Dobbiamo riflettere com’è possibile il modello della coerenza di Peppino e coniugarlo, calandolo nella nostra realtà e io ho notato che, secondo me la verità e rivoluzionaria, io vi dico una mia espressione: non è possibile che, per tanti anni, certo il trauma è stato grandissimo, se fosse successo a Partinico sarebbe stata la stessa cosa, ma non è che io mi trincero dietro a un dito, il problema è che non è possibile che, per tanti anni, non è stato fatto altro che, diciamo, ricordare Peppino, ma anche nella stessa terminologia, ma anche nelle stesse parole. A un certo punto uno, anch’io ho avuto mille esperienze dopo Peppino, che, anche strettamente, io non ero di Cinisi, e di questo me ne rendo conto, però non è possibile stare fermi e anchilosati da quella da quella cosa. IL problema è, come da quella esperienza, capire dove può essere cambiata la realtà. E chiudo. Vi volevo dare questo input perché non è possibile che ogni volta…”.
A questo punto la registrazione, effettuata da Giuseppe Ruffino, si interrompe. Io che l’ho ascoltata tutta ricordo che Gino rimproverava ai compagni di non avere saputo raccogliere il testimone lasciato da Peppino, ovvero di non esser capaci di cercare costantemente gli strumenti per intervenire nella realtà locale e cambiarla, ma di essere rimasti fermi alla commemorazione e al ricordo del passato. Ovvero di essere testimoni e non protagonisti.
Poco dopo io e Dina andiamo via ritenendo quell’incontro un ennesimo momento del parlarsi addosso, privo di analisi e di proposte, ma caratterizzato da rievocazioni, spesso mitizzate o rivisitate con una mutata chiave di lettura dopo 36 anni: in fondo l’arcano bisogno di dire “io c’ero”, anche da parte di coloro che c’erano stati occasionalmente, magari per cercare una compagna, un compagno, un’amicizia. Peppino lo sapeva. Aveva anche intravisto con chiarezza che lì dentro c’erano parecchi “cultori del personale e ri-creativi che non creano un cazzo”.
Siamo da poco arrivati a Partinico quando mi chiamano al cellulare. Avevano trovato sul cellulare di Gino il mio numero, come ultima chiamata e mi avvisavano che gli era successo un incidente all’ingresso di Partinico. Gino era andato a sbattere proprio all’inizio del paese, a poco più di cento metri dalla distilleria Bertolino, contro la quale aveva impegnato la sua vita per combatterne l’inquinamento. Non ho mai capito se si era sentito male, con perdita di coscienza, come credo possibile, o se avesse sbandato causando un incidente che lo aveva condotto in fin di vita. Qualcuno mi dirà, anni dopo, che andava incontro a delle piccole perdite di coscienza a causa di microlesioni che si verificavano nel cervello. Lo portarono all’ospedale in condizioni disperate. Morì dopo 14 giorni di coma, portando via con sè buona parte dell’ambientalismo e dell’opposizione radicale di sinistra, che ci aveva accomunato in tante battaglie e manifestazioni politiche per una condizione di vita più dignitosa. Nulla si sa su che fine abbiano fatto documenti, libri, immagini, giornali, che teneva nella sua casa di Via Piave.
Tratto da: ilcompagno.it
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