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21 Luglio 1979

Palermo. Latitudine 36° - longitudine 13° altezza sul mare 19, intero territorio ettari 15.876, 8 mandamenti urbani, 13 frazioni suburbane - si disfa sotto gli occhi impassibili di 659 mila palermitani. Anche a volere muovere un dito non si sa da dove cominciare, se dallo Stato che esiste solo come vertice di mafia e ladrocinio o dal cittadino che ha avuto millenni di tempo per organizzare la sua difesa a danno altrui.
Non è Europa e non è Africa. Non è capitalismo e non è feudalesimo. E’ solo una sacca.
(1)
Giorgio Boris Giuliano è il capo della Squadra Mobile di questa “sacca”.
48 anni, sposato, 3 figli. E’ nato a Piazza Armerina (Enna). Ha studiato Giurisprudenza e parla perfettamente l’inglese. Nel 1962 ha superato il concorso per commissario in Polizia.
E’ diventato Capo della Squadra Omicidi dove è rimasto fino al 1976 quando ha preso il posto di Bruno Contrada alla Mobile.
I colleghi lo chiamano lo Sceriffo per via dei suoi baffi.
La mattina del 21 luglio Giuliano esce prima del solito, va a piedi da casa ad un bar distante una cinquantina di metri - in via F. Paolo Di Blasi - nella Palermo nuova.
Sono le 7 e 55 minuti. Saluta il cassiere, poi il barista. Ordina un caffè, è in piedi al bancone prende in mano la tazzina mentre alle sue spalle entra un uomo tarchiato, carnagione scura, gli si avvicina; lo Sceriffo - che è un tiratore scelto - non fa in tempo ad estrarre la pistola.
Sette colpi di calibro 7.65 lo colpiscono a distanza ravvicinata. Il killer fugge di corsa e sale a bordo di una fiat 128 gialla guidata dai suoi complici. E’ un attimo ma in realtà è appena finita un’epoca per Palermo.
In pochi minuti sul posto ci sono gli uomini della Mobile, non vogliono fare passare nessuno, neanche la stampa; tirano giù la saracinesca del bar, ma si fa strada Letizia Battaglia: entra e fotografa un cadavere a terra, quasi non lo riconosce, è troppo sfigurato.
Aveva detto ai cronistiil 28 luglio vi darò un notizia bomba!”  Di cosa si stava occupando Boris Giuliano? Chi erano i suoi nemici? Chi sapeva i suoi movimenti? Perché non era scortato? E’ vero che quella mattina aveva ricevuto una telefonata da un confidente che gli aveva dato appuntamento al bar?
Pochi giorni prima una chiamata anonima al centralino del 113 aveva annunciato: Giuliano morirà”.
Allora senza dare a vedere la preoccupazione, aveva accompagnato sua moglie con i bambini in una località di mare in provincia di Catania ed era tornato in città con la promessa di raggiungerli al più presto. (Meglio essere solo doveva avere pensato).
E’ un poliziotto per passione Boris Giuliano, ma è anche un funzionario molto preparato (si è specializzato alla National Academy dell’FBI in Virginia, unico italiano), in più ha intuito e doti umane spiccate che gli consentono di entrare in relazione con tutti, anche nei quartieri popolari, anche con la criminalità. 
Per il suo atteggiamento affabile e rispettoso gode della stima e della fiducia di molti che non a caso lo scelgono per rivelare notizie preziose.
Non è ancora l’epoca del pentitismo e dei collaboratori di giustizia e il capo della Mobile non possiede nessuna delle informazioni fondamentali per comprendere Cosa Nostra che Tommaso Buscetta rivelerà (a Giovanni Falcone) nel 1984.
Quando viene ucciso si sta occupando di alcuni omicidi eccellenti (quello del colonnello Giuseppe Russo, del giornalista Mario Francese, del segretario della Dc Michele Reina) e in precedenza ha investigato sulla sparizione del giornalista - con un passato nell’eversione di destra - Mauro De Mauro.
Ma sta facendo anche nuove indagini sul contrabbando di stupefacenti.
“Droga drogarispondeva criptico ai giornalisti che gli facevano domande su delitti a prima vista incomprensibili.
Per primo infatti ha intuito che Palermo sta diventando uno snodo nevralgico per il traffico internazionale di eroina.
Ha già scoperto che nel capoluogo siciliano si raffina l’oppio che arriva dal triangolo d’oro dell’Indocina. Ma deve capire, una volta prodotta, dove va a finire e chi c’è dietro.
Ed il 19 giugno arriva la prima risposta: sul nastro bagagli dell’aeroporto di Punta Raisi (Pa) trova due valigie provenienti dagli Usa apparentemente dimenticate. Contengono circa 500 mila dollari; sono il pagamento di una partita di eroina sbarcata nel mercato americano, ma servono le prove. E grazie alla sua collaborazione con la DEA (Drug Enforcement Administration) e l’FBI le prove arrivano giorni dopo: all’aeroporto Kennedy di New York infatti viene ritrovato un grosso quantitativo di eroina appena arrivato da Palermo.
In quegli anni c’è un jumbo Alitalia che parte direttamente da Palermo e va a New York; già prima di queste scoperte era stato soprannominato sibillinamente “l’aereo del padrino”.
Poco prima di essere assassinato Boris Giuliano mette un altro tassello al mosaico: è il 7 luglio quando dopo aver fermato Antonino Gioè e Antonino Marchese, (che stavano tentando di recuperare una pistola P38 dimenticata in un bar), con 12 dei suoi uomini fa un blitz all’indirizzo riportato su una bolletta che i due perquisiti avevano in tasca. Fanno irruzione in una palazzina nella borgata marinara di Romagnolo, dentro non c’è nessuno ma trovano un vero e proprio arsenale di armi e droga: fucili a canne mozze, pistole, munizioni e sacchetti contenenti 4 kg eroina purissima (per un valore di tre miliardi di lire). Ma nell’appartamento ci sono anche effetti personali e documenti falsi, ed in particolare c’è una patente contraffatta sulla quale è incollata la foto di Leoluca Bagarella cognato di Totò Riina e braccio destro di Luciano Liggio latitante del clan - in ascesa - dei corleonesi.
Bagarella in quel momento è indagato anche per l’omicidio del colonnello Russo (ma ad agosto sarà scagionato dai giudici Pignatone e Sirena per insufficienza di prove; bisognerà arrivare al 1997 per avere la sua condanna definitiva).
Quel giorno il Capo della Mobile sancisce la corrispondenza fra il clan dei corleonesi e il mercato dell’eroina.
L’aeroporto di Punta Raisi, che è centro degli scambi di questo traffico, è stato voluto e creato da un sodalizio politico - mafioso che, oltre ad aver sacrificato la sicurezza in nome di “interessi economici specifici“, ne ha fatto un proprio avamposto privo di controlli e nella disponibilità di amici degli amici; cosa che anche Giuliano sa bene: tant’è che più di una persona ricorda averlo visto nello scalo aereo fuori orario, da solo ed appostato ovunque, anche dietro le macchine in sosta.
E quando la notte del 23 dicembre 1978 nelle acque davanti Punta Raisi cade un aereo con 129 persone a bordo, a tutti, a cominciare dalle autorità aeroportuali - non in regola - conviene dire che si è trattato un mero incidente, tranne a Boris Giuliano che fa tutto ciò che in quel momento è in suo possesso di fare; diversamente da altri rappresentanti delle istituzioni ed investigatori. Morendo nel luglio successivo non ha potuto dare il suo acuto, temuto, e leale contributo alla verità di questa e di altre vicende.
E delle capacità investigative di Giuliano parlerà anche Paolo Borsellino nell’ordinanza di rinvio a giudizio per il primo maxi processo: “se altri organismi dello Stato avessero assecondato l’intelligente opera investigativa di Boris Giuliano (…) l’organizzazione criminale mafiosa non si sarebbe sviluppata sino a questo punto, e molti omicidi, compreso quello dello stesso Giuliano non sarebbero stati commessi”.
E’ con rammarico che oggi ci tocca constatare che questa figura risulta meno ricordata e celebrata rispetto a tanti finti eroi vivi e soprattutto morti, della lotta alla mafia.
(1 cit. op. Giuliana Saladino - Romanzo Politico)

Foto © Archivio Letizia Battaglia

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