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A Falcone il Maxi Processo è costato la vita, a Leoluca Orlando l’isolamento perché, quando tocchi il nervo del sistema, quando dici la verità che è oscena e si deve tacere, scatta la reazione di quella parte di Stato collusa

Il libro sarà presentato alle 17 di martedì 13 Luglio alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, alla presenza del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dello scrittore Gino Pantaleone e dell’avv. Giorgio Bisagna.
Un libro certamente difficile, ma senza ombra di dubbio importante, nel quale immergersi per fare un viaggio anche a ritroso nel tempo che, però, ci riporta a un oggi nel quale il divario tra inclusi ed esclusi, tra il mondo dei garantiti e di quelli che, per rivendicare il loro esistere, lanciano sassi dai cavalcavia, è sempre più forte e aumenta progressivamente. Non enuncia nuove tesi né pretende di essere originale quando parla di razzismo, di devianza o disagio economico, quando racconta il dolore che alberga nell’animo di coloro che vivono nelle periferie del nuovo terzo mondo (esclusi, emarginati, immigrati, giovani in conflitto con se stessi e la società).
Gli estranei. Underclass e identità borderline” di Victor Matteucci (Nuova Ipsa Editore), la cui presentazione è prevista alle 17 di martedì 13 Luglio alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, in via Vittorio Emanuele 429, è un libro “del quale non c’era bisogno - scrive lo stesso autore - ma che credo soddisfi il bisogno di mettere in sequenza le figure di “esclusi” secondo i loro generi (devianti, disagiati, esclusi economici, ecc.), dando un ordine alle forme di subalternità culturale, economica ed etnica.  Volevo offrire al lettore una visione connessa e temporale anche in base alle specifiche matrici e caratteristiche di ogni soggetto. Ovviamente, analizzando anche i contesti in cui certi fenomeni si sviluppano, le condizioni in cui determinati territori si trovano quando la storia pressa e ci chiede ragioni, anche quando le reazioni sono generate per esempio da tesi impossibili come quella in base alla quale la mafia non esisterebbe».

Un lavoro importante, dicevamo, che ci porta a chiedere allo stesso autore quando e come nasce l'idea di scriverlo.
«È frutto in un certo senso di un’osservazione – spiega Victor Matteucci - , sollecitata da una conversazione che feci anni addietro con padre Ernesto Balducci, su quanto l’Occidente oggi, ma diciamo pure da sempre, continui a rifugiarsi in un feudo con l’aria condizionata mentre, all’esterno di questo giardino dell’Eden tutto dorato, c’è tutto un mondo in cui la gente non ha niente da perdere.  Ero molto giovane e questo confronto mi ha aperto a uno scenario apocalittico. Eravamo a Firenze e padre Balducci mi disse esattamente: “Vedi dove siamo qui? All’ombra del campanile di Giotto, immersi nel Rinascimento. Metti a fianco di questa immagine la Palestina, l’Intifada, i ragazzi che tirano le pietre in mezzo al fango, i profughi, la guerra civile in Libano (eravamo alla fine degli anni ’90). Ecco, queste due diapositive messe insieme mi hanno fatto capire che c’è un mondo garantito privilegiato e un mondo degli esclusi e che siamo in una condizione di Medioevo Atomico. Anche se non c’è più il muro del medioevo classico, c'è un confine che distingue chi vive in un certo contesto garantito, pacificato, privilegiato e un altro nel caos totale, senza niente, senza garanzie, standard di vita, sicurezza, dove tutto è molto precario. Questo è il punto di partenza per ragionare su questo libro, per riflettere sugli esclusi».

Firenze come il Medioriente, l’Africa, ma anche molto poco lontano  da qualunque altra città, come qualunque altra provincia nella quale siamo noi stessi a creare un deserto esistenziale funzionale ad alimentare un sistema capitalistico feroce.
«Al di fuori di ogni grande città c’è, infatti, chi vive nelle borgate, c’è un mondo di esclusi nel quale non entreremo mai. Un mondo di invisibili che nessuno vede, ma che esiste. Stiamo parlando di un mondo che non ha niente e che sta fianco a fianco dei cittadini che hanno di tutto e di più.  Ogni città ha la sua periferia, il suo terzo mondo, il suo ghetto. Anzi, la parte di società che sta bene e non si pone alcun problema vive della periferia, del sommerso, del precariato, del lavoro nero.  Bisogna avere chiaro che, sia dentro l’Occidente stesso sia fuori dall’Occidente, c’è un mondo di inclusi, di garantiti e un altro di esclusi, una marea di gente assediata dal dolore, senza futuro, che fa pressione sul mondo garantito».

Un mondo di sogni infranti che si confronta con l’era di un capitalismo in piena fase di espansione.
«Nella fase espansiva del capitalismo, gli anni Settanta / Ottanta - prosegue Matteucci - si intravedeva la possibilità di ridistribuire il reddito, le risorse, di avere e creare nuove opportunità. Molti di noi hanno studiato, molti contadini si sono trasferiti dalle campagne alle città, c’è stato un movimento di inclusione che si è alimentato attraverso il boom economico. Oggi, comunque da 20/30 anni a questa parte, stiamo vivendo un lunghissimo momento di crisi del sistema in cui progressivamente le occasioni sono diminuite e gli esclusi sono andati sempre più aumentando. La classe  media, il proletariato garantito appartengono a secoli fa. Oggi nemmeno la borghesia è più garantita. La precarietà avanza e l’esclusione aumenta, quindi il numero degli esclusi, di giovani che non hanno le possibilità che avevamo noi per esempio di studiare, così da emancipare anche le famiglie, è diventata una prospettiva ormai impossibile nella stragrande maggioranza dei casi. Tutto questo ha accresciuto e continua a far aumentare incertezza, insicurezza, precarietà e numero di esclusi che fanno sempre più pressione».

Tutto ciò, però, si traduce anche in politica. In che maniera e sotto quale forma?
«In politica questo si traduce in populismo. La rabbia, il malcontento, l'esclusione emerge in tutta Europa con quella rabbia popolare che non ha più sbocchi, non ha più cultura, non ha più opportunità. C’è una tale carica di odio, di rancore verso la casta politica, la casta economica, la casta culturale, verso i salotti borghesi».

Una rabbia diffusa alimentata da determinate promesse non mantenute.
«La promessa della tecnologia, della globalizzazione era la speranza di sviluppare a famosa new economy. Un miraggio che non ha prodotto le aspettative che avevamo e su cui puntavamo: il rilancio economico, i servizi, la cultura immateriale. Tutto questo sino a oggi non ha gettato alcuna base per lo sviluppo, anzi ha creato nuove dipendenze, nuovi rancori. La globalizzazione ha prodotto una reazione localistica perché ha cancellato l’identità e, quindi, le persone più fragili, di fronte alla globalizzazione che rischia di omologare tutti, soprattutto chi è più insicuro, si aggrappano al territorio, così rinasce il bergamasco, la Padania, i territori come tentativo di attaccarsi a qualunque cosa, a una storia, a un’appartenenza che rischia di far saltare tutto. Questo per le classi medio alte non è un problema, ma il proletariato si trova a perdere la propria identità. Se, poi, a questo aggiungi che non c’è possibilità di lavoro, che non c’è speranza di inclusione, di studiare, di cultura, il risultato sono le famiglie che si disgregano sotto questa continua pressione. E i figli, i ragazzi, gli adolescenti, in quanto più fragili, i vulnerabili, pagano il prezzo del disorientamento, della destabilizzazione, con sempre più crescente disagio, devianza e marginalità».

Tutto questo risulta ancora più grave nel Mezzogiorno, drammaticamente coinvolto in questa crisi.
«Qui un giovane su due non lavora e la disoccupazione è oltre il 50%. Stiamo parlando di un territorio extraeuropeo perché la media europea si ferma a Roma. Da lì in su siamo negli standard europei di servizi, occupazione, sviluppo e infrastrutture esistenti. Da Roma in giù siamo fuori dall’Europa, in un territorio paragonabile ai paesi extraeuropei come qualità della vita, come Pil. E’ chiaro che qui si concentrano un disagio e una devianza molto pesanti. Non è un caso che, dove lo Stato non rispetta il patto sociale, dove non c’è il contratto sociale, dove non si garantiscono alle famiglie sviluppo, inclusione, opportunità, interviene la criminalità organizzata che occupa lo spazio vuoto, organizza i giovani e tutto il contesto in attività illecite, riciclaggio di denaro, attività vessatorie ed estorsive, spaccio di droga».

Quando parliamo di Mezzogiorno, tornano a farsi sentire con orrore le affermazioni disarmanti di chi, addirittura sino a qualche anno fa, provava a far passare la tesi che “la mafia non esiste”.
«Questo è un altro degli argomenti di questo libro. Naturalmente dobbiamo fare una premessa. Quando parlo di esclusi e di esclusione è inevitabile parlare del sistema in cui viviamo. Un sistema che ha una sottile ipocrisia di fondo. Tutto quello che accadde ha una natura economica e politica complessa. Se poi guardiamo i terminali – il furto nei negozi, il marito che uccide la moglie -, recuperando la dimensione qualitativa e quantitativa di questi scontri, ci accorgiamo che non sono così occasionali, ma continui, quasi strutturali. Tra le tante ipocrisie del sistema c’è la contrapposizione tra il mondo della legalità e quello dei cattivi e degli illegali. Il racconto che viene proposto è sempre molto popolare, funziona come la cronaca nera e rosa. Tutte pagine funzionali ad assecondare e costruire un’ opinione pubblica superficiale; in realtà dobbiamo accettare il fatto che il sistema capitalistico si compone di 3 forme di capitale: il capitale pubblico, quello privato legale e quello privato illegale il quale partecipa, funziona ed è funzionale al Pil dello Stato.  Per tanti anni si è detto che la mafia non esiste. Sempre in questo racconto mitologico che tenta di nascondere le verità delle cose, non si voleva accettare l’idea che ci fosse una struttura organizzata, stabile e permanente illegale. Per arrivare a questa chiarezza, a tale lucidità ci sono voluti decenni e fior fiore di intellettuali, politici, giornalisti morti, cadaveri.  Sino a pochi anni fa si diceva che la mafia non esisteva. Questo perché il sistema, nel suo complesso, ha sempre l’interesse a raccontare il tutto attraverso singole storie.  Se, quindi, è morto un ragazzo anarchico in Sicilia, è morto perché chissà che ha fatto.  Per anni è stato così: racconti singolari in cui, se un imprenditore veniva gambizzato, qualcosa aveva fatto. C’è sempre, nel racconto, la vittima complice che spiega quel fatto e chi osserva pensa “tanto non accadrà mai a me”.
Per arrivare alla verità che la mafia esiste si è dovuto arrivare al Maxi Processo, quindi alle sentenze, al pentitismo di Buscetta e di tanti altri che hanno consentito di ricostruire un’attività permanente con tanto di Cupola, Mandamenti. Sapevamo tutto, ma lo abbiamo dovuto acclamare sul piano del diritto. Sul piano politico e culturale, invece, l’equivalente del Maxi Processo è stata l’azione di Leoluca Orlando. La sua è stata la denuncia, ma attenzione, non di un qualunque comunista di passaggio o di un intellettuale sui generis, il solito Pasolini di turno, ma di un leader della Dc, un borghese aristocratico candidato a essere il punto di riferimento della borghesia siciliana ed europea. Se Orlando, già da giovane con il suo fortissimo consenso popolare, espressione di una famiglia aristocratica, un giorno dice pubblicamente che la Dc è collusa con la mafia, il Partito Stato, facendo nomi e cognomi non di briganti o contadini, ma di senatori, ministri di governo, capiamo bene che per gravità, esplosività, equivale al Maxi Processo in politica. C’è un prima e un dopo in politica, un prima e un dopo Orlando. Con lui c’è la prova definitiva che la mafia e lo Stato sono coinvolti e che pezzi dello Stato sono collusi da sempre, che il “Patto Stato Mafia” è sempre esistito. Cosa che va di pari passo con il Maxi Processo, acclamato sul piano del diritto. Allo stesso modo in politica, non dobbiamo più dimostrare che la mafia esiste, tant’è che esponenti della Dc sono stati messi sotto processo, alcuni sono morti, Lima, Ciancimino, Andreotti (badiamo bene, non è stato assolto, ma c’è stata prescrizione).
Per arrivare a questa verità ci sono voluti morti e, nel caso di Orlando, ha significato l’isolamento politico.  A Falcone il Maxi Processo è costato la vita, a Orlando l’isolamento perchè, rispetto  a questi uomini, quando tocchi il nervo del sistema, il cuore del sistema, quando dici la verità che è oscena e si deve tacere, scatta la reazione di quella parte di Stato coinvolta. Quella famosa zona grigia che è argomento difficile da digerire perchè è facile parlare di Provenzano, Riina, Contorno, più difficile di Lima, Andreotti, della borghesia, di professionisti coinvolti, collusi che fanno la spola come galoppini tra gli enti locali e le imprese. La stessa cosa quando parliamo di donne. Facile raccontare di operai ignoranti che usano violenza, ma molto difficile parlarne se l’uomo è un medico, un professionista. Quando tocchi la zona grigia, quando i cattivi siamo noi, tutto si complica e il sistema reagisce perché c'è questa ipocrisia di fondo che ci impedisce di toccare la verità. Non si può dire, infatti, che le aziende del nord hanno per decenni scaricato rifiuti tossici nel sud, che le ditte di Milano sono legalissime ma il lavoro sporco lo fanno altrove.  Ricordiamo Saviano quando racconta che l’alta moda viene confezionata nella provincia di Napoli.  Il vestito che Angelina Jolie sfoggia sul red carpet viene fabbricato nel casertano.
Il retro bottega del sistema, il dietro di Hollywood ha la periferia nel mondo dei ragazzi turchi che cuciono i palloni Nike, degli indiani che producono i vestiti del tennis. Hai Wimbledon, ma dietro c'è un mondo di sommerso, di sfruttamento che non vogliano vedere. Il Medioevo Atomico non vuole vedere tutto questo, rifiuta di guardare oltre le mura, non vede e non sente il dolore, non vede i barconi nel Mediterraneo che è ormai il cimitero di bambini e donne. Noi continuiamo a mangiare beatamente badando bene a mantenere una certa distanza culturale; il nostro cinismo è aumentato, non ci turba più niente».

Sicuramente molto distanti tra di loro, lo dicevamo all’inizio, le dimensioni su cui viaggia “Gli estranei” di Victor Matteucci, ma in maniera volutamente consapevole. Ribadendo che singolarmente i capitoli non portano alcuna nuova tesi, anche perché la letteratura ne parla copiosamente, ma il viaggio a cui ci invita l’autore vale la pena di farlo insieme a lui.
«Le idee fondanti sono due: 1) il rapporto tra noi e gli altri. In Occidente questo rapporto con l’altro è profondamente malato, guasto. È una relazione perversa, oserei dire. Quando ci riferiamo agli altri o all'altro, l’altro non è mai neutro ma é sempre qualcuno minore di noi, peggiore di noi o, nel migliore dei  casi, in via di sviluppo. È sempre qualcosa o qualcuno con difetti, problemi, più povero, meno preparato, ha dei limiti. Il concetto di altro, in Occidente, è sempre caricato di disvalore, abbiamo una visione eurocentrica in cui noi occidentali siamo il centro del mondo, siamo noi il prototipo, abbiamo noi il modello. Quando diciamo “Europa resto del mondo”, stiamo dicendo che siamo noi la civiltà e il resto del mondo è ciò che sta fuori; 2) questa visione dell’altro come perdente, insufficiente, inadeguato, carente, malato, criminale, povero, è frutto di un meccanismo che costruisce continui conflitti tra gli uomini che si scontrano nel mercato dove qualcuno è dominante e qualcuno perdente. Tutto il sistema è costruito su questo conflitto che poi stabilisce chi perde e chi vince, chi è dominante e chi è subalterno. Detto questo, l’altro punto chiave del libro che io rivendico è che questo sistema ha una sua struttura ideologica complessa, un sistema unico che nega continuamente questa lettura ideologica. Per esempio, se avviene un femminicidio, non si dice che è il 385° in Europa dall’inizio dell’anno, non si dice che muoiono ogni giorno 3 donne o che ogni giorno una donna si rivolge ai servizi. Non ti dà una lettura di continuità di questa guerra continua. Apprendi quel che succede come caso di cronaca perché è il modo con cui il sistema nega, riduce tutto a casi singolari. Così come, se c’è una rapina a Canicattì, non si racconta che quotidianamente ci sono giovani che entrano nel mondo della devianza per sopravvivere. Non si dice che c’è una popolazione concentrata in determinate aree del territorio che non ha lavoro e vive ai bordi della legalità, rapinando, spacciando droga, prostituendosi. Per rendere ancora più forte questo concetto, ho usato le immagini di quei ragazzi che lanciavano sassi dai cavalcavia. Ragazzi di borgata, di periferia, che non posseggono macchine, carte di credito, non vanno in vacanza e che vedono scorrere la vita degli altri sotto di loro.  Il lancio delle pietre è sintomatico, istintivo dei margini a cui vengono relegati gli esclusi. Oggi, però, il fenomeno è peggiorato. Oggi c’è una diffusa situazione di indisponibilità sociale dei giovani. I sassi erano la prima fase romantica. Oggi non accade più perché il disagio giovanile ha una prima fase espansiva che ti fa vedere la provocazione, poi il disagiato entra in una condizione di introversione, quindi lo perdi; anche la provocazione è una richiesta di contatto ma, quando vai oltre, aumenta la devianza. Oggi distinguiamo il mondo dei garantiti e quello degli esclusi, che hanno una distanza drammatica. E non sono un caso il populismo o anche forme di inoccupazione e precariato diffuse, di disincanto.  I giovani vivono un eterno presente, le nuove generazioni non hanno una prospettiva, una profondità. Non hanno un progetto di medio e lungo termine. Il loro obiettivo è l’aperitivo, la discoteca... stasera.  Il consumo quasi famelico del presente. E questo è un prodotto del sistema. E non è un caso se si sono tagliate prospettive, speranze ai giovani. L’eterno presente è una tragedia su cui stiamo soffermandoci troppo».

Cosa le piacerebbe che rimanesse a chi legge il suo libro?
«Combatto da sempre contro la cultura delle ultime notizie, che è un modo di ragionare secondo cui  la notizia, se è stata già data, non ha più senso, perde di valore.  Combatto contro questo concetto che può valere per un quotidiano, per il web che ha ancora più accorciato la vita di notizie e fatti. In questa tendenza alla cultura delle ultime notizie, si è creata una forma mentis che ci fa accorgere che non ragioniamo più, che tende a cancellare la memoria, che ci impedisce di dare una sequenzialità alle cose, facciamo il gioco del sistema.   Non hai consapevolezza che tutto questo è all’interno di un conflitto di genere che riguarda maschi e femmine e il loro ruolo nella società. Differenti prospettive, altre aspettative, garanzie, disuguaglianze che non coglierai. Non coglierai il fatto che, dietro c'è una storia di uomini e donne e di un conflitto che si accende quando le donne rivendicano spazi, diritti, libertà, andando a cozzare contro il concetto che i maschi hanno le donne come proprietà, possesso. Sino a qualche anno fa gli uomini volevano le donne vergini. Questo ci dice che, se uno vuole essere il primo, è chiaro che ti considera come un oggetto che gli appartiene, Vorrei che rimanesse questa apertura di prospettive e di visioni ideologiche che mettono insieme situazioni e paesi distanti tra di loro.  È  un libro, lo abbiamo già detto, che non pretende di rivelare cose nuove sui conflitti di genere, gli scontri razziali e gli altri, ma tenta di mettere insieme per esempio l’isolamento di Orlando come quello di un aristocratico borghese dissenziente che ha tradito la borghesia o che comunque è venuto meno al patto di complicità che la borghesia ha avuto con la criminalità organizzata. Con esclusioni molto lontane da Orlando, anche alcune molto proletarie, di genere.  Forme di emarginazione, di isolamenti, conflitti tra di loro apparentemente molti lontani; in realtà, la macchina è una e il sistema produce degli effetti, delle cause e conseguenze che, se stai dentro il sistema in modo conformista, ne trai dei vantaggi, dei privilegi, delle garanzie; diversamente sei messo all'indice. Nel caso dei proletari finisci in galera, se sei una donna vieni rinchiusa tra quattro mura all'interno di matrimoni che ti portano alla morte; nel caso di Orlando, per esempio, c’è l'isolamento politico, culturale che toglie la parola, così come avviene a tutti gli intellettuali. Se pensi a Pasolini, capisci qual è il destino segnato».

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