Il rapporto di medici senza frontiere: "Negli ultimi due anni 180 episodi di autolesionismo e tentati suicidi, i due terzi tra i bambini. L'ultimo aveva sei anni"
"Nel 2019 e 2020 le nostre cliniche di salute mentale a Chios, Lesbo e Samos hanno curato 1.369 pazienti, molti dei quali in gravi condizioni, affetti ad esempio da disturbi da stress post-traumatico e depressione. Più di 180 persone curate dalle nostre équipe hanno avuto episodi di autolesionismo o hanno tentato il suicidio. Due terzi di loro erano bambini, il più piccolo aveva solo sei anni"
Questo è il durissimo rapporto redatto di Medici Senza Frontiere pubblicato sul loro sito in data odierna.
I migranti con i loro piccoli non sono su Instagram con il volto rifatto da mille filtri e non sono su Tik Tok a compiacere i gusti di un pubblico sempre più assuefatto dall'onnipresente opinione degli Influencer.
Forse è per questo che non vengono considerati. I fantasmi del nostro tempo venuti in cerca di un sogno ma che hanno trovato solo un desolante incubo.
A Lesbo ci sono 6570 di questi fantasmi, accampati in condizioni disumane ormai da nove mesi vicino al mare e su un terreno arido di un ex poligono di tiro.
In quel posto avvengono fatti degni del giubilo di Reinhard Heydrich il capo della Polizia Segreta tedesca durante il secondo conflitto mondiale.
Uomini con teste avvolte dalle sciarpe per proteggersi sia dal caldo che dal freddo senza scarpe e guardati a vista dai cani delle guardie di frontiera.
Immaginate cosa voglia dire per una bambina di otto anni urlare fino a perdere la voce, vedere le fiamme divorare il campo di Moria mentre la violenza padroneggiava fra le tende e chieder aiuto invano ai genitori umiliati sia dalla sorte che dagli uomini e piangere fino chiudersi in un silenzio inaccessibile la notte di Natale.
"La Stampa" ha raccolto la testimonianza di Mara Eliana Tunno, la psicologa italiana che dalla fine del 2020 ascolta con grande spirito di servizio i racconti di morte e paura di chi bussa alla sua porta alla clinica di salute mentale di Medici Senza Frontiere: "E' arrivata più di un anno fa ed era una bambina piena di salute, è regredita come succede a tantissimi che sbarcano dopo essere sopravvissuti a traversate disperate e pensano di essere in salvo fin quando realizzano dove sono e ci chiedono se l'Europa sia davvero questa spiaggia battuta dal vento gelido d'inverno e arroventata d'estate".
Oltre a Lesbo c'è anche il campo di Samos dove una giovane donna trentatreenne di nome Fatima cerca di trovare la forza della maternità: "Mia figlia ha sei anni, pesava 24 chili quando siamo arrivati e oggi ne pesa 16, non mangia più ed è cambiata tanto, ha paura di tutto, anche solo della pioggia che cade sulla tenda, la cosa più pesante per me è non poter fare nulla".
Inoltre il governo greco, grazie ai soldi dell'Europa, sta progettando di spostare il campo, assieme alle 1705 persone che lo abitano, in una nuova struttura recintata col filo spinato al centro dell'isola, lontano dal mare e da qualsiasi villaggio abitato. Come per non dare fastidio ai vacanzieri che a breve giungeranno.
E c'è anche Chios un lager a cielo aperto senza acqua potabile e 973 coppie di occhi infossati che non ricevono neanche la consolazione di un po' di pietà.
Tutto grazie alle politiche migratorie dell'UE che negli anni ha messo in pericolo migliaia di vite. Nel marzo 2016, 847 sono morte nel tentativo di raggiungere la Grecia e 21 hanno perso la vita negli hotspot, cioè centri sulle frontiere esterne dell’Unione in cui si procederà a registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo. Questo sulla carta ma la realtà è ben diversa.
Negli ultimi due anni i medici hanno seguito almeno 180 pazienti che si erano tagliati volontariamente o avevano provato a togliersi la vita, due volte su tre si trattava di un bambino. L'ultimo aveva sei anni.
"La Stampa" ha anche raccolto il racconto di Mohammed, un ragazzo di trent'anni che ha iniziato il suo viaggio dall'Afghanistan e finito a Lesbo, "questo posto mi ha distrutto dentro, la notte un'ombra piomba su di me, sono rotto, è una situazione di morte senza fine". Un suo omonimo di trentun'anni fuggito dalla natia Idlib e dalla guerra siriana nell'ottobre del 2019 ha raccontato invece che "viviamo in condizioni da animali più che da esseri umani, siamo pronti ad adattarci a qualsiasi circostanza ma qui non c'è scelta, le 'pareti' della mia casa sono fogli di plastica e non mi proteggono da nulla". La moglie e i figli del ragazzo sono in Libia, probabilmente prigioniere in un 'centro di raccolta', con la compiacente partecipazione dell'Europa e del Governo Draghi.
"L'Ue deve porre fine alle politiche di contenimento e garantire che le persone che arrivano in Europa abbiano accesso all'assistenza urgente" ripete, fino a perdere la voce Reem Mussa, esperta di migrazioni di MSF.
Intanto Bruxelles si chiude nel suo loop di polemiche senza inizio né fine mentre la gente muore. L'Italia, così come la Grecia e la Spagna sono state lasciate sole a gestire un disastro di cui tutta la comunità Europea è responsabile, ostaggi di quel regolamento di Dublino che impone l'esame delle richieste d'asilo dei migranti al primo paese di sbarco.
"Nonostante affermino di voler migliorare la situazione - si legge nel rapporto di MSF - l'Ue e il governo greco stanno spendendo milioni di euro per standardizzare e intensificare politiche che hanno già causato tanti danni. Non è troppo tardi per la compassione".
Quel corpo sulle spiagge della Norvegia
Artin aveva solo 15 mesi e stava viaggiando assieme alla sua famiglia - papà Rasoul Iran-Nejad di 35 anni e Shiva Mohammad Panahi, anche lei 35enne con i tre bimbi, Anita di 9 anni e Armin di 6 - su una barca di origine curdo-siriana, affondata il 27 ottobre scorso nelle acque del Canale della Manica a pochi chilometri dalla loro destinazione.
Il piccolo Artin è stato trovato sulla spiaggia della Norvegia a gennaio di quest'anno vicino a Karmoy, avvolto in una tutina blu scuro, mentre della sua famiglia si è persa ogni traccia. La polizia Norvegese lo ha raccolto e dopo mesi sono riusciti ad identificarlo.
Il loro viaggio infernale è durato quasi tre mesi: sono partiti dall'Iran il 7 agosto, avevano attraversato la Turchia per poi approdare in Puglia portati dai trafficanti russi o ucraini e poi su fino alla Francia. Qui è finito tutto.
La autorità francesi di Dunkerque sul naufragio hanno aperto un'inchiesta ma i veri colpevoli non sono difficili da trovare.
Le politiche guerrafondaie dell'occidente assieme alle spinte persecutorie del presidente turco Erdogan hanno dato vita ad una situazione in cui l'unica speranza per molti abitanti della regione è quella di abbandonare la loro terra e cercare una vita migliore.
E mentre sotto la bandiera Europea i politici starnazzano, ognuno in difesa del proprio 'spazio vitale' i ricordi vanno al piccolo Alan Kurdi, il bimbo siriano di tre anni, di etnia curda di Siria, trovato cadavere a faccia in giù sulla spiaggia della Turchia a settembre 2015 e ai corpi senza vita dei piccoli sulla spiaggia di Zuwara, in Libia, denunciati due settimane fa dal fondatore di Open Arms, Oscar Camps.
Grazie Europa e grazie anche ai tuoi 'valori universali' che tanto sfoggi quando c'è da difendere mafiosi stagisti e assassini ma che sotterri e disprezzi gli innocenti e le vittime.
Per leggere il rapporto di MSF: Clicca qui!
Fonte: La Stampa
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