Una settimana fa, il 25 aprile, è stato l’anniversario della Liberazione dell’Italia dal regime fascista. Una liberazione conquistata con la lotta e con il sangue di migliaia di partigiani, che hanno dato la loro vita per la nostra libertà. Non è mai un giorno sbagliato per ricordare quel periodo. Troppo spesso, infatti, ci scordiamo di una parte indispensabile di questi combattenti: le donne. Partigiane che hanno rischiato e perso la vita, che hanno impugnato le armi e dato la loro voce per la Resistenza.
Le donne giocarono un ruolo fondamentale: erano organizzate nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), nelle Squadre di Azione Patriottica (SAP) e nei Gruppi di difesa della donna, molte di loro erano impegnate nella propaganda antifascista, con scioperi, manifestazioni e veri e propri atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.
Organizzavano, inoltre, raccolte fondi per i familiari degli italiani arrestati o uccisi e per le famiglie dei partigiani in difficoltà economica. Furono proprio le donne a fondare squadre di primo soccorso per feriti e ammalati, oltre che per l’identificazione dei cadaveri e per fornire assistenza ai familiari delle vittime. Portando avanti, allo stesso tempo, raccolte di medicinali, di indumenti e di cibo. Tante offrivano le proprie case come rifugi per i partigiani o per ospitare feriti.
Le staffette: ruolo cruciale e simbolo della Resistenza “al femminile”
Si trattava di giovani donne, tra i 16 e i 18 anni, disarmate e vestite con abiti comuni, per passare più facilmente inosservate, che permettevano il mantenimento dei contatti fra brigate e fra partigiani e familiari e, in alcuni casi, accompagnavano gli eventuali resistenti. Percorrevano chilometri e chilometri, con qualsiasi mezzo di trasporto disponibile, dalla bicicletta ai carri del bestiame, per portare a termine il proprio compito. Oltre a dover affrontare le difficoltà meteorologiche, senza la possibilità di tenere armi, ogni giorno correvano il rischio di venire catturate, torturate, violentate ed uccise dalle truppe nazifasciste. Gina Galeotti aveva 32 anni quando è stata uccisa, insieme al bimbo che portava in grembo da otto mesi. Era entrata nella Resistenza a soli 16 anni e da allora era stata catturata e interrogata 33 volte, sopravvivendo spesso a torture. Il 25 aprile del 1945 stava portando a termine uno dei tanti incarichi da staffetta, quando incontrò un camion tedesco fermato dalle truppe partigiane. Nonostante le raffiche partite dal veicolo, Gina non si fece intimidire e continuò la sua corsa. Venne raggiunta da una serie di colpi, che le fu fatale. Furono 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 2.756 quelle deportate nei lager tedeschi.
Furono 35.000 le donne combattenti scese in guerra
Infatti, non furono poche le partigiane che scesero in prima persona in combattimento contro il regime fascista, a fianco degli uomini. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) ne conta 35.000, di cui quasi 3.000 morirono. Martiri per la libertà. Partigiane che dovremmo ringraziare e ricordare non solo il 25 aprile, ma ogni giorno dell’anno.
In effetti esse imbracciarono le armi, schierandosi in mezzo al freddo e con alto rischio di ammalarsi, nelle trincee sui monti. Compagne che, come emerge da vari racconti, si sono spesso oltretutto dovute scontrare con i pregiudizi dei partigiani stessi, per poi dimostrare la propria forza. Nacque in Piemonte, nel 1944, il primo gruppo di donne combattenti, presso la Brigata garibaldina “Eusebio Giambone”. Tra le varie combattenti non possiamo non citare Carla Capponi, il cui nome di battaglia era “Elena”, combattente nella Resistenza romana. Iniziò la lotta quando assistette ad un “Tigre” tedesco che mitragliava un carro armato italiano in ritirata. Di istinto, accorse e trascinò il carrista italiano per le ascelle, a tratti caricandoselo sulle spalle, fino alla propria abitazione. Gli salvò la vita, rischiando la propria. Una volta entrata nel Gruppo di Azione Patriottica (GAP) centrale, i compagni la relegarono ad una funzione di appoggio, in quanto donna, e le negarono le armi. Ma Carla non si arrese: mentre si trovava su un autobus molto affollato, rubò la pistola ad un membro della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), e ottenuto il ruolo, si contraddistinse in diverse imprese. Fra queste, l’azione di Via Rasella, il più clamoroso e sanguinoso attentato urbano antitedesco dell’Europa occidentale. Dopo la guerra, ha ricevuto la medaglia d’oro al valore militare ed il riconoscimento di partigiana combattente con il ruolo di capitano.
Il ruolo delle donne all’inizio della prima Repubblica
Successivamente, sono state molte le donne che, durante la Liberazione, presero parte alla rinascita delle istituzioni.
Nel 1946 per esempio tutti ricorderanno Teresa Mattei, la più giovane eletta all’Assemblea Costituente, precisamente all’età di 25 anni. Dopo aver partecipato per anni attivamente alla Resistenza, come staffetta, ed aver fondato i Gruppi di difesa della donna di Firenze. Dopo essere stata arrestata, torturata e violentata dai fascisti, a Perugia.
Teresa Mattei è stata una delle firmatarie dell’Articolo 3, al quale fa aggiungere l’espressione “di fatto”, rispetto agli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Nel marzo 1947, durante una seduta dell’Assemblea Costituente, si espresse così in merito alla partecipazione delle donne in politica: “Se la Repubblica vuole che più agevolmente e prestamente queste donne collaborino [...] alla costituzione di una società nuova e più giusta, è suo compito far sì che tutti gli ostacoli siano rimossi dal loro cammino, e che esse trovino al massimo facilitata ed aperta almeno la via solenne del diritto”.
Durante la Resistenza le donne si presero ruoli che da anni era gli erano preclusi. Si dimostrarono patriote, cittadine, combattenti, italiane, pari ai loro compagni. Eppure dopo la Liberazione il loro contributo è stato cancellato dalla storia. Calò nell’oblio il percorso di emancipazione che avevano potuto sperimentare e ognuna di loro tornò ai propri ruoli tradizionali. La maggior parte delle partigiane non chiese nemmeno un qualsivoglia riconoscimento, credendo di aver solamente fatto il proprio dovere. Un dovere che ci permette oggi di vivere liberi.
Il 25 aprile è l’anniversario della Liberazione dell’Italia, conquistata dai partigiani e dalle partigiane.
Le donne giocarono un ruolo fondamentale: erano organizzate nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), nelle Squadre di Azione Patriottica (SAP) e nei Gruppi di difesa della donna, molte di loro erano impegnate nella propaganda antifascista, con scioperi, manifestazioni e veri e propri atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.
Organizzavano, inoltre, raccolte fondi per i familiari degli italiani arrestati o uccisi e per le famiglie dei partigiani in difficoltà economica. Furono proprio le donne a fondare squadre di primo soccorso per feriti e ammalati, oltre che per l’identificazione dei cadaveri e per fornire assistenza ai familiari delle vittime. Portando avanti, allo stesso tempo, raccolte di medicinali, di indumenti e di cibo. Tante offrivano le proprie case come rifugi per i partigiani o per ospitare feriti.
Le staffette: ruolo cruciale e simbolo della Resistenza “al femminile”
Si trattava di giovani donne, tra i 16 e i 18 anni, disarmate e vestite con abiti comuni, per passare più facilmente inosservate, che permettevano il mantenimento dei contatti fra brigate e fra partigiani e familiari e, in alcuni casi, accompagnavano gli eventuali resistenti. Percorrevano chilometri e chilometri, con qualsiasi mezzo di trasporto disponibile, dalla bicicletta ai carri del bestiame, per portare a termine il proprio compito. Oltre a dover affrontare le difficoltà meteorologiche, senza la possibilità di tenere armi, ogni giorno correvano il rischio di venire catturate, torturate, violentate ed uccise dalle truppe nazifasciste. Gina Galeotti aveva 32 anni quando è stata uccisa, insieme al bimbo che portava in grembo da otto mesi. Era entrata nella Resistenza a soli 16 anni e da allora era stata catturata e interrogata 33 volte, sopravvivendo spesso a torture. Il 25 aprile del 1945 stava portando a termine uno dei tanti incarichi da staffetta, quando incontrò un camion tedesco fermato dalle truppe partigiane. Nonostante le raffiche partite dal veicolo, Gina non si fece intimidire e continuò la sua corsa. Venne raggiunta da una serie di colpi, che le fu fatale. Furono 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 2.756 quelle deportate nei lager tedeschi.
Furono 35.000 le donne combattenti scese in guerra
Infatti, non furono poche le partigiane che scesero in prima persona in combattimento contro il regime fascista, a fianco degli uomini. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) ne conta 35.000, di cui quasi 3.000 morirono. Martiri per la libertà. Partigiane che dovremmo ringraziare e ricordare non solo il 25 aprile, ma ogni giorno dell’anno.
In effetti esse imbracciarono le armi, schierandosi in mezzo al freddo e con alto rischio di ammalarsi, nelle trincee sui monti. Compagne che, come emerge da vari racconti, si sono spesso oltretutto dovute scontrare con i pregiudizi dei partigiani stessi, per poi dimostrare la propria forza. Nacque in Piemonte, nel 1944, il primo gruppo di donne combattenti, presso la Brigata garibaldina “Eusebio Giambone”. Tra le varie combattenti non possiamo non citare Carla Capponi, il cui nome di battaglia era “Elena”, combattente nella Resistenza romana. Iniziò la lotta quando assistette ad un “Tigre” tedesco che mitragliava un carro armato italiano in ritirata. Di istinto, accorse e trascinò il carrista italiano per le ascelle, a tratti caricandoselo sulle spalle, fino alla propria abitazione. Gli salvò la vita, rischiando la propria. Una volta entrata nel Gruppo di Azione Patriottica (GAP) centrale, i compagni la relegarono ad una funzione di appoggio, in quanto donna, e le negarono le armi. Ma Carla non si arrese: mentre si trovava su un autobus molto affollato, rubò la pistola ad un membro della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), e ottenuto il ruolo, si contraddistinse in diverse imprese. Fra queste, l’azione di Via Rasella, il più clamoroso e sanguinoso attentato urbano antitedesco dell’Europa occidentale. Dopo la guerra, ha ricevuto la medaglia d’oro al valore militare ed il riconoscimento di partigiana combattente con il ruolo di capitano.
Il ruolo delle donne all’inizio della prima Repubblica
Successivamente, sono state molte le donne che, durante la Liberazione, presero parte alla rinascita delle istituzioni.
Nel 1946 per esempio tutti ricorderanno Teresa Mattei, la più giovane eletta all’Assemblea Costituente, precisamente all’età di 25 anni. Dopo aver partecipato per anni attivamente alla Resistenza, come staffetta, ed aver fondato i Gruppi di difesa della donna di Firenze. Dopo essere stata arrestata, torturata e violentata dai fascisti, a Perugia.
Teresa Mattei è stata una delle firmatarie dell’Articolo 3, al quale fa aggiungere l’espressione “di fatto”, rispetto agli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Nel marzo 1947, durante una seduta dell’Assemblea Costituente, si espresse così in merito alla partecipazione delle donne in politica: “Se la Repubblica vuole che più agevolmente e prestamente queste donne collaborino [...] alla costituzione di una società nuova e più giusta, è suo compito far sì che tutti gli ostacoli siano rimossi dal loro cammino, e che esse trovino al massimo facilitata ed aperta almeno la via solenne del diritto”.
Durante la Resistenza le donne si presero ruoli che da anni era gli erano preclusi. Si dimostrarono patriote, cittadine, combattenti, italiane, pari ai loro compagni. Eppure dopo la Liberazione il loro contributo è stato cancellato dalla storia. Calò nell’oblio il percorso di emancipazione che avevano potuto sperimentare e ognuna di loro tornò ai propri ruoli tradizionali. La maggior parte delle partigiane non chiese nemmeno un qualsivoglia riconoscimento, credendo di aver solamente fatto il proprio dovere. Un dovere che ci permette oggi di vivere liberi.
Il 25 aprile è l’anniversario della Liberazione dell’Italia, conquistata dai partigiani e dalle partigiane.