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25 Aprile 1945 – 2021: Oggi più che mai c’è bisogno di ricordare, studiare e divulgare il messaggio della Resistenza Partigiana liberatrice da tutti i Neofascismi e dalle guerre belliche, sociali, digitali e virali che stanno soffocando la compassione, la misericordia, la bontà e la fratellanza tramutandole in spietate, disumane, avide e sanguinarie emozioni animate dai più profondi, oscuri e oceanici razzismi etnico-sociali.


25 Aprile 1945, un Giorno, questo, in cui annualmente si celebra la Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo, per opera dei Comitati di Liberazione Nazionale, degli Alleati e delle bande partigiane composte da comunisti, membri del Partito d’Azione, socialisti, democristiani, anarchici, repubblicani, mazziniani, garibaldini, alpini ed ecclesiastici. Una data, il 25 Aprile 1945, che ancora oggi dopo settantasei anni è usata da molti giovani contro il Neofascismo popolato da xenofobie, omotransfobie, razzismi e negazionismi diffusi da estremi movimenti destroidi come Forza Nuova, Casa Pound e Alba Dorata che ancora oggi compiono raid punitivi, minacce fisico-verbali e violenze psico-fisiche, sociali e sessuali di stampo nazifasciste. Una lotta portata avanti ai giorni nostri dalle nuove leve giovanili, con la diffusione delle vive testimonianze di antifascisti, partigiani, ex internati militari e sopravvissuti ai Campi di Concentramento, come l’attivista e senatrice milanese Liliana Segre, classe 1930, che racconta la sua esperienza concentrazionaria in «Ho scelto la vita. La mia ultima testimonianza pubblica sulla Shoah» e costretta a vivere sotto scorta dal 2019, per offese e minacce razziali rivoltegli sui principali social network. Una ideologia concentrazionaria vissuta dalla senatrice milanese sulla sua pelle fin dalla giovane età, ovvero dal 1938-40 attraverso le Leggi Razziali Fasciste che esclusero i giudeo-israeliti dalle amministrazioni bellico-civili, dai partiti politici, dalle dirigenze amministrative regionali e comunali, dalle banche, dagli impieghi industriali-metallurgici e dalle scuole pubbliche come successe alla allora studentessa Liliana Segre nella più totale indifferenza spirituale di alunni, insegnanti e dirigenti scolastici. Espulsione scolastica, che mutò l’attivista milanese insieme ad altri ragazzi, in fantasmi sociali negli altrui cuori emotivamente vacui e in particolar modo in luci eticamente emarginate, ombre intimamente annebbiate e creature socialmente pericolose per l’ordine pubblico costrette a fuggire all’estero, per allontanarsi senza successo dal demone con la bocca colma dell’innocente sangue ebreo denominato Auschwitz-Birkenau. Espulsione che sarà seguita dalla deportazione concentrazionaria dal binario numero 21 della Stazione di Milano il 30 gennaio 1944 per il Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau in cui perse il padre all’arrivo e poco dopo i nonni Giuseppe e Olga, per rimanere sola fino alla liberazione contraddistinta dalla fabbricazione di proiettili per la Union concessionaria della Siemens. Prigionia concentrazionaria, la sua, dalla quale scamperà attraverso la Marcia della Morte del gennaio 1945 durante l’evacuazione da Auschwitz-Birkenau, per essere poi liberata definitivamente il 1° maggio 1945 dal Campo di lavoro, concentramento e transito di Malchow, ricominciando a vivere una volta ritornata in Italia, con gli zii e nonni materni marchigiani per poi sposarsi con il pesarese Alfredo Belli Paci nel 1951.

Opera storico-memorialistica e diaristica, quella di Liliana Segre, come di un universo animato da dolori, lacrime e sangue per le nuove generazioni in nome di una Vita pregna di amore, misericordia e compassione, ovvero energie emotivamente, eticamente, socialmente e spiritualmente in grado di convertire i più oscuri cuori animati da razzismi sociali in balsamici spiriti Figli del Mondo. Ideologie concentrazionarie, che condussero la figlia e il padre Alberto ad Auschwitz-Birkenau, attraverso un viaggio ferroviario in cui furono trattati come inutili bestie da soma e ingombranti carni sacrificali dove nemmeno le rabbiniche lodi a Dio erano in grado di sconfiggere il doloroso, pauroso e ansioso silenzio per Auschwitz-Birkenau. Un Campo di Concentramento, Auschwitz-Birkenau, che la spoglierà, ferirà e marchierà psico-fisicamente in 75190, ovvero in un numero eticamente, spiritualmente ed esistenzialmente insignificante innanzi agli occhi dei gerarchi nazisti delle SS, che videro gli ebrei come carni da abusare e sfruttare lavorativamente senza nessun diritto sociale da parte di essi, ma in particolar modo come dannati spiriti costretti ad ascoltare durante le notti insonni i disperati pianti dei propri fratelli e sorelle, che morivano nelle camere a gas. Dannazione, la loro, che finì, come detto all’inizio di questa mia prima parte saggistica, il 1° maggio 1945 nel Campo di lavoro, concentramento e transito di Malchow dopo essere scampata alla Marcia della Morte. Marcia, questa, che non tramutò Liliana Segre e le altre ebree in mostri, demoni e assassini come i gerarchi nazisti delle SS, ma, in donne libere e di pace con il cuore animato, popolato e alimentato da dolcezza, compassione, bontà e senza nessuna briciola di odio, avidità, lussuria e cattiveria etico-sociale. Ferita concentrazionaria, quella vissuta da Liliana Segre, che, insieme all’intervista per il Corriere della Sera del 30 agosto 2020 inserita come parte finale, sono di vitale importanza per le nuove generazioni, poiché queste devono cambiare la loro estrema, avida, rabbiosa e mortale esistenza in una Vita libera, democratica e rispettosa, ma in particolar modo in una Vita socio-esistenziale e alimentare capace di non sprecare mai più il cibo, ma anzi di donarlo socio-eticamente ai poveri, bisognosi, umili ed emarginati.

Storie quelle sulla Resistenza Partigiana, sulla Seconda guerra mondiale e sui Campi di Concentramento ben narrate ai giorni nostri attraverso la musica cantautoriale iniziando dalla canzone “Li vidi tornare” poi modificata in “Ciao amore ciao” tratta dall’album Le canzoni di Luigi Tenco del cantautore, poeta e compositore cassinese Luigi Tenco, nato a Cassine (AL) nel 1938. Una Guerra, la Seconda guerra mondiale, che ha diviso giovani amanti con profonde e incurabili ferite nel cuore dei soldati condannati a chimeriche reminiscenze dal conflitto mutate in spirituali giardini irriconoscibili, brumose strade anonime e cadaveriche puerilità scheggiate. Guerra che nel dettaglio spolpa persone carnalmente e spiritualmente, ma in particolar modo trasforma i puerili in brumose creature dalle acide spiritualità, dalle cadaveriche gioie oceaniche e dalle incarcerate gestualità esistenziali soverchiate da folli ideologie belliche, politiche, etiche, sociali e religiose, come racconta la canzone “I ragazzi dell’olivo” tratta dall’album Solo Nomadi del gruppo beat, melodico e pop-rock Nomadi guidato dal cantante, pittore e scultore Augusto Daolio, nato a Novellara (RE) nel 1947. Folli ideologie conducenti innocenti puerili nei Campi di Concentramento, per mutarli all’insaputa delle SS in un vento sapienziale diffondente pace, amore, compassione e fratellanza etico-sociale nei cuori animati dall’odio, come racconta la canzone “Auschwitz” tratta dall’album Folk Beat n. 1 del cantautore, scrittore, paroliere e attore modenese Francesco Guccini nato a Modena nel 1940. Lacrime, sangue e ferite purificate dalla Libertà partorita dalla Resistenza Partigiana, ovvero la Libertà che, come un potente balsamo partorisce abbaglianti luci in notti demoniache e inedite vite intensamente emotive in cuori deboli, ma in particolar modo come una struggente melodia capace di farci versare calde lacrime sanguigne e soffocanti singhiozzi quando essa è assente, come racconta la canzone “Libertà” tratta dall’album Libertà! della cantante, attrice, scrittrice californiana Romina Power, classe 1951, insieme al cantautore, attore, scrittore e poeta Albano Carrisi, nato a Cellino San Marco (BR) nel 1943. Libertà infine usata ancora oggi dopo settantasei anni dalle nuove generazioni, come la Strada maestra per costruire un Mondo migliore animato da pace, compassione e fratellanza etico-sociale, come racconta la canzone “Un mondo migliore” tratta dall’antologia VascoNonStop del cantautore e scrittore Vasco Rossi, nato a Zocca (MO) nel 1952. Un mondo, in particolar modo, come ci racconta il cantautore zocchese in “C’è chi dice no” tratta dall’album omonimo, che deve assolutamente emarginare, cacciare, oscurare e soffocare farisee ideologie politiche, prepotenti opinioni intellettuali ed estreme religiosità materialistiche, poiché animate da fratricidi carnali e sottomissioni sociali dediti unicamente alle stragi, ai dolori, alle lacrime e agli stillicidi, ma in particolar modo alle globali sottomissioni psico-intellettuali ed etico-culturali, come furono il Fascismo e il Nazismo insieme ai fascismi rossi o Comunisti che dir si voglia.

Tratto da: proletteraturacultura.com

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