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Il liceo Cottini incontra Lorenzo Baldo, vice-direttore di Antimafia Duemila

Venerdì 16 aprile, nel corso della mattinata scolastica, Lorenzo Baldo, vice-direttore del periodico Antimafia Duemila, ha incontrato in video-conferenza alcune classi del liceo artistico statale torinese “Renato Cottini”.

Pur ostacolato dalla pandemia e dalle restrizioni a essa correlate, il progetto didattico-culturale del liceo, volto a orientare gli studenti verso la conoscenza del fenomeno delle organizzazioni criminali e dei loro rapporti con altre componenti della società, cerca di non perdere il passo, di mantenere viva l’attenzione nei confronti di un tema drammaticamente attuale.

Per sintetizzare, il Cottini ha cercato, negli ultimi anni, di qualificarsi come istituto attivo sul fronte antimafia: ha stretto un accordo con il gruppo torinese “Paolo Borsellino” del Movimento delle Agende Rosse, che è presidio permanente dell’istituto; ha portato alcuni protagonisti, anche loro malgrado, delle vicende correlate al tema, da Salvatore Borsellino a Giuseppe Costanza, da Paola Caccia a Gianluca Manca; sta cercando di arricchire la biblioteca con volumi tematici inerenti le organizzazioni criminali; ha organizzato un corso di formazione per docenti, bloccato lo scorso anno dall’emergenza Covid, che annoverava tra gli ospiti Don Ciotti, Fabio Repici, Piercamillo Davigo, Manuela Mareso, oltre alcuni volontari delle Agende Rosse.

L’incontro con il giornalista Lorenzo Baldo si inserisce in questa cornice. Per circa due ore, il vice-direttore di Antimafia Duemila ha intrattenuto alcuni studenti del quarto anno, attraverso un discorso di grande passione civile, nel quale i dati biografici personali si sono innestati con naturalezza e fluidità nel quadro delle vicende che hanno insanguinato il nostro Paese negli ultimi trent’anni. Racconta della nascita del giornale, Lorenzo, nel Duemila appunto, una scommessa di un gruppo di amici, che arrivavano da esperienze diverse e che cercarono di focalizzare la loro attenzione sulla questione mafie, schierandosi, prendendo posizione, perché non si poteva rimanere a metà strada, muovendosi con umiltà, senza pretendere di andare lancia in resta a Palermo, «città che ti entra dentro e ti travolge», per cambiarla. Una scommessa vincente, dice con orgoglio Lorenzo, perché il giornale ha resistito negli anni, non senza difficoltà, ostracismi, resistenze, con un certo senso di solitudine che accompagna ogni eresia, con la graduale acquisizione, agli occhi in parte ingenui di quel gruppo di giornalisti impegnati, di alcune verità puntute. A partire dalla mancata compattezza del fronte antimafia, fattore di indebolimento del fronte comune, si disegna all’intendimento della redazione il quadro delle zone grigie di questo paese, della sua storia: il fuoco amico contro i magistrati lasciati soli dalla politica, dall’informazione, attaccati da altri magistrati, o, ancora, i famigliari delle vittime di mafia costrette a elemosinare ciò che, in uno stato civile, sarebbe dovuto, ossia verità e giustizia.

Agli studenti, Lorenzo spiega come lo scoramento si sia accompagnato, negli anni, alle necessità di resistere, di farlo, come diceva Borsellino, con spensieratezza, di lottare contro la mafia gioiosamente, per quanto si abbia spesso l’impressione della lotta tra Davide e Golia. Perché il mostro da combattere, avverte, non è solo la mafia, ma un mostro più potente, l’extra-mafia, quella che lascia soli i magistrati come Nino Di Matteo, quella che, così come riferì a suo tempo il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, garantì a Riina che la strage di via D’Amelio sarebbe stata «un bene per tutta Cosa Nostra». Quell’extra-mafia che ha occhi che guardano mentre i mafiosi preparano la 126 con l’esplosivo che avrebbe provocato la morte di Borsellino. O quelle mani, quelle di Giovanni Arcangioli, che sottraggono la borsa del magistrato dall’auto ancora fumante e che, poi, la restituiscono priva, però, dell’agenda rossa. Lorenzo, qui, si immerge nella storia più grande, ritaglia un pezzo di esperienza personale da collocare nel quadro che sta delineando. Spiega, cioè, agli studenti che la redazione di Antimafia Duemila, nel 2004, aveva ricevuto per prima un’informazione attendibile su una foto che ritraeva Arcangioli con la valigia in mano. Senza esitare, aggiunge il narratore, la redazione decise che non avrebbe pubblicato la notizia, non l’avrebbe divulgata, rinunciando così allo scoop. Non era quella l’ambizione del giornale, non tagliare per primi il traguardo, ma lo spirito di servizio, l’indagine alla ricerca di una verità. Per tale motivo, per evitare che ad Arcangioli e alle figure a lui collegate fosse dato modo di preparare una linea difensiva, evitarono di lanciare la notizia e avvisarono le autorità competenti, la DIA nello specifico.

Nonostante ciò, nonostante Arcangioli abbia manifestato reticenze, nonostante attorno al mistero della valigetta e dell’agenda rossa ci siano state altre funamboliche dichiarazioni - Giuseppe Ayala, spiega il giornalista, ha fornito quattro diverse versioni dell’accaduto - il mistero resta. Eppure, aggiunge, in questa vicenda basterebbe usare il buon senso, la logica, perché troppi elementi non tornano: come mai, domanda retoricamente ai ragazzi, persone qualificatesi come appartenenti ai servizi segreti erano sul luogo dell’attentato pochi minuti dopo l’esplosione? Soprattutto chi, cerca di far ragionare in modo conseguente i discenti, aveva garantito a Riina che il nuovo attentato sarebbe stato un bene per i Corleonesi? Borsellino in quei giorni aveva intuito o capito che era in atto la trattativa Stato-mafia?

Con grande abilità narrativa, Lorenzo porta i giovani ascoltatori verso l’epilogo, ossia all’epilogo naturale dell’accordo Stato-mafia, l’anno 1994, successivo ad altre stragi rievocate dal giornalista. Il 1994, quando la violenza mafiosa ed extra-mafiosa cessò, anche in corrispondenza di alcuni atti politici quanto meno sospetti: le agevolazioni carcerarie per i mafiosi, ad esempio. Per arricchire il suo racconto e dare fondamento al concetto di trattativa quale espressione non astratta, ma drammaticamente concreta, Lorenzo evoca poi il caso Manca, con dovizia di particolari, quelli desunti dalla sua esperienza diretta, di giornalista e autore di quel bellissimo testo che è “Suicidate Attilio Manca”. E offre ai ragazzi, in sintesi, le anomalie giudiziarie di una vicenda alla quale nuovamente sarebbe sufficiente applicare il buon senso per comprendere come sia lontano da ogni ragionevole verità ritagliare sul giovane urologo siciliano i panni del tossicodipendente depresso. Eppure, qualcuno, sostiene Lorenzo, vuole ingabbiarci in una rete di falsità, in questo Paese «ci sono troppi buchi neri».

Partendo da questa considerazione, l’ospite del Cottini trasforma la cronaca in monito, in consiglio, in invito, tanto pressanti nella sostanza quanto pacato e misurato è il tono. È un invito a ribellarsi, a rifiutarsi di accettare le logiche prive di logica, le recite studiate della politica, a pretendere che i nostri governanti si muovano al servizio della cittadinanza. È un invito a non sottostare a una democrazia a metà, a riappropriarsi dei sogni, delle passioni pur graffiate dalla vita e dalla violenza, del futuro reciso da chi vuole individui amorfi e indifferenti. È ancora più fluido, Lorenzo, quando spiega che è necessario provare indignazione e dall’indignazione è necessario passare all’azione, perché le mafie e i loro interlocutori hanno paura dei giovani svegli, delle scuole che parlano di questi temi, dello Stato che non giunge a compromessi, dei giornalisti che porgono notizie scomode. Hanno paura di chi non vive la vita per campare o per restare chiuso nel proprio orticello a coltivare ambizioni egoistiche e di mero accumulo di denaro.

Lorenzo fa poi un’incursione nella recente decisione della Consulta che invita il Parlamento a legiferare sull’ergastolo ostativo, come esempio di una concessione incomprensibile, o forse troppo comprensibile, fatta a chi, pur avendo compiuto delitti orrendi, non collabora con lo Stato, si chiude nel silenzio degli uomini d’onore, precisando che è necessario virgolettare la parola onore dopo aver fatto il nome di Giuseppe e Filippo Graviano. Dei giovani, come voi, aggiunge il giornalista, giovani che fanno parte del gruppo Our voice, sono scesi a Palermo a urlare la loro indignazione davanti al timore che le leggi elaborate da magistrati uccisi per il loro lavoro siano affossate, sradicate da una normativa antimafia all’avanguardia in Europa. Ecco, unirsi, fare movimento, andare oltre i residui di solitudine che lascerà l’attuale pandemia, organizzare sit-in, dibattiti, confronti, usare il ballo, la musica, il teatro, la scrittura. Insomma, chiude Lorenzo, restare vigili, contro ogni forma di isolamento, contro ogni potere che voglia dei giovani drogati di nulla.

Ed è la volta delle domande: «ha paura?», «come possiamo fidarci di uno Stato colluso con le mafie?»,¸«come si proteggono i collaboratori di giustizia e i magistrati e i giornalisti?», «perché si è occupato di mafia?», «perché il caso Manca l’ha colpita più di altre vicende?». Lorenzo risponde, tratteggiando di nuovo i confini del civismo, quello non eroico e non vanaglorioso, di chi si mette al servizio della comunità, di chi ha paura e si sente svuotato, ma cerca qualcosa a cui aggrapparsi, una fede, magari, o un ideale di giustizia, un modello di riferimento. Agli occhi di quegli studenti, egli stesso lo è, come confermeranno i discenti in un dibattito successivo al commiato del giornalista. Un intellettuale impegnato, Lorenzo, lontano dai clamori e dentro le notizie, schierato, offeso ma non piegato dal senso di frustrazione che il «gioco grande» evocato da Falcone consegna a chi lotta contro Golia, che ha imparato, pur serioso per sua stessa ammissione, la morale della lotta gioiosa e, al contempo, rigorosa ad alcuni orrori nazionali.

Un giornalista che continua a lottare perché ha ancora speranze, che ha imparato dalla fotografa Letizia Battaglia che l’orrore si combatte cominciando a contrapporgli dei fiori. La bellezza, ricorda Lorenzo sulla scorta di Peppino Impastato, è una terapia da cui iniziare per gettare le basi di una nuova società. Per questa lezione, magistrale si direbbe se fossimo in ambito accademico, per questo esempio di civismo e di impegno, grazie Lorenzo.

L’impegno del liceo in questo ambito proseguirà. Si sta già cercando di approntare un corso di formazione per docenti per il prossimo anno scolastico che ripari all’interruzione di quello organizzato l’anno scorso a causa della pandemia. Così come, con il supporto delle Agende Rosse, si cercherà di far interloquire i discenti con altri testimoni importanti della lotta alle mafie.

Tratto da: girodivite.it

In foto: Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe © Shobha

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