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Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene. Questa esortazione fu pronunciata da Paolo Borsellino oltre trent'anni fa, ma è più che mai attuale. All’epoca si parlava raramente di mafia nei media. Molti giornalisti che l’hanno fatto, raccontando la verità e riprendendo i volti dei mafiosi, hanno pagato anche con la loro vita. La funzione dei mezzi di comunicazione di massa, tuttavia, è sempre la stessa: informare. Il 12 gennaio 2021 è iniziato a Lamezia Terme il secondo “Maxiprocesso” più importante nella storia della lotta contro le mafie, con la ’ndrangheta finalmente al banco degli imputati. Di questo processo però si sa poco o nulla. Non ho dubbi sul fatto che l’alleato più forte delle mafie sia il silenzio. La 'ndrangheta di cui si sta occupando questo processo prospera e si diffonde proprio laddove i comportamenti omertosi sono considerati abituali. Il silenzio per questi mafiosi significa consenso. Il disinteresse della società civile, rende più forti le associazioni mafiose poiché isolano più facilmente chi cerca di combatterle da ogni fronte. Il processo in corso in Calabria non è il processo di Gratteri ma è degli italiani e di tutte quelle persone che ancora credono nello Stato e nella giustizia. È inquietante che il processo “Rinascita Scott” sia quasi ignorato dai media e quindi dall’opinione pubblica. I mafiosi preferiremmo vederli in faccia, vorremmo sentire la loro voce, la gente ha il diritto di conoscere e di valutare per poi comprendere. Lo so che evocare la mafia e metterla in primo piano non è mai utile alla politica corrotta. Si accendono le luci solo quando la mafia fa comodo, magari con qualche arresto strabiliante, poi l’oblio. La Procura della Repubblica di Catanzaro in questi anni è riuscita a portare davanti a un collegio gli affiliati dividendoli in vari stralci: quello principale presso il Tribunale di Vibo Valentia e che si tiene nell’aula bunker di Lamezia Terme (345 imputati), poi Tribunale di Catanzaro (6 imputati), Cosenza (4 imputati), Corte d’Assise di Catanzaro (13 imputati) e i riti abbreviati (90 imputati). Uno sforzo titanico. Nonostante questo forte impegno, senza retorica alcuna, sul processo sembra ci sia uno strano alone di mistero. Sono convinto, invece, che su questo processo siano opportuni i riflettori accesi sempre, perché in tal modo si farebbe conoscere agli italiani cosa sia diventata oggi la ndrangheta. Non più solo mafia grezza e violenta, ma una multinazionale del crimine potentissima che per essere contrastata va innanzitutto conosciuta e considerata in tutte le sue evoluzioni criminali. Associazione per delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di denaro sporco, possesso illegale di armi comuni e da guerra, omicidi, traffico internazionale di droga, usura, estorsione, sono alcuni dei capi d’accusa che saranno dibattuti durante il processo che si prevede possa durare circa due anni, con la presenza di oltre trecento imputati e circa mille testimoni. Nella prima udienza il presidente del collegio ha disposto il divieto di qualunque ripresa audio-video all’interno dell’aula bunker del Maxiprocesso contro la ‘ndrangheta vibonese e i suoi legami con ambienti politici, istituzionali, imprenditoriali e della massoneria deviata. Non era accaduto neanche al Maxiprocesso di Palermo a Cosa Nostra. Ricordo benissimo che all’epoca la Rai affittò a Palermo una palazzina di fronte all'aula bunker e registrò tutte le 1400 ore della durata del processo. Un lavoro immane che oggi è documentazione visiva della prima grande vittoria dello Stato contro la mafia. Gli italiani davanti ai loro televisori furono testimoni degli interrogatori di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, dei confronti aspri tra Pippo Calò e Buscetta, delle deposizioni dei parenti delle vittime, della lunga ed emozionante lettura della sentenza. Negare la registrazione video e audio, di fatto, vuol dire limitare in parte il diritto di cronaca e quindi impedire di costruire la memoria di un fatto storico anche per le generazioni future. Vuol dire non far conoscere agli italiani come sia cambiata la mafia e di quali complicità goda. Questo processo non riguarda solo l’Italia, ma il resto del mondo, vista la presenza della ndrangheta e dei suoi interessi ormai ovunque. Ci sono giornalisti venuti da ogni parte del globo, per cui, la decisione di impedire le riprese audiovisive delle udienze, pur se legittima, non è condivisibile poiché nei fatti limita il diritto di cronaca inteso in questa specifica situazione anche come diritto alla memoria storica. Per il Maxiprocesso di Palermo contro la mafia siciliana, le riprese furono consentite e garantirono uno straordinario archivio storico multimediale d’inestimabile valore. Questo non sta accadendo in Calabria nonostante si tratti di un'udienza pubblica, anche se, per esigenze in parte giustificabili, l'accesso non è consentito con microfoni o telecamere. Ritengo si sarebbero potute autorizzare le riprese con restrizioni anche maggiori rispetto a quelle che già prevede la legge. Nell’era di internet e dell’informazione multimediale tuttavia si può pensare anche a meccanismi senza la presenza di personale in aula garantendo così sia la sicurezza, sia il diritto all’informazione, sia la possibilità di avere un archivio audiovisivo storico.

* Giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto

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