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Lula è stato assolto. O meglio rinviato ancora a giudizio. Con una pronuncia del giudice Edson Fachin, il Supremo Tribunal Federal (STF) ha annullato le condanne per corruzione e riciclaggio (rimediate dall’inchiesta Lava Jato) nei confronti dell’ex Presidente della Repubblica Lula. Nessuna assoluzione nel merito solo l’ennesimo tecnicismo giuridico: la Justiça Federale di Curitiba non aveva il diritto di giudicare l’ex Presidente poiché per competenza territoriale gli atti avrebbero dovuto finire ai magistrati federali di Brasilia. Ed è proprio a loro a cui ora passa la palla poiché i due processi contro Lula dovranno essere ricelebrati.

Secondo Fachin, l’errore del giudice Moro e dei magistrati della Lava Jato è stato di sostenere a spada tratta che vi fosse una relazione diretta tra il denaro sottratto alla Petrobras e le tangenti pagate a Lula attraverso la ristrutturazione di un appartamento triplex a Guarujà e una casa di campagna ad Atibaia. Quel nesso era stato uno dei punti maggiormente criticati dalla difesa dell’ex Presidente poiché si basava sulla teoria secondo la quale il Partido dos Trabalhadores - PT disponesse di una cassa generale, nella quale finivano tutte le mazzette che le aziende pagavano al Partito. Un particolare emerso nei verbali di interrogatorio di Leo Pinheiro, Presidente della OAS, azienda già facente parte del cartello Petrobras e società che aveva ristrutturato i due immobili a disposizione di Lula. Caduto quel legame il processo non avrebbe mai potuto essere celebrato a Curitiba ma sarebbe dovuto finire o a San Paolo (competente per territorio dato che queste abitazioni si trovavano sul territorio di quello Stato federale) oppure al Supremo Tribunal Federal, il quale a causa del foro privilegiato (riconosciuto ai politici in Brasile) si occupava solo della costola politica dell’inchiesta.

Ad avere avuto molti dubbi sulla relazione tra le mazzette Petrobras e l’ex Presidente era stato persino Deltan Dallagnol, ex coordinatore del pool anticorruzione di Curitiba. In una delle chat di Telegram, pubblicate in esclusiva dalla rivista The Intercept nel giugno 2019, Dallagnol si confidò con i suoi colleghi affermando: “Diranno che lo stiamo accusando (Lula, n.d.r.) sulla base di notizie di giornali e indizi fragili (…). Ancora oggi mi spaventa la relazione tra la Petrobras e l’arricchimento e dopo che mi hanno parlato ho paura della storia dell’appartamento”. Nemmeno lui quindi era sicuro che le indagini avessero appurato al di là di ogni ragionevole dubbio che il denaro con cui era stata pagata la ristrutturazione del triplex e del rustico di campagna provenisse proprio dalla Petrobras. Senza questo legame Lula non avrebbe potuto essere accostato alla Lava Jato e quindi di conseguenza non sarebbe finito sotto la giurisdizione di Sergio Moro, giudice con la schiena dritta e poco propenso a farsi condizionare dall’importanza degli imputati che aveva di fronte. E questo può spiegare come mai gli imprenditori e gli ex politici invischiati nella Lava Jato che venivano giudicati a Curitiba venivano condannati mentre i politici ancora in carica che finivano di fronte al Supremo Tribunal Federal (corte i cui membri sono di nomina governativa) sono stati quasi tutti assolti. Il terrore quindi dei magistrati del pool era proprio evitare che accadesse lo stesso anche con Lula, personaggio che da tutti i collaboratori più importanti dell’inchiesta (dai riciclatori di denaro come Alberto Youssef ai dirigenti della Petrobras, passando per pezzi da novanta del PT) era stato definito come il grande macchinatore dello schema corruttivo individuato nella Lava Jato.
La decisione di Fachin ha riportato gli orologi indietro di cinque anni. Lula, se la Justiça Federal di Brasilia accetterà di nuovo le denunce contro di lui, sarà rigiudicato in due processi già celebrati (caso del Triplex e del ‘sitio’ di Atibaia) e un terzo non ancora portato in aula, cioè quello sulle donazioni ricevute dall’Istituto Lula da parte della Odebrecht, capofila delle imprese del cartello Petrobras che grazie ai buoni rapporti di Lula in campo internazionale ha vinto appalti in America Latina, Africa, Europa e Stati Uniti. Una corsa contro il tempo degna di Mission Impossible poiché tra gennaio e marzo 2022 le accuse contro l’ex Presidente potrebbero cadere in prescrizione con l’impossibilità di accertare una volta per tutte se Lula ha ottenuto denaro frutto delle tangenti Petrobras.
Il grande interrogativo aperto ora dalla pronuncia del giudice Fachin potrebbe riguardare l’intera operazione Lava Jato. Dato che, come ha dichiarato lo stesso magistrato, la Corte Suprema ha cambiato interpretazione della crociata contro la corruzione intrapresa dai procuratori di Curitiba, quanti altri imputati (già condannati nei precedenti gradi di giudizio) potranno chiedere al STF di rivalutare la propria posizione? Un’ipotesi non così peregrina dato che i magistrati di Brasilia stanno attualmente passando al setaccio le chat (rubate da un hacker) intercorse tra il giudice Sergio Moro e i membri del pool per evidenziare una possibile connivenza tra accusa e organo giudicante.
Complotto o non complotto l’opinione pubblica si è dimenticata la domanda fondamentale dell’inchiesta: ma i politici arrestati rubavano oppure no? Forse guardando gli oltre 4 miliardi di reis recuperati in 6 anni di lavoro dal solo pool anticorruzione di Curitiba potremmo trovare la risposta. 

In foto: l'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva © Imagoeconomica

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