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"C'è il mandante ma non il nome del killer"

"Provo amarezza, sì, per questa sentenza della Cassazione. Perché per l'omicidio di mio padre c'è un mandante, ma non c'è un esecutore materiale. Non c'è il nome del killer che ha sparato. Per anni e anni ci sono stati depistaggi, ricordo che nel processo di primo grado sono venute fuori cose davvero imbarazzanti di cui non ero mai venuta a conoscenza".
E' una risposta piena di amarezza quella che Maddalena Rostagno, figlia del sociologo ucciso a Lenzi di Valderice, nel trapanese, la sera del 26 settembre 1988, ha rilasciato all'Adnkronos a commento della sentenza di Cassazione che ha confermato l'ergastolo per il capomafia mandante dell'esecuzione, e il proscioglimento di Vito Mazzara che resterà comunque in prigione dove sconta il 'fine pena mai' per l'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto, avvenuto nel 1995.
Mazzara fu condannato in primo grado al carcere a vita con l'accusa di essere stato l'uomo che sparò a Rostagno, probabilmente insieme ad altri complici mai identificati, ma in appello la sentenza nei suoi riguardi fu ribaltata.
Non bastò la perizia che sembrava aver individuato il Dna del presunto sicario in un frammento di fucile trovato sul luogo del delitto. Anche per questo quello sulla morte di Mauro Rostagno può definirsi un caso irrisolto.
In secondo grado la Corte d'assise d'appello aveva confermato che il giornalista-sociologo venne eliminato perché, anche attraverso gli schermi della tv privata Rtc, aveva alzato il velo sugli interessi di Cosa nostra a Trapani.
Con i suoi servizi, secondo l'accusa, Rostagno avrebbe "svelato il volto nuovo della mafia in città": il passaggio da organizzazione tradizionale a struttura moderna e dinamica, gli intrecci con i poteri occulti, le nuove alleanze, il controllo del grande giro degli appalti.
Riconosciute le responsabilità di Cosa nostra, che voleva togliere di mezzo quella "camurria", restano enormi buchi neri da colmare. E Maddalena Rostagno questo pensiero lo ha espresso in maniera chiara all'Adnkronos: "C'è amarezza. C'è un uomo che viene assassinato, mi arrestano la madre, dicono che sono stati 4 tossicodipendenti della comunità, mandando anche un messaggio che essere tossici significa anche essere assassini. Che mio padre per una roba del genere sarebbe risorto, contrario alla sua filosofia di vita. Poi c'è stato un colpo di fortuna, con la Squadra mobile di Trapani, per cui è stata fatta una comparazione di proiettili ed è emerso il nome di Vito Mazzara". La sentenza d'appello, che aveva riformato quella di primo grado, ieri è divenuta definitiva. "Lasciamo stare la perizia del Dna - ha proseguito la Rostagno - ma se tu mi ricostruisci il contesto nel quale mio padre è stato assassinato, e condanni all'ergastolo il capomafia di allora, poi mi assolvi il suo esecutore materiale? Ok. Il nostro scopo, quello mio e di mia madre, non era certo quello di ottenere l'ergastolo, non era quello il punto. Io sono anche contraria". Poi ha ricordato anche i depistaggi che si sono perpetrati nel tempo a cominciare dallo spostamento del corpo del padre, voluto dai carabinieri.
Al momento una decina di persone è al processo a Trapani per falsa testimonianza, tra cui esponenti delle forze dell'ordine, ma incombe la prescrizione.
A commentare il processo anche il magistrato Nico Gozzo, che aveva rappresentato l'accusa nel processo d'appello: "Ci riteniamo soddisfatti perché è stata confermata la sentenza di ergastolo per Vincenzo Virga, ma non possiamo certo essere contenti che non è stato accolto il ricorso per Vito Mazzara. Ma la cosa importante è che l'associazione mafiosa è stata riconosciuta responsabile dell'omicidio tramite Vincenzo Virga". E sui 32 anni di tempo trascorsi per avere una sentenza definitiva, Gozzo ha aggiunto: "E' un omicidio estremamente complesso e soprattutto in cui hanno agito una serie di interessi ulteriori che sono stati riconosciuti dalla sentenza di prima grado e che non sono stati negati dalla sentenza di secondo grado".

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