di AMDuemila
“Non c’è tempo da perdere, bisogna mettere da parte le guerre tra il Csm, l’Anm, il guardasigilli, i partiti. Cosa Nostra delinque senza soste, mentre noi litighiamo senza soste”. Inizia con le parole di Giovanni Falcone, a pochi giorni dalla strage di Capaci, l’articolo pubblicato ieri sul quotidiano “Il Fatto Quotidiano” del giudice Piergiorgio Morosini, per spiegare quanto siano attuali e servano in questo momento di caos istituzionale, dopo i vari scandali anche venuti alla luce dall’inchiesta Palamara. Secondo il giudice “quelle parole non possono cristallizzarsi in un passato lontano. Richiamano una questione che ciclicamente si ripropone: l’idoneità delle risorse istituzionali nella sfida alle forme più insidiose di criminalità per i diritti e la democrazia. - ha detto ancora il Gip di Palermo - Sull’appello di Falcone alla “compattezza” degli organi dello Stato sembra calato il velo dell’oblio. A dirlo è la cronaca di maggio 2020. Le postazioni-chiave del “sistema giustizia” sono attraversate da asprezze e conflitti di ogni tipo. Basti pensare alla mozione di sfiducia verso il Guardasigilli, in seguito a provvedimenti di scarcerazione per motivi di emergenza sanitaria. O ancor più, alla pubblicazione di stralci di una indagine perugina su condotte di componenti del Consiglio superiore della magistratura”. Una storia che per Morosini “svelerebbe storie di trame, rancori e miserie umane, per brama di potere, carriera o vantaggi personali. - ha proseguito - Come tale in grado di screditare un organo di rilevanza costituzionale, chiamato a difendere l’autonomia di tanti giudici e pubblici ministeri lontani anni luce da certe logiche e impegnati in delicate funzioni”.
Secondo il magistrato “anche oggi, come nel 1992, la vulnerabilità degli organi dello Stato è un regalo alle mafie” e quindi “i rischi aumentano in tempo di crisi socio-economica per effetto delle misure anti-contagio”. E proprio in questo contesto che la mafia “si sta attrezzando. Secondo gli esperti, in particolare su tre versanti: la “caccia” alle aziende in “stato di necessità”; l’intercettazione delle somme stanziate dallo Stato per il soccorso alle imprese; il reclutamento nelle cosche di giovani bisognosi che hanno perso il lavoro in realtà già depresse. Si tratta di manovre che si sviluppano con la complicità di amministratori pubblici, liberi professionisti, politici”. E per contrastare questo fenomeno al circuito investigativo-giudiziario “non bastano preparazione e determinazione, occorre la fiducia delle persone oneste. - ha poi proseguito - Proprio nella parabola professionale e umana di Giovanni Falcone troviamo un esempio utile in questi giorni difficili. Come uomo di Stato, nonostante minacce e ostacoli interni al suo stesso mondo, non si rassegnò mai all’isolamento e al vittimismo. Ebbe la forza di promuovere nuove strategie processuali, dopo decenni di piena immunità per i capi mafia. Lo fece senza farsi deprimere dai limiti anche culturali di un ambiente giudiziario allora privo di ogni sostegno nella società civile”. Proprio per il fatto che l’Italia, grazie all’innovazione del ‘metodo Falcone’ e di tutta la legislazione antimafia che né conseguì, dovrebbe togliere tutti “quei sospetti ingenerosi, seminati da una parte della stampa europea, secondo cui gli aiuti di Bruxelles all’Italia per il “dopo pandemia” finirebbero nelle casse delle mafie. - ha concluso Morosini - In realtà, proprio quel know how investigativo andrebbe esportato nel continente e dovrebbe informare una cooperazione giudiziaria tra diversi paesi, in grado di diventare la “risorsa in più” per sconfiggere gli appetiti mafiosi nel mercato finanziario e immobiliare che ormai da anni incidono sulla qualità delle nostre democrazie”.
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