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di Guido Casavecchia
Il comitato Antimafia Channel intervista il dott. Giancarlo Capecchi, giudice presso la IV sezione penale del Tribunale di Torino. Già giudice presso la sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del Riesame, ha pubblicato due manuali pratici sulla materia. Ha tenuto lezioni per amministratori giudiziari e incontri di studio presso il CSM e la SSM per magistrati, forze di polizia e amministratori giudiziari. Da anni tratta le problematiche delle Misure di prevenzione patrimoniali sul social network Facebook “Giancarlocapecchi Prevenzionepatrimoniale”. Mira a istituire, tramite l’app My Maps di Google, una mappa condivisibile con altri utenti secondo una logica meritocratica nella gestione dei beni confiscati e l’applicazione di compensi per gli amministratori giudiziari.

Dott. Capecchi, cosa sono le misure di prevenzione patrimoniali?
Sono strumenti para-penali (oggi rientranti nel c.d. codice antimafia del 2011) ma di natura sostanzialmente amministrativa. In sintesi ne esistono tre tipi: sequestro e confisca “classiche” di beni nella disponibilità di soggetti giudicati socialmente pericolosi o derivanti dai proventi dei delitti commessi; amministrazione giudiziaria di enti con condizionamenti mafiosi, con eventuale sequestro dei cespiti aziendali che rischino di essere dispersi; controllo giudiziario di enti infiltrati, con possibilità per l’impresa stessa di partecipare a bandi o di proseguire i rapporti di appalto in corso sotto la vigilanza dell’amministratore giudiziario. Nel secondo caso l’amministratore giudiziario si sostituisce agli organi dell’ente, nel terzo li affianca.

Perché si ritiene che siano strumenti così efficaci nel contrasto al fenomeno mafioso?

Perché annullano i vantaggi economici individuali e del gruppo criminale conseguiti con l’attività mafiosa. Consentono di sottrarre denaro altrimenti investito in attività lecite, o per la corruzione di pubblici funzionari e dirigenti privati o per auto-sostentare i membri del clan. Inoltre, nella loro fase di riutilizzo, tali strumenti consentono di contrastare ulteriori infiltrazioni mafiose opponendovi una reazione virtuosa della società civile e del mondo delle imprese rispettose della legalità. I progetti di riutilizzo offrono ai giovani onesti delle chance formative e lavorative immediate in settori socio-economici importanti. La criminalità ha interessi economici in settori strategici, perciò una volta sottratte queste nicchie alle mafie, devono essere ricoperte da soggetti virtuosi.

A chi vengono affidati i beni sottratti alle mafie?
Dopo la confisca e la destinazione allo Stato e agli enti locali, la magistratura e la pubblica amministrazione devono vigilare affinché non si propongano come affidatari soggetti o enti controllati o collegati ai mafiosi stessi o ad altri clan concorrenti. Solitamente sono affidati alle forze dell’ordine e alla protezione civile per fini istituzionali (allestire caserme in beni immobili, ospitarvi poliziotti in missione fuori sede, supportarne i diversi tipi di servizi). Segnalo iniziative, secondo me, degne di nota della Croce Rossa o Verde (riutilizzo di camper come ambulatori mobili o di autovetture veloci per il trasporto di organi), di Libera (coltivazione di terreni, sfruttamento di immobili per attività culturali e commerciali di ispirazione sociale), di enti universitari (coltivazione alternativa condotte dalle facoltà di agraria o il subentro nella gestione di cliniche private ed RSA), di enti museali (al Museo dell’Automobile di Torino vi è un’esposizione di autovetture di lusso e sportive confiscate). Tali esempi virtuosi devono aumentare attraverso l’informazione e la divulgazione scolastica e universitaria. Serve una scossa della società civile alle istituzioni per superare inerzia e timidezze.

Quali sono le maggiori problematiche pratiche che presenta il riutilizzo dei beni?
Alcuni beni hanno un elevato valore sociale e simbolico ma un basso valore economico o viceversa. Bisogna coordinarne la gestione con uno sfruttamento economico commercialmente appetibile ma
anche con la loro vocazione sociale. Inoltre, molte attività commerciali si basano su licenze e contratti di godimento. E’ dunque necessario rinnovare quegli stessi contratti in quegli stessi locali, sennò verrebbe meno la valenza di riutilizzo di quel determinato bene (a Torino questa problematica ha impedito la proroga delle attività di Libera nel Bar Italia Libera). Vanno, inoltre, effettuate numerose valutazioni economiche delle chance di riutilizzo. Spesso, però, si intersecano con indennizzi a terzi, con le posizioni creditorie di terzi garantiti dai beni sequestrati e confiscati, e con eventuali procedure fallimentari. Inoltre, spesso, molti beni sono interessati da abusi edilizi o urbanistici, non sempre sanabili, o da carenze strutturali che comportano esborsi significativi a carico dello Stato o degli affidatari. Vi è, inoltre, il rischio di atti ritorsivi dei soggetti colpiti dalle misure di prevenzione, che tentano di distruggere o deprezzare il bene. Infine, purtroppo, si possono verificare fenomeni di assegnazione e gestione clientelari dei beni, portando a strutture gestorie troppo chiuse.

Ritiene che ci sia una buona interazione tra forze di polizia italiane e straniere nella confisca dei beni e nel loro riutilizzo?
Purtroppo i casi di confisca di beni all’estero realmente gestibili sono rari. Sia per problemi di diritto internazionale, sia per una diversa cultura in materia tra Stati. Talvolta vi sono differenze nei presupposti e limiti delle confische, tra i pubblici registri immobiliari o mobiliari, in diritto societario e commerciale e procedure spesso stremanti di rogatorie internazionali.

Quali sarebbero, secondo lei, le più importanti innovazioni tecniche e legislative da apportare al sistema vigente?

Il c.d. Codice Antimafia, a mio avviso, è già un ottimo strumento di intervento. Il problema è che in pochi vogliono assumersi la responsabilità di adottare iniziative innovative. Sarebbe, ad esempio, utile riconoscere all’amministratore giudiziario una vera e propria rappresentanza legale del patrimonio sequestrato e confiscato. In questo modo avrebbe un titolo idoneo a pubblicare, presso i registri delle ambasciate italiane all’estero, la sua nomina. Potrebbe gestire beni sequestrati o confiscati all’estero (anche negli Stati non collaborativi con l’Italia), agendo in base al diritto privato del paese straniero o al diritto privato internazionale. Per rafforzare la cooperazione internazionale sarebbe anche utile stipulare convenzioni ed accordi bilaterali sulla reciprocità del riutilizzo di beni confiscati e sequestrati. Inoltre, si dovrebbe istituire un fondo di sostegno alla prosecuzione delle attività economiche delle imprese confiscate e per le ristrutturazioni immobiliari dei beni.
A mio avviso, sarebbe importante promuovere strumenti di consultazione multimediale per mettere in contatto permanente l’amministrazione giudiziaria e la società civile, favorendo la migliore allocazione dei beni presso enti ed imprese virtuose, sin dal momento del sequestro e della confisca di primo grado. Questo è, ad esempio, l’obiettivo del progetto “ConfiscaTO” (dell’associazione pinerolese OK Parliamone!) che, attraverso convenzioni di alternanza lavoro tra istituti tecnici e il Tribunale di Torino, sta realizzare una app di geolocalizzazione dei beni confiscati. Sovrapponendo le mappe catastali a una ricerca filtrata secondo determinati parametri, si possono individuare beni confiscati sul proprio territorio e mettere in comunicazione gli utenti interessati a progetti di riutilizzo con gli amministratori giudiziari preposti alla relativa custodia e gestione.
Infine, da anni cerco di promuovere l’iniziativa di riconoscere uno statuto collaborativo speciale ai testimoni di giustizia. Essendo, spesso, già operatori qualificati nei campi in cui sono stati vittime delle mafie e avendo dimostrato senso e capacità di ribellione, potrebbero essere iscritti in Albi differenziati secondo le relative esperienze commerciali, economiche e professionali. Da qui, gli amministratori giudiziari e i giudici delegati, potrebbero avvalersi delle loro consulenze e business plan o attribuire loro incarichi amministrativi e dirigenziali, di supporto alle imprese sequestrate e confiscate.

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