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di Luciano Armeli Iapichino
Potremmo raccontare questa storia iniziando con l’accostarla alle dieci piaghe che Dio inflisse all’Egitto per liberare Mosè e gli Israeliti. O al racconto di Mark Twain sul massacro degli indiani del Minnesota del 1862: “Dodici Indiani fecero irruzione in una fattoria allo spuntare del giorno e ne fecero prigioniera una famiglia, composta dal fattore, sua moglie e quattro figlie, di cui l’ultima aveva quattordici anni e la prima diciotto. Essi crocifissero i genitori […]. Poi denudarono le figlie, le gettarono a terra davanti ai genitori e le stuprarono ripetutamente. Infine, crocifissero le ragazze sul muro opposto a quello dove erano crocifissi i genitori e mozzarono loro mani e seni. Inoltre … ma è meglio non continuare. C’è un limite. Ci sono oltraggi così atroci che la penna non riesce a scriverne”.
Così Mark Twain nelle sue Lettere dalla Terra. Correva l’anno 1909.
Tenete a mente queste immagini: massacro, crocifissione, stupro, mozzare e voltate nettamente pagina e coordinate spazio-temporale.
Sicilia, 1943, seconda guerra mondiale. È in corso l’operazione Hvskj: nome in codice per l’invasione dell’isola da parte degli Alleati. Patton e Montgomery organizzano le operazioni contro gli italo-tedeschi: bisogna annientare i nazi-fascisti e liberare l’isola e la penisola. I tedeschi, i criminali assatanati di sangue che durante la loro ritirata incarneranno senza alcuna sbavatura il male assoluto (Sant’Anna di Stazzema, 560 vittime di cui 130 bambini; Marzabotto, 1830 morti, solo per fare qualche esempio) vanno annientati. È la guerra degli angeli contro i demoni, è la risposta divina al male satanico. Nessuna pietà per i seviziatori, gli sciacalli e i boia dei campi di sterminio.
Le truppe alleate sono composte da Americani, Inglesi, Canadesi, Francesi. La popolazione li aspetta. È esausta, stremata dalla guerra, dai tedeschi, dalla lontananza degli uomini che sono al fronte e lontano dalle loro famiglie e dalle loro terre. È debilitata dalla fame. I liberatori arrivano, si sentono: la guerriglia nelle aree interne dell’isola non è sorda.
Anzi. I colpi di mortai tuonano nelle vallate annunciando l’ora della fine: quella del supplizio, della sottomissione, delle angherie, dei processi sommari.
È solo questione di tempo. Tutto volgerà al meglio: la liberazione è vicina. I portatori di democrazia, di civiltà, di cioccolata andranno incontro ai bambini.
Stop. E adesso fermatevi. Inizia un’altra storia. Tutto si capovolge.
Qualcosa nell’ingranaggio della storia s’inceppa. L’orizzonte di senso si trasforma in campo di assurdità, di incredulità, di illogicità.
Tra le truppe alleate ci sono anche i marocchini. Era stato il generale Patton, “forse in previsione di alcune difficoltà, a sollecitare “la partecipazione […] alla campagna siciliana di un battaglione marocchino, anche in rappresentanza dell’Armata francese che rimaneva in Africa per organizzarsi dopo le prove in Tunisia”. […] Il 4° Tabor […] rispecchiando la struttura tribale (goum), era composto dai contingenti 66°, 67°, 68°, aventi come effettivi 58 francesi (12 ufficiali, 44 sottoufficiali, 2 soldati); 832 marocchini (154 graduati, 678 goumiers, cioè soldati); 241 animali (117 cavalli, 124 muli).
Così scrive Luigi Anello, nell’estratto dell’archivio storico messinese – 42 – , nel suo In margine all’operazione Hvshj: Capizzi e le truppe marocchine nel 1943, in cui descrive i goumiers, i soldati marocchini per lo più berberi, vestiti con il cosiddetto barracano, con dei lunghi, intrecciati ed unti capelli e armati oltre che di zoccoli e mitra anche da koumia, le scimitarre.
Gli scontri tra le due coalizioni che si contendono vallata dopo vallata continuano ininterrottamente giorno dopo giorno. Ma poi succede ciò che il corso della storia non ha previsto, la storiografia non ha scritto sui libri, il ricordo non ha impresso nella memoria di tanti.
Capizzi: i goumiers, sparigliati i tedeschi, scardinate le linee nemiche, cercano il bottino che è stato loro promesso: donne e oro. Sì promesso dai vertici: per loro sarà tutto consentito per alcuni giorni senza incorrere in punizione alcuna.
Quella che doveva arrivare come liberazione si è tramutata per i capitini ma anche per molti centri della penisola in un’apocalisse: violenze su violenze, donne e anziane inermi martirizzate, infezioni, gravidanze, orecchie mozzate e i vertici dei comandi alleati tanto più consapevoli quanto muti.
L’orrore materializzatosi nei campi, nei casali, nei silenzi assordanti delle notti con la fame sessuale e satanica di bestie travestiti da soldati che hanno sfogato la loro depravazione di massa celata con il vessillo della libertà. Le poche testimonianze raccolte superano ogni forma di umana immaginazione, di possibile perversione, le righe di qualsivoglia penna non addomesticabile.
Così Anello: “la fama delle incivili imprese dei marocchini […] aveva preceduto di molto il loro arrivo, creando preoccupazioni e ansie alla popolazione, specialmente a quella sparsa per la campagna. [..] Gli stessi americani contribuirono ad aumentare il panico, con l’invito alla popolazione di essere prudenti e di ritirare le famiglie dalla campagna”, dopo la violenza subita da sue donne in contrada Ruscina. E ancora: […] agivano con violenza facendo saltare, con un colpo di baionetta, dalla bocca i denti d’oro, oppure strappando dall’orecchio gli orecchini d’oro”.
La ferocia dei marocchini su capitini e ceramesi fu senza limiti. E forse fu proprio questo impressionante atto di disumanizzazione che portò una Capizzi già stremata dalla guerra a reagire con la stessa ferocia: “alcuni vennero bastonati, altri invece furono impauriti mostrando esplicitamente una corda; temevano infatti che una volta impiccati l’anima non uscisse dal corpo e quindi non raggiungesse il paradiso. Ma molti furono uccisi a colpi di accetta o per impiccagione”. La loro testa data ai porci. Altri furono ammonticchiati nei casali, altri ancori lasciati penzolare impiccati lungo i sentieri.
I Goumiers lasceranno traccia di loro con misfatti inenarrabili anche in Campania, nel Lazio, in Toscana: Cassino, Ausonia, S. Andrea, Vallemaio, Polleca, Vallecorsa ... Anche qui si parla di centinaia di stupri su bambine e anziane, crocifissioni, evirazioni di uomini e impalamenti, di decine di Goumiers a violentare in fila la stessa donna,la stessa ragazza, la stessa anziana, la stessa bambina.
Nel secondo dopo guerra questi atroci misfatti saranno anche oggetto di dibattiti parlamentari. In alcuni documenti è emerso che il papa, Pio XII, venuto a conoscenza di queste indicibili “marocchinate” ottenne dal Presidente Roosevelt e da De Gaulle che le truppe magrebine venissero cacciate dall’Italia.
loren sofia la croceraLa cinematografia ha dato il suo contributo di testimonianza con la pellicola La ciociara, 1960, di Vittorio de Sica, interpretato da Sofia Loren (in foto a destra) e tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia.
Questa la riflessione interessante di Marianna Fascetto, scrittrice e promotrice culturale di Capizzi:
“Quello che la storia e la cronaca del tempo non dissero fu che chi rimase a presidiare queste sperdute terre di montagna, mentre gli uomini forti erano in guerra, furono gli anziani e i ragazzi, i quali si sentirono in dovere di difendere come un bene prezioso l’onore delle donne (madri, figlie, sorelle).
L’onore, per la cultura siciliana del tempo, rappresentava un valore da preservare con la propria vita. Anche le stesse donne si difesero con coraggio; l’errore fu che piuttosto di rimanere nelle proprie abitazioni in paese, gran parte di quelle si rifugiò nelle casupole di campagna disseminate nel territorio intorno e disgraziatamente proprio sulla direttrice di marcia di quelle truppe alle quali fu deliberatamente consentito di abusare e di sfogarsi con la popolazione inerme.
Se la storiografia non ha dato il giusto peso a questi fatti, fu proprio per mascherare la vergogna dei vincitori e considerare quelle piccole ma terribili vicende come tributo necessario da far pagare a persone anonime alla storia e al mondo.
Delle testimonianze che io ascoltai molto tempo fa raccontavano, sempre per sentito dire, di ragazze che vennero oltraggiate davanti ai bambini o ai genitori anziani; qualcheduna li supplicava appellandosi a Dio che non era lo stesso ma inutilmente e accadde che qualche donna o ragazza rimase pure incinta … Ma nessuno volle mai parlarne.
“Marocchinate” significò per molto tempo fare cose paradossali e senza senso ma fu un termine che si cancellò qualche decennio dopo. Qualcuno si azzardava a parlarne raccontando di avere trovato cadaveri di marocchini pure nei pagliai di campagna e che quelli si terrorizzavano vedendo un’accetta o una roncola poiché la morte avvenuta con quegli attrezzi gli precludeva il passaggio nell’aldilà.
I capitini capirono che l’unico modo per difendersi da quelle efferatezze era di coalizzarsi e di agire insieme e in parte ci riuscirono”.
Il silenzio calato su questa inenarrabile pagina di storia dimostra che sul passato è necessario avviare ancor più energicamente un’azione di revisionismo e scavo.
La storia è di tutti, non solo dei vincitori e dei vinti. Anche degli anonimi.

In foto di copertina: i Goumiers

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