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di Roberto Greco
Anche il quel caldo mercoledì d’agosto, non tutta la città ha abbandonato l’asfalto per la sabbia e l’acqua del mare. È l’11 agosto 1982. Paolo Giaccone, come al solito, si reca al lavoro. Raggiunge il Policlinico di Palermo e parcheggia la sua auto. Non si accorge che, tra i viali alberati del parcheggio, ci sono due uomini in attesa e una Fiat 126, con a bordo un altro uomo, poco più in là. Paolo Giaccone, all’improvviso, viene colpito da cinque colpi sparati da Berretta 92 Parabellum. Paolo Giaccone cade a terra colpito a morte mentre i due killer si danno alla fuga a bordo di una motocicletta. Ma chi è Paolo Giaccone e chi ha voluto la sua morte?

Paolo Giaccone nacque a Palermo il 21 marzo 1929 da Antonio e da Camilla Rizzuti. Il padre era medico, primario di ostetricia e ginecologia all’ospedale di Palermo; anche il nonno e il bisnonno erano stati medici: il primo medico condotto e ufficiale sanitario a Bisacquino, il secondo a Caltabellotta. Frequentò l’Istituto Gonzaga dalla prima elementare fino alla maturità classica, mostrando spiccati interessi per le materie scientifiche, ma eccellendo anche in quelle umanistiche. Conosceva e padroneggiava altresì l’inglese, il francese e il tedesco. L’attività educativa dei padri gesuiti che guidò e accompagnò la sua formazione culturale ed umana al Gonzaga, durante i 13 anni degli studi, ha sicuramente promosso ed esaltato i sentimenti, insiti nel giovane Paolo, di bontà, solidarietà umana e sociale, altruismo e generosità. Ebbe numerosi e vari interessi: praticò la scherma, amava dipingere e fare specialmente caricature, soprattutto dei suoi compagni di classe, scriveva anche poesie. La più grande passione fu, però, la musica, che studiò, per cinque anni, al Conservatorio Bellini di Palermo. Si interessò anche di filatelia e di ornitologia. Conseguì la maturità classica nel 1947 e si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Palermo. Dal terzo anno in poi frequentò l’Istituto di Medicina legale, diretto dal famoso professore Ideale Del Carpio. Dopo sei anni, nel 1953, si laureò con il massimo dei voti e la lode, con una tesi in ematologia forense, la disciplina che tanto lo appassionò e coinvolse. Subito dopo la laurea, si recò a Parigi, dove frequentò importanti laboratori scientifici. Sposò Rosetta Prestinicola, dalla quale ebbe 4 figli: Camilla, Antonino, Amalia e Paola, ai quali era legatissimo e che amava teneramente. Insieme al professore Del Carpio, fu ideatore e fondatore del centro trasfusionale dell’Avis, l’associazione dei donatori volontari di sangue. Il professionista La sua carriera accademica si svolse nell’ambito della medicina legale, dove rivelò straordinaria competenza, rigore scientifico e altissima professionalità. Fu incaricato di antropologia criminale, titolare di medicina legale a Giurisprudenza, professore di ruolo di medicina legale nella facoltà di Medicina dell’ateneo palermitano. Si interessò di balistica, tossicologia ed ematologia forense, criminologia, tanatologia, analisi dei “guanti di paraffina”. Per tali competenze, fu per numerosissimi anni consulente della magistratura e delle istituzioni dello Stato. Gli furono affidate le perizie e le autopsie su personaggi illustri, uccisi dalla criminalità organizzata mafiosa, come il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, l’onorevole Michele Reina, il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, il capitano Emanuele Basile, il procuratore Gaetano Costa, il giudice Cesare Terranova, il maresciallo Lenin Mancuso, il giornalista Mario Francese.

Per capire i motivi del suo omicidio, bisogna tornare a qualche mese prima, allo scontro a fuoco che avvenne a Bagheria, in provincia di Palermo, il 25 dicembre del 1981. È il periodo dei regolamenti di conto per l’accesso alla città da parte dei Corleonesi e dei suoi “nuovi” alleati. Quel giorno, un commando guidato da Giuseppe Marchese, nipote del boss di Corso dei Mille Filippo Marchese, attacca un’auto sulla quale viaggiavano mafiosi della cosca antagonista. Nella feroce sparatoria muoiono, oltre a due dei tre mafiosi, anche una passante, Valvola Onofrio. La Fiat 128 utilizzata dai killer per compiere l’agguato fu rinvenuta durante le indagini che seguirono lo scontro a fuoco. Le indagini relative alla identificazione di un’impronta digitale rinvenuta all’interno dell’auto, furono affidate al Prof. Paolo Giaccone, medico legale, docente dell’Università di Palermo. Era professore ordinario di Medicina legale presso la Facoltà di Medicina e insegnava Antropologia criminale alla Facoltà di Giurisprudenza. Da quel momento, Paolo Giaccone iniziò a ricevere, anche da parte dell’avvocato del Marchese, numerose pressioni e minacce per indurlo a modificare le conclusioni della sua perizia dattiloscopia. Il medico si oppose ai continui inviti e la perizia consentì di condannare il killer al carcere a vita. Sulla base delle prime indagini veniva indicato, come responsabile dell’omicidio del Prof. Giaccone, Filippo Marchese ma ciò, si ritenne un’ipotesi estremamente riduttiva, dato che per l’omicidio di una personalità così importante non poteva non essersi mossa l’intera “Commissione”. A seguito delle dichiarazioni del pentito Vincenzo Sinagra, che rivelò i dettagli del delitto, Salvatore Rotolo venne condannato all’ergastolo al maxi-processo.

Tratto da: robigreco.wordpress.com

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