di Salvatore Borsellino
Nell’ottobre del 2010, a seguito della pubblicazione sulla rivista MicroMega di un articolo nel quale ponevo a Giuseppe Ayala alcune domande riguardanti le sue diverse e spesso contraddittorie versioni su quanto avvenuto in relazione al prelievo della borsa di Paolo contenente l’Agenda Rossa dalla sua macchina blindata subito dopo la strage di via d’Amelio, perveniva alla direzione della stessa rivista, indirizzata al direttore Paolo Flores D’Arcais, una lettera intestata della fondazione che allora aveva il nome “Fondazione Giovanni Falcone e Francesca Morvillo” e che oggi porta il nome di “Fondazione Giovanni Falcone”.
In questa lettera veniva deprecato il fatto che una testata giornalistica prestigiosa come MicroMega si prestasse a pubblicare “accuse così violente e volgarmente infamanti” nei confronti di Giuseppe Ayala, il quale, secondo i firmatari, Presidente e Vicepresidente della Fondazione stessa, “di certo non merita questi veri e propri insulti”.
In effetti a ricevere dei veri e propri insulti da Giuseppe Ayala, credo di essere stato io dato che riferendosi a me, in una intervista registrata all’uscita di un teatro, quest’ultimo ha affermato, e l’intervista è stata registrata, che “Salvatore Borsellino ha dei problemi psicologici” e, quando gli è stato chiesto se si riferisse proprio al fratello di Paolo Borsellino, la risposta era stata “io non mi intendo di fratelli ma so che anche Abele aveva un fratello” .
Per questa affermazione, ritenendo, fino a prova contraria, che non mi si potesse impunemente paragonare a Caino, dato che questi è stato l’assassino di suo fratello, querelai penalmente Giuseppe Ayala il quale in primo grado fu condannato ma in secondo grado venne assolto dato che il magistrato giudicante ritenne che io, con le mie domande, lo avrei “provocato”.
Mi sono chiesto come possano delle domande tese ad accertare la verità essere considerate delle provocazioni ma rispetto le sentenze della magistratura anche quando, sinceramente, non le condivido.
Mi sono però meravigliato qualche giorno fa quando proprio dalla fondazione Giovanni Falcone, di cui oggi è vicepresidente proprio Giuseppe Ayala, ho ricevuto un invito “alla S.V.” a partecipare alla Cerimonia che si svolgerà presso l’Aula Bunker del carcere Ucciardone di Palermo, alla presenza del Ministro dell’Istruzione, dell Università e della Ricerca (MIUR) Marco Busetti.
Mi sono meravigliato perché l’estensore delle domande considerate “veri e propri insulti” sono proprio io e, se incontrassi Giuseppe Ayala, non esiterei a rifargliele (le domande, ovviamente, non gli insulti, che non ho mai fatto).
Mi sono meravigliato perché il MIUR, qualche tempo fa consigliò a qualcuno che aveva scritto un libro sulla sua esperienza come autista di Giovanni Falcone, libro che avrebbe voluto diffondere nelle scuole e per il quale mi aveva chiesto di scrivere la prefazione, che sarebbe stato meglio la facesse scrivere da qualche altro se davvero desiderava il patrocinio del MIUR.
Mi sono meravilgliato perché l’invito era per il 23 maggio, per il XXVII Anniversario delle Stragi di Capaci e di Via D’Amelio, ma dal 23 maggio al 19 luglio, XXVII Anniversario della strage di Via D’Amelio, di giorni ne sono passari 57.
Mi sono meravigliato perché credo tutti sappiano che i familiari di Paolo Borsellino hanno rifiutato i funerali di Stato e hanno voluto che i rappresentanti delle Istituzioni fossero presenti, nel caso volessero essere presenti, soltanto come semplici cittadini.
Mi sono meravigliato ma poi ho pensato che a dare inizio a questo spostamento di date era stato Giorgio Napolitano che dopo avere escluso me e mia sorella Rita dal novero dei familiari di Paolo, dichiarando in una commemorazione al palazzo di Giustizia di Palermo che salutava i familiari di Paolo, per lui rappresentati soltanto dalla moglie e dai figli, l’anno successivo era andato in via D’Amelio a rendere omaggio a Paolo non il 19 luglio ma il 23 maggio. Non senza però essersi prima assicurato, tramite richiesta fatta pervenire alla Polizia aeroportuale, che un certo Salvatore Borsellino non avesse prenotato per quel giorno un volo per Palermo e ci fosse quindi il rischio che potesse aspettarlo in Via D’Amelio con una Agenda Rossa.
E’ da almeno 10 anni che, a parte l’anno scorso, nessun rappresentante delle Istituzioni viene più in tale veste in via D’Amelio il 19 luglio.
E’ da almeno 10 anni che si è interrotto il rito delle corone d’alloro, dei simboli di morte, deposte in pompa magna in una strada che era diventata un simbolo di violenza e di sangue ma dove la madre di Paolo Borsellino ha voluto che fosse piantato un albero d’olivo, simbolo di speranza, speranza di cambiamento e di una Verità e di una Giustizia che a 27 anni di distanza i martiri trucidati in quella strada ancora aspettano.
E’ da almeno 10 anni che delle Agende Rosse alzate al cielo impediscono agli avvoltoi di tornare sul luogo della strage per assicurarsi che Paolo sia veramente morto.
E allora, pur di non vedere quelle Agende Rosse, pur di non sentire quelle voci che ancora dopo 27 anni si ostinano a chiedere Verità e Giustizia, è meglio alterare se non la storia almeno le sue date di riferimento e fare le commemorazioni nei momenti giudicati piu opportuni, quando ministri e sottosegretari possono avere più libertà di movimento.
Tratto da: 19luglio1992.com