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Antonio Ingroia e Azione Civile ricordano Peppino Impastato nell’anniversario del suo assassinio

41 anni senza Peppino Impastato, 41 anni con il suo coraggio, le sue idee, la sua fame e sete di giustizia, libertà, verità. Contro i Tano Badalamenti e le trame mafiose e non solo, di ieri e di oggi. Ma accontentarsi di commemorare un solo giorno non basta, non serve. Perché la memoria di Peppino Impastato è soprattutto la memoria di un cammino trentennale, una lotta per chiedere giustizia iniziata poche ore dopo il suo assassinio e giunta ad oggi ancora in piedi, luminoso esempio di un cammino da seguire per tutti coloro che credono ancora che la mafia - come disse Borsellino - è umana ed è destinata a finire. Il 9 maggio 1978 Tano Badalmenti era convinto di aver messo a tacere un uomo che voleva e cercava la giustizia. Invece si sbagliò profondamente. Perché dal sacrificio di Peppino, dall'amore per la giustizia che lui aveva sempre mostrato, tante voci si levarono. Come fiori in primavera gli amici di Peppino decisero di proseguire il suo impegno, la sua lotta contro l'oppressione e la violenza mafiosa. Questo gruppo di irriducibili cercatori di giustizia hanno da subito trovato un motore inesauribile nella famiglia di Peppino. L'anziana mamma Felicia e il fratello Giovanni decisero di non lasciar morire la sua voce. Il primo impegno fu quello di rendere giustizia proprio a lui. I mandanti del suo assassinio, insieme ai loro appoggi istituzionali accusarono Peppino di essere un terrorista e di essere morto mentre stava preparando una bomba. Si voleva infangarne la memoria, cancellare il suo impegno antimafia. Ma i suoi amici non si arresero e condussero una battaglia legale durissima. Nonostante i boicottaggi e i depistaggi alla fine la giustizia prevalse. Alle ore 17,15 dell'11 aprile 2002 la Corte d'Assise di Palermo condanna Gaetano Badalamenti all'ergastolo in quanto mandante dell'omicidio Impastato. 24 anni dopo finalmente era giustizia. Quella ricerca di giustizia che s’intreccia con tante altre vicende della storia italiana. Nei depistaggi per l’assassinio di Peppino ricorre il nome di Subranni, lo stesso che poi tornerà in altre vicende. Tra cui la trattativa di inizi Anni Novanta stato-mafia. Un’inchiesta per anni avversata e attaccata come forse poche volte nella storia. Iniziata da Antonio Ingroia e proseguita da Nino Di Matteo e i suoi colleghi. Un anno fa la sentenza di primo grado ha ribadito quello che chi si oppone alle mafie, alle deviazioni istituzionali, al sovversivismo di classi dirigenti contigue ai poteri criminali, già sapevano. E’ iniziato in queste settimane il processo d’Appello, nel silenzio mediatico e politico generale. Rompere quel silenzio, proseguire la lotta per illuminare definitivamente una delle pagine più buie della storia d’Italia, dev’essere un impegno collettivo. E’ la migliore commemorazione di chi è stato assassinato per amor di giustizia, verità e libertà. Proseguirne il cammino. Nel denunciare ogni mafia, le complicità e connessioni con imprenditoria, politica, pezzi delle istituzioni, massoneria. Lottando accanto ai tarantini assassinati dall’inquinamento, ai cittadini delle “terre dei fuochi” che stanno pagando con la vita un crudele prezzo al profitto di squallide consorterie criminali, ai comitati e movimenti che si stanno opponendo al Muos e denunciano le infrastrutture di guerra della Nato e degli USA presenti anche in Italia, a chi non si arrende a razzismo, xenofobia, alla guerra permanente che - dal Venezuela alla Siria, dalla Libia all’Afghanistan - opprime e uccide i popoli, rovescia ogni tentativo democratico e vuole imporre un dominio militare e disumano.

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