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di Valentina Tatti Tonni - Intervista
“Ma che cosa si è instaurato in Italia, un regime antimafia dove non è concessa libertà di parola, dove non si può e non si deve mettere nulla in discussione, neanche se un pezzo di magistratura sta indagando?” si chiede il giornalista Attilio Bolzoni nel suo nuovo libro edito da Zolfo, il Padrino dell’Antimafia, una cronaca più spesso definita “maleducata” che ripercorre la strada e la rete di potere creata da Calogero Antonio Montante detto Antonello che da Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, è arrivato ai vertici di Confindustria siciliana.
Il testo, suddiviso in cinque capitoli, racconta di “mafie incensurate” che si mascherano e si insinuano nei palazzi, talmente abili nell’arte oratoria da vestire e insudiciare i panni dell’antimafia per crearne un business. E la gente, come dimostreranno le inchieste giornalistiche e le indagini della magistratura, sarà portata a credere ciecamente in un nuovo miraggio che permetta di discolpare i burattini, di fare ammenda per l’omertà di cui ci si è macchiati in passato.
Ecco che allora la denuncia di Bolzoni si fa più aspra contro chi ha permesso che tutto ciò avvenisse, contro gli stessi organi di stampa che più volte hanno zittito le notizie e che con la loro "promiscuità non hanno fatto onore alla categoria", contro quelle associazioni che sembrano aver perduto il loro spirito originario e la loro, quanto nostra, memoria. È solo l’urgenza di capire che muove la penna del giornalista di Repubblica, raccontare i fatti senza tanti ricami.
Montante, dopo aver ricevuto il titolo di Cavaliere del lavoro dall’allora Presidente Napolitano e dopo essere diventato rappresentante di tutti gli industriali cavalcando l’onda della famosa rivoluzione, nel 2015 finirà sotto inchiesta per spionaggio, corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. Aveva spiato tutti quelli che contro di lui potevano vantare qualche ritorsione, in modo da prevenire il danno qualora si fosse creato. Un danno collaterale che però faceva rima con l’intimidazione, pagando la legalità a prezzo d’oro: con il silenzio.
Montante era nel cuore del boss di Cosa nostra Paolino Arnone della famiglia di Serradifalco e di Vincenzo Arnone, il figlio, che ad Antonello farà da testimone di nozze e che prenderà le redini del clan quando il padre finirà morto suicida in carcere. Una volta arrestato lui a prendere il posto nella reggenza della famiglia sarà Dario Di padrino antimafiaFrancesco, uno dei pentiti che accuseranno Antonello. Il braccio di Montante è Ivanohe Lo Bello detto Ivan che iniziò la sua carriera a Siracusa con una fabbrica di biscotti, fino al 1998 quando per volere dell’allora presidente della Regione Giuseppe Provenzano diventerà consigliere di amministrazione del Banco di Sicilia. C’è da dire, per coerenza, che Giuseppe Provenzano era stato sospettato da Falcone di “amministrare in qualche modo il denaro del Provenzano mafioso attraverso la moglie di quest’ultimo”, ma l’inchiesta fu archiviata per insufficienza di prove. Altro personaggio chiave del trittico di Sicindustria, tra tutti quei nomi eccellenti che entrano ed escono nella vicenda Montante, è Giuseppe Catanzaro, grande amico dei due e "re delle discariche" in provincia di Agrigento. La discarica che da pubblica diventerà privata metteva in luce la figura di Catanzaro come un imprenditore d’avanguardia perché deteneva di fatto tutto il sistema rifiuti della regione. E sarà proprio lui che Montante nominerà al suo posto nella presidenza di Sicindustria. Bisognerà però aspettare il 10 maggio prossimo per una sentenza, in abbreviato, contro le accuse che i pm di Caltanissetta hanno rivolto all’intero sistema.
Una storia di intrecci in cui bisogna immergerci la testa completamente se si vuole capirci qualcosa. Sarà cambiato qualcosa in Confindustria? lo chiedo a Bolzoni. “Credo ci sia una grande inquietudine in Confindustria, da quello che ho capito la posizione del presidente di Confindustria Boccia è ferma, continua a dire che non è giustizialista, che è garantista, benissimo ma dovrebbe spiegare che cosa è successo con Montante e con il capo della security di Confindustria De Simone che dava ordini ai funzionari dello Stato per i dossieraggi. Credo che questo atteggiamento di Confindustria sia veramente inquietante perché, intanto, il suo predecessore Squinzi ha sempre difeso un indagato di mafia mentre c’era un’indagine, c’è ancora sulla mafia, quindi con una posizione di decoro istituzionale veramente singolare e lo stesso sta facendo Boccia, perché non è che, come dire, ha preso una posizione su Montante". Ma la domanda che gli preme fare e che rilancio è: "Com’è stato possibile che un personaggio di questo tipo diventasse il riferimento dell’antimafia italiana?”.
Il Padrino dell’Antimafia è dunque un libro controcorrente perché scava e tira fuori tasselli marci di un’Italia ancora infelice e ingenua o tutt’al più opportunista che ha permesso, nelle alte sfere decisionali, di tradire la giustizia. "Ho seguito la vicenda fin dall’inizio e mano a mano che scoprivo qualcosa da un punto di vista giornalistico trovavo la vicenda sempre più opaca" mi spiega l’autore, allora gli chiedo per quale motivo abbia scelto di scriverlo proprio ora. “Ho pensato che era giusto scrivere questo libro perché, attraverso la figura di Montante, i confini tra mafia e antimafia sono diventati più confusi”.

Foto © Imagoeconomica

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