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manca attilio sorriso 850di Luciano Armeli Iapichino
Vado subito al punto. Senza premesse o introduzioni. Di parole, offese, impressioni e calunnie sulla vicenda dell’urologo barcellonese Dott. Attilio Manca ne sono state profuse, in ogni luogo e in tre lustri, abbastanza. E queste si aggiungeranno alle altre. Ma, la cosa certa è, non saranno le ultime.

E’ tempo, pare, di resa dei conti. Muri di protezione e bunker di verità si stanno sbriciolando a furia della perseveranza di familiari instancabili e pentiti “illuminati”. Dal caso di Serena Mollicone, a quanto pare uccisa in una caserma, a quello di Stefano Cucchi, a quanto pare ucciso in un carcere, le vergogne di quell’Italia che insabbia e si fa complice stanno tornando alla luce.

A Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese, l’ultimo pentito Aurelio Micale, è un fiume gravido di inquietanti verità che diventano “scomode” per chi, nella zona grigia della città e in ogni occasione, si è sempre strappato i capelli nel sottolineare che in città la mafia non esiste.

Persino sulla strage di Via d’Amelio, nel processo Borsellino quater, le vergogne di certe istituzioni iniziano ad affiorare nell’imbarazzo di tanti coperto dai rossori di chi a quel tempo condusse le prime indagini.

Per il Dott. Manca, per la sua brutalizzazione, evidentemente il cemento della ragion di Stato sembra di quello più robusto, costruito con sapienza da maestranze sopraffine accomunati da forti interressi reciproci, intrecci vitali, amicizie fraterne, fiducie indissolubili.

Indissolubili! Pare!

Lo “Stato”, sino adesso, ha lasciato Attilio Manca “da solo” in quell’appartamento di via Monteverdi a Viterbo.

Da solo, con la sua siringa e il suo mix di sostanze stupefacenti.

Immaginate la scena di un crimine:

un giovane dottore si trova braccato da due, tre persone, in casa sua, magari già stordito da pugni in faccia ma ancora cosciente e abbastanza lucido da capire che sta per morire. Spaventato. Rassegnato alla roncola della Morte. Piange a singhiozzo. Un pianto muto. Silenzioso. L’unica dignità che riesce a palesare ai Caini che lo martirizzano. La sua famiglia, i suoi studi, la sua voglia di sopravvivere: immagini che si annebbiano. E mentre pensa tutto questo, magari insultato, schernito, sputato, riceve un altro violento colpo al setto nasale, talmente potente da sfigurarlo … il dolore è atrocemente insopportabile … e non è finita. Le forze lo abbandonano. Vorrebbe reagire. Ma non riesce. Niente! Non ce la fa! Ancora trattenuto per i polsi e le caviglie, immobilizzato con forza bruta, una pedata violenta impatta sullo scroto. È la fine. È privo di sensi. Resta da compiere la misera messinscena dell’inoculazione dell’eroina sul braccio sbagliato. Per questo ci vuole una mano meno rozza. Più delicata. E poi, prendere quel corpo da cui sgorga sangue e in cui probabilmente il cuore batte ancora, denudarlo e “buttarlo” come un bamboccio sul letto, riverso all’ingiù. La morte giungerà lenta tra atroci sofferenze. Resta solo, dopo il ritrovamento, la chirurgica mistificazione della realtà in verbali giudiziari, referti autoptici e testimonianze che fungono da divertenti e ciniche incisioni con un coltello su quel cadavere che un tempo sorrideva e salvava vite umane. Questa la scena di un mattatoio.

Ora la domanda è: lo “Stato” - ovvero gli uomini che ha utilizzato (magistrati e consulenti) nella ricerca della verità sulla morte del medico di Barcellona Pozzo di Gotto - ha dimostrato, a oggi, con chirurgica scientificità e robusto corredo di prove, che quell’aberrante scena del crimine è solo il frutto della fantasia di una madre, di un padre e di un fratello obnubilati dal dolore della perdita del loro congiunto, trascinando, dunque, nella loro apparentemente immotivata rivendicazione di giustizia una nazione intera e, pertanto, che Attilio Manca si sarebbe inoculato con serenità il mix fatale nell’avambraccio sinistro, procurandosi, al contempo “qualche” e impiegabile ecchimosi con “piena” approvazione dell’opinione pubblica?

La risposta è un’impressione che serpeggia nell’opinione pubblica nazionale e che va nella direzione diametralmente opposta alle “risultanze” – se tali possono essere definite – processuali che lo “Stato” ha fornito.

La risposta è: “No!

E l’impressione è che la “fantomatica” scena del crimine sopradescritta inquieti il sonno della nazione, decisa a non subire ulteriormente l’oltraggio della sua intelligenza e, cosa ancora più grave, e la maturazione della consapevolezza che lo “Stato” possa abbandonare chiunque in nome di una “verità” che se palesata possa tradursi o innescare bombe talmente deflagranti da far traballare l’impalcatura democratica e, pari tempo, l’onorata nomea di qualche protagonista, “marcio” dentro e “onorato” fuori, delle Istituzioni.

Perpetuare il male per garantire il bene, strategia della sopravvivenza o evitare la “fine del mondo” per utilizzare espressioni del “Divo” andreottiano e che cristallizzano il “vergognoso” iter giudiziario sulla morte di Attilio Manca.

La regia delle coperture! La regia degli insabbiamenti! La regia che sta dentro quello “Stato” che continua a fare figure di merda e che alla fine, come Serena, Stefano e tanti altri hanno dimostrato, continua a perdere. I livelli! Vogliamo pensare, pensiamo e siamo in tanti, che per la morte di Attilio Manca, il livelli siano alti.

Anche perché, quelli bassi, qualche figuraccia l’hanno già portata a casa.

Una vicenda che, di certo, umilia due nobili pilastri del dettato costituzionale: sovranità e popolo, oggi di fatto diventati, per i paladini del sistema, leviatani della democrazia: sovranismo e populismo.

E se da certe aule giudiziarie l’immobilismo pare abbia già fatto la sua nobile parte, che sia un pentito – oltre quelli che già si sono pronunciati sul rebus Manca – a dettagliare fatti e circostanze sulla sua morte come quel Micale che ci sta illuminando sulle pagine dei quotidiani.

Che lo “Stato” quello che fa l’interesse del popolo tolga il velo impenetrabile di protezione su quella scena del crimine in cui un ragazzo è stato dilaniato dalla paura e dal dolore.

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