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filippone gravianodi Enza Galluccio
Giuseppe Ferro è un soldato semplice che, dopo la morte di Vincenzo Milazzo (decisa da Riina perché voleva uccidere sia lo stesso Ferro sia Mariano Saracino, capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo), nell'81 diventa capo famiglia di Cosa nostra del mandamento di Mazara del Vallo (in seguito viene creato il mandamento di Alcamo) e, dal 1997, è un collaboratore di giustizia. Si era proposto inizialmente come “persona di dialogo con la mafia” e aveva svolto una serie di atti investigativi con l’ex magistrato Pietro Grasso, prima di diventare un collaboratore.
Durante l’udienza dello scorso 20 luglio (2018, ndr) al processo di Reggio Calabria, Ferro ha raccontato di aver avuto dei conflitti con Milazzo per certi suoi comportamenti. Tuttavia, fino a quel periodo, Milazzo era in buoni rapporti con Riina che “ne parlava bene”.
Il pm Giuseppe Lombardo gli ha chiesto informazioni sul ruolo di Bagarella all’interno di Cosa nostra e il teste ha risposto che era a “livelli alti” ma “quello che comandava era Riina”. Afferma, inoltre, di aver conosciuto Giuseppe Graviano fin dai tempi delle stragi del ’93, in particolare quella di Firenze.
Dalla testimonianza è anche emerso che Antonino Messana, cognato del collaboratore di giustizia, pur essendo “un uomo da poco” all’interno dell’organizzazione, nel periodo in cui Ferro era in carcere, si era reso disponibile a dare l’appoggio ai fatti di Firenze, coinvolgendo anche il figlio dello stesso Ferro che, invece, era contrario.
Un mese dopo la sua scarcerazione, avvenuta dopo quella strage, Ferro ha affermato di aver incontrato Graviano, Bagarella e Matteo Messina Denaro a Bagheria, un incontro organizzato con lo scopo di avere un appoggio per fare un altro attentato anche a Bologna. Ferro era contrario a eseguire attentati con vittime civili, perché tale modalità avrebbe “messo contro” tutta l’opinione pubblica. In quell’occasione Graviano, pur essendo presente, non aveva partecipato a tali discorsi. “Matteo aveva potere assoluto nel mandamento” […] “Bagarella voleva che facevamo scruscio”, un rumore che doveva essere “rivolto a qualcuno dello Stato o alla massoneria”. Lombardo ha chiesto se qualcuno aveva ordinato tale “scruscio” dall’estero e il teste, in contraddizione con quanto aveva dichiarato nel 2015, ha affermto che “poteva essere” ma di non esserne certo.
Nel corso della deposizione, Ferro ha negato di aver avuto rapporti personali con appartenenti alla ‘Ndrangheta pur ritenendo che, sicuramente, c’erano state delle relazioni tra le due organizzazioni, perché ne aveva sentito parlare da Vincenzo Milazzo negli anni ’90.
Anche se ha dichiarato di non ricordare fatti specifici, il testimone ha detto che, probabilmente, c’erano stati rapporti con i calabresi nel traffico di stupefacenti.
Durante l’incalzante interrogatorio di Lombardo, il collaboratore ha affermato di non essere stato a conoscenza diretta né del rinvenimento di un arsenale nelle campagne di Alcamo nell’estate del ‘93, che a suo dire non apparteneva a Cosa nostra, né dell’utilizzo della sigla “Falange armata” per rivendicare alcune stragi, ma di aver appreso quella notizia solo dai giornali.
Su richiesta specifica dell’avvocato Giuseppe Alloisio, difensore di Giuseppe Graviano, Ferro ha affermato che Francesco Messina Denaro aveva fatto parte della “Commissione” dei capi di Cosa nostra e, dopo la morte di Milazzo, il figlio Matteo Messina Denaro aveva probabilmente preso il suo posto nel ruolo come capo di Trapani. Alla domanda sul ruolo di Graviano all’interno di Cosa nostra il teste ha risposto che Giuseppe Graviano svolgeva il ruolo di capo famiglia.
L’avvocato di parte civile Antonio Ingroia ha chiesto maggiori specificazioni su quali argomenti abbiano dato il via alla conversazione tra i boss durante l’incontro di Bagheria. Ferro ha detto che Bagarella, alla presenza di Matteo (Messina Denaro, ndr) e di Gioacchino Calabrò, inizialmente gli aveva parlato del “fatto di Bologna”, mentre Graviano si trovava in un’altra stanza. In quell’occasione gli avevano chiesto se aveva la possibilità di “fare qualcosa a Bologna” (in seguito il teste ha affermato che l’appoggio su cui avrebbe potuto contare nella città di Bologna era riferito a un fratello del cognato). Ingroia ha chiesto anche se gli fossa stato specificato l’obiettivo dell’attentato per il quale chiedevano un appoggio, la risposta di Ferro è stata “sicuramente per fare gli stessi lavori che si sono fatti prima”, il riferimento è alle stragi che avevano preceduto quell’incontro in cui erano morti delle persone comuni, un tipo di azioni che il collaboratore non intendeva sostenere.
In merito alla richiesta di fare “scruscio” da parte di Bagarella, Ingroia ha domandato se con quel termine s’intendesse mettere una bomba “le morti non le voleva nessuno, questo è il discorso […] ma se non le voleva nessuno ci si mettevano due chili e non duecento chili” il riferimento è evidentemente alla quantità di esplosivo utilizzato per le stragi.
Il pm Lombardo ha chiesto, infine, chi ha ucciso Milazzo; Ferro elenca i nomi di Gioè, Brusca e Calabrò. L’omicidio sarebbe avvenuto a Salemi alla presenza dello stesso Ferro e di molti capi tra i quali anche Bagarella e Matteo Messina Denaro. Milazzo era stato convocato per essere ucciso per decisione di Riina “per tutte le porcate che aveva fatto” . Secondo il collaboratore, Milazzo era arrabbiato per la morte del fratello avvenuta durante l’omicidio dei carabinieri per mano di Brusca. Il ragazzo, che era nella macchina di Brusca, era stato ucciso da un proiettile sparato probabilmente da una delle due vittime.
A conclusione dell’interrogatorio Ornella Pastore, presidente della Corte, ha chiesto al testimone da chi era stato convocato per partecipare all’incontro di Bagheria in cui si era detto che era necessario fare “scruscio” e il teste ha risposto di essere stato avvisato da Calabrò, a sua volta informato da Nino Mangano della famiglia dei Graviano. Entrambi erano un tramite per le decisioni che venivano prese dai capi durante le riunioni.
Si rinvia alla prossima udienza che si terrà il 24 settembre.

In foto da sinistra: gli imputati Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano

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