di Consuelo Cagnati
Questa è la storia di una giornalista; è la storia di chi, oggi, per raccontare appieno e in libertà ciò che è la mafia, deve scrivere un romanzo. Altrimenti volano querele. Siamo in Germania e una giornalista d’inchiesta, Petra Reski, questo è il suo nome, viene piantata in asso dal settimanale Der Freitag per aver violato il diritto alla personalità di un imprenditore italiano citandolo nell’articolo “Ai boss piace il tedesco”.
Del resto Petra, che da oltre vent’anni da Venezia segue gli intrecci mafiosi tra il nostro Paese e la Germania, è bene informata; con coraggio nei suoi articoli denuncia, facendo nomi e cognomi. Ma in Germania le cose, a livello normativo, non funzionano come in Italia. Questo è il problema.
Dopo l’uscita del suo libro Santa Mafia, nel 2008, trascorre gli anni a difendersi nei processi: tre querele e due denunce penali senza contare il fatto che, come racconta, viene minacciata diverse volte – non solo durante una presentazione del suo libro a Erfurt, roccaforte della ‘ndrangheta in Germania con il clan di San Luca – anche durante le udienze in tribunale.
Tutti coloro che la denunciano vincono. Alcune pagine di Santa Mafia vengono annerite su richiesta dei tribunali tedeschi e lo sono ancora oggi: la Corte Europea per i diritti umani ha confermato la sentenza secondo la quale l’annerimento del suo libro e il risarcimento di diecimila euro all’”imprenditore di successo italiano” sono giustificati e non infrangono la libertà di espressione.
Ma Petra non molla: denuncia lo strano fatto che i giornalisti che scrivono di mafia in Germania perdono sempre le cause. Arriva allora un’altra querela da parte di un uomo d’affari italiano, citato per nome nell’articolo, nonostante il fatto che il suo nome sia riportato in una sentenza pubblica. Petra infatti mi dice personalmente che rispetto all’Italia, dove i giornalisti vincono le loro cause nel momento in cui dimostrano di aver lavorato basandosi su “fonti qualificate”, in Germania una volta querelati il più delle volte le perdono.
Secondo Petra questa strategia ha funzionato perfettamente: nessuna redazione e nessuna casa editrice ha più il coraggio di approfondire il business della mafia in Germania. Quello che viene pubblicato, come mi scrive Petra, “sono un po’ di cosine, messaggi di tifo per arresti di ‘ndranghetisti in Germania, sempre e solo su mandato di arresto europeo. Senza nomi e senza descrivere gli affari della mafia in Germania. Per non svegliare i tedeschi del loro sonno profondo”.
Petra decide allora di perseguire e denunciare la verità con un nuovo linguaggio: il romanzo. Prima di occuparsi di mafia ne ha scritti diversi; scrivere romanzi sulla mafia è liberatorio per lei, perché in fondo in un romanzo può descrivere bene gli abissi psicologici dei presunti “buoni”: i colletti bianchi, la zona grigia, senza i quali le mafie non potrebbero esistere e prosperare. E poi perché è estenuante passare il suo tempo a difendersi dalle querele.
Ma facciamo un passo indietro e capiamo perché tutto ciò può succedere oltre i confini italiani, in terra tedesca: la mafia continua a prosperare perché lì, come del resto in tutt’Europa, mancano strumenti adeguati al contrasto alla criminalità organizzata. Innanzitutto manca il 416-bis che punisce l’associazione mafiosa: in Germania la sola appartenenza alla mafia non è reato. Dunque se un presunto mafioso viene segnalato dalla polizia italiana come appartenente ad una cosca gli inquirenti non possono investigare su quella persona perché non ha commesso nessun reato. In Italia invece l’appartenenza ad un’organizzazione mafiosa è già di per sé un reato.
Capirete come le mafie ne approfittino per riciclare; difficilmente devono temere un sequestro. In un report riservato di cui ha parlato il Fatto Quotidiano, la polizia federale tedesca Bka rivela gli affari delle ’ndrine, ne denuncia la presenza e il controllo del territorio. Non è un caso che Vincenzo Farao, figlio di un boss di Cirò Marina, affermi che “In Germania possiamo fare tutto”.
Il coraggio della giornalista tedesca è proprio questo: accendere continuamente i riflettori e parlare di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e finanziario tedesco proprio dove c’è un vuoto normativo nel contrasto alla criminalità organizzata. Serve urgentemente una normativa a livello europeo che colmi questo vuoto. C’è ancora tanta strada da fare affinché si arrivi, finalmente, a combattere e a poter denunciare liberamente quel cancro di nome mafia. Senza dover ricorrere ad un romanzo.
Tratto da: ilfattoquotidiano.it
Foto © Shobha