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di Elisa Marincola
E’ stato accolto l’appello a non lasciare sola Federica Angeli, testimone nell’udienza odierna contro Armando Spada, esponente dell’omonimo clan del litorale romano, imputato per minacce e violenza privata nei suoi confronti. Il presidio a sostegno della cronista di Repubblica, convocato questa mattina in piazzale Clodio, davanti all’ingresso del Tribunale, ha visto una grande partecipazione, di giornalisti, rappresentanti delle associazioni che lo hanno indetto (da Odg nazionale e Fnsi, a Odg Lazio, Stampa Romana, Articolo 21, NoBavaglio, Libera e tante altre), semplici cittadini. E ancor più partecipata è stata l’udienza in aula, con un’importante novità: la presenza di tantissimi ragazzi delle scuole, di Roma e, soprattutto, di Ostia.

Una presenza non scontata, che ha rincuorato Federica mentre andava a deporre contro chi le ha reso la vita impossibile ma non è riuscito a metterla a tacere, sugli attacchi subìti in prima persona e sulle vicende della criminalità organizzata. 1.677 giorni sotto scorta per lei e la sua famiglia, compresi i bambini, per le minacce ritenute serissime dagli inquirenti, oltre quattro anni quasi agli arresti, con la costante paura per i suoi cari prima che per se stessa; lei che, oltre che raccontarle le mafie di Ostia, in quel municipio romano ci abita e deve quindi convivere con il controllo del territorio e di quasi ogni attività che quei clan, stando anche agli ultimi sviluppi investigativi, impongono. Ostia, dove un altro Spada, Roberto, ha preso a testate Daniele Piervincenzi rompendogli il naso e inseguendo lui e il film maker Edoardo Anselmi.

Anche per questo retroterra, è stato rincuorante per tutti noi vedere quelle ragazze e quei ragazzi che sono venuti proprio da Ostia per seguire l’intera udienza, con le ovvie e inevitabili lungaggini, ma decisi ad ascoltare la testimonianza di Federica, a non lasciarla sola e, magari, poi raccontare ai loro compagni il coraggio di una cronista che, se è vero che ha fatto solo il suo dovere, l’ha fatto per i tanti, troppi, che invece non lo fanno.

Ed è stato un bel segnale che con lei al presidio fosse arrivato da Napoli, insieme a Sandro Ruotolo, storico cronista, anche lui costretto a muoversi con la scorta, Francesco Piccinini, direttore di Fanpage, finito indagato (un assurdo) insieme agli stessi oggetto della sua inchiesta sulla gestione dei rifiuti in Campania. Un’inchiesta che ha fruttato un vero e proprio assalto a suon di ceffoni alla cronista di Fanpage Gaia Bozza durante una manifestazione elettorale del PD.

Da questa sequenza restano fuori tanti episodi di violenze, intimidazioni, querele più che temerarie, che questa legislatura non ha voluto frenare. Dalle mafie e non solo. Una serie troppo lunga che sta documentando il comitato di controllo sugli attacchi contro i cronisti, costituito presso il ministero dell’interno, in stretto contatto con le organizzazioni della categoria, Fnsi e Odg in testa.

Non possiamo parlare più di emergenza: si tratta di un altro pezzo della deriva autoritaria del sentire comune, la stessa che sfocia nel razzismo strisciante e nella marea montante del neofascismo. Una realtà che la campagna elettorale non attenua, anzi: il cronista e la testata che fanno inchiesta si apprezzano quando svelano le magagne dell’avversario, sono ignobili quando raccontano le proprie. Pochi si sottraggono a questa equazione. E purtroppo, ancora oggi, fa fatica a imporsi anche nella stessa categoria dei cronisti, la consapevolezza del pericolo comune rappresentato da questa deviazione della nostra vita democratica. Il collega sotto attacco è prima un concorrente che un compagno di percorso. Dovremmo ogni giorno ripeterci quanto scriveva uno dei creatori del giornalismo investigativo, Albert Londres: “il nostro ruolo non è quello di essere pro o contro; ma è di girare la penna nella piaga.”

Tratto da: articolo21.org

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