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lumia giuseppe c ansadi Giuseppe Lumia
Mercoledì scorso in Commissione antimafia sono intervenuto durante la discussione sulla importante relazione finale di questa legislatura. Confesso che ero molto emozionato. Sono state ore che mi hanno consentito di far scorrere nella mente il lungo, travagliato, straordinario, pericolosissimo cammino che ha caratterizzato la mia esperienza di componente di questo delicato organismo parlamentare, con diversi ruoli dal 1996 ad oggi, anche da presidente.
Come non ricordare che ero proprio in missione in Calabria con la Commissione antimafia, quando all’alba fui raggiunto da una telefonata che mi informava della condanna a morte che Cosa nostra aveva sancito nei miei confronti e dei pericoli ai quali, da quel momento, andavo incontro per il resto della mia vita, anche quando si sarebbe conclusa la mia esperienza parlamentare.
Come non ricordare le tante battaglie, gli scontri cruenti per promuovere e non far retrocedere la legislazione antimafia da doppio binario, inventata da Giovanni Falcone: 416 bis, 416 ter, 41 bis, antiriciclaggio, antiracket, la promozione della trasparenza negli appalti e il sostegno alle norme sull’interdittiva antimafia esercitata dei prefetti. Per ultimo la legge dei testimoni di giustizia e del codice antimafia che rimane una pietra miliare di tutta la legislazione antimafia.
Come non ricordare l’esperienza tragica, che mi ha toccato direttamente, dell’uccisione di Mico Geraci o degli scontri vissuti a Barcellona Pozzo di Gotto quando in pochi si aveva il coraggio di fare memoria di Beppe Alfano, o quando si provava a fare luce sull’uccisione di Graziella Campagna o sul delitto di mafia di Attilio Manca. Stesso sentimento ho provato nel ricordare le tante vittime di mafia che ho incrociato. Ho provato a fare luce sulla storia di tante di loro, che hanno dato la loro vita spesso cadendo nel dimenticatoio o peggio senza che abbiano ricevuto un minimo di giustizia. Come è ancora vivo in me il recente ricordo delle giornate tragiche e difficili nello stare accanto a Giuseppe Antoci dopo che è stato raggiunto da colpi di lupara e i comizi fatti proprio a Cesarò e a Tortorici dichiarando ai boss “è guerra e guerra sia”. Così anche le giornate intere passate in giro per la Sicilia (da Corleone a Castelvetrano, da Vittoria ai Nebrodi e nelle diverse città del catanese), in Calabria, in Campania, in Puglia, nel Centro-Nord, nel mondo, e contrastare il “negazionismo” e il “minimalismo” della presenza delle varie mafie, esponendomi anche attraverso l’indicazione precisa dei nomi dei boss e delle loro attività.
Nella sede della Commissione antimafia, a Palazzo San Macuto, ho imparato tante lezioni di vita, di tanti servitori dello Stato che hanno dato tutto, senza per questo ricevere premi o onorificenze. Ho imparato a conoscere le mafie, le loro abilità, il loro sistema di collusione, ma anche i diversi punti di debolezza delle organizzazioni e le strategie necessarie per colpirle e distruggerle. Ho anche compreso con amarezza e senza mai rassegnarmi che questo obiettivo non è ancora alla portata di un Paese e di una Comunità internazionale che con le mafie non hanno ancora saputo e voluto fare i conti sino in fondo.
Ai nuovi parlamentari, che via via si avvicendavano in Commissione e che mi chiedevano notizie e consigli, all’inizio trasferivo loro tutto ciò che avevo in mente e sentivo dentro, ma alla fine consigliavo anche di prestare molta attenzione e prepararsi: una volta che si conosce la potenza delle mafie è difficile tornare indietro e il più delle volte si compromette il proprio ruolo in politica. Altro che carriera, si rischia inoltre la propria vita e soprattutto si va incontro facilmente alla cosa peggiore che possa capitare con il “mascariamento”, che è quell’arte antica e sempre attuale che opera quando non si può eliminare fisicamente una persona.
Lascio, naturalmente, in Commissione antimafia anche una parte del mio cuore, una dedizione di anni ed anni, di ore ed ore, di confronti, studi, inchieste che ricordo sempre attraverso lo sguardo della mamma di Peppino Impastato, Felicia, seduta all’ingresso di casa sua a Cinisi, quando nel 2001, da presidente della Commissione, mi chinai per consegnarle i risultati dell’inchiesta su suo figlio. In quella inedita relazione il Parlamento individuava in modo inequivocabile le responsabilità dell’uccisione di Peppino Impastato da parte della mafia di Badalamenti e soprattutto faceva emergere l’azione di vergognoso depistaggio consumata da una parte delle istituzioni. Quel giorno gli occhi di Felicia erano vivi ed accesi, con una carezza mi ringraziò dicendo: “Avete fatto rinascere mio figlio”.
La mia esperienza antimafia comunque non si concluderà qui, andrà avanti come sempre, con una spasmodica attenzione alla sistematicità e alla progettualità. Nell’intervento finale in Commissione (clicca qui) sono racchiusi in modo sintetico una valutazione sul cammino fatto nel corso di questo lungo ciclo e i presupposti necessari per aprirne un altro più efficace e dirompente, qualora si decidesse di fare dell’antimafia una priorità su cui chiamare a raccolta tutta la politica e tutta la migliore società italiana.

Tratto da: giuseppelumia.it

Foto © Ansa

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