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musacchio vincenzodi Vincenzo Musacchio
In una Nazione dove lo Stato è stato spesso assente nella lotta alle mafie, l’attuale decadimento della giustizia sta rafforzando enormemente il crimine organizzato. Questa deriva purtroppo si registra da ormai troppo tempo. Da studioso ed esperto di strategie di lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, sono preoccupato per la crisi in cui versa il “sistema giustizia”. Quando per esigere un credito o per ottenere un rilascio d’immobile bisogna aspettare tempi lunghissimi, finisce che per ottenere soddisfacimento si ricorra alla criminalità organizzata che in brevissimo tempo risolve il problema infliggendo in tal modo un colpo mortale all’affidabilità dello Stato. Non funziona quasi più nulla nelle aule di giustizia, la crisi attanaglia la giustizia penale, civile, amministrativa e addirittura contabile. Se solo funzionassero di più e meglio queste giurisdizioni - ordinaria, amministrativa e contabile - non ho dubbio alcuno, si garantirebbero la credibilità delle istituzioni e la fiducia delle persone nella giustizia. Tutti i cittadini alla fine hanno una controversia da risolvere, il problema è che in questo momento la loro speranza di giustizia è lunga e spesso disattesa. Il ruolo della vittima passa sempre più frequentemente in secondo piano rispetto ai diritti dell’imputato o del convenuto. Occorre, perciò, rimettere il cittadino e i suoi diritti al centro dell’ordinamento giuridico altrimenti si va automaticamente ad alimentare quella cultura mafiosa vincente già radicata nel nostro Paese. Faccio riferimento a un esempio molto attuale. Se un testimone di giustizia, che rischia la vita e mette in pericolo quella dei suoi familiari, è abbandonato dallo Stato, come si può pretendere che ve ne siano altri che possano credere nelle istituzioni? Diceva spesso il generale Dalla Chiesa che la mafia altro non è che il far ottenere come privilegio quel che invece spetta di diritto! Laddove lo Stato sociale è assente, la “mafia assistenziale” produce lavoro, stanzia risorse e acquisisce consenso. Lo Stato non solo non reagisce a queste circostanze ma sta abbassando la guardia. In una Nazione come la nostra - dove le mafie esistono dalle origini dello Stato italiano - nelle scuole non si studia il fenomeno mafioso. Ho proposto più volte un modulo di legislazione antimafia al Rettore della mia Università (Università degli studi del Molise) e la mia richiesta non è stata neanche degna di una risposta. Tutto questo fa in modo che non si coltivino le competenze e non si formino le professionalità sia sulla mafia sia sull’antimafia. Mi chiedo cosa fanno i rettori delle università del meridione per contrastare le mafie? Uomini come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano la capacità di comprendere, di conoscere il codice di quel tipo di criminalità e sapevano come colpirla. Oggi queste doti sembrano improvvisamente scomparse. Perché? Se mi fermassi solo a questi aspetti, dovrei imputare la colpa unicamente allo Stato, invece così non è, poiché quando lo Stato è assente, quando lo Stato si volta dall’altra parte, la società civile - cioè noi tutti - deve quantomeno provare a sostituirsi a esso facendo fronte comune tra i cittadini e ricercando i principi di verità e giustizia. Gli italiani disgraziatamente oggi sono anestetizzati e l'Italia è in profonda crisi preda delle mafie di ogni specie. Non c’è sanzione per chi sbaglia e non c’è premio per chi merita. Il vero problema della lotta al crimine organizzato forse è proprio questo!

In foto: Vincenzo Musacchio, direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise

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