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racket red effChiacchierata con Andrea Vecchio e Stefano Fiore
di Riccardo Spadaro
In una giornata cocente d’estate in Sicilia, di Cosa nostra e di Mafia non sembra più esserci l’ombra o per lo meno non se ne parla più come una volta. Essa sembra aver indossato un manto invisibile che la rende inosservabile da sguardi indiscreti e volti a indagarne la sua vera natura.
Cosa Nostra si è trasformata, non è più la mafia omicida e stragista degli anni 90’, bensì, reduce degli affari compiuti e delle stragi, ha assunto una nuova maschera su un volto trasfigurato in seguito all’epoca dei grandi arresti susseguenti il periodo stragista. Oggi preferisce indossare la camicia e la cravatta e aver come colleghi di lavoro imprenditori, politici e membri dell’alta finanza.
Si muove agendo su circuiti diversificati al fine di ostacolare l’intercettazione da parte delle forze dell’ordine ma anche da chi in Sicilia ancora ha la dignità di volergli dare la caccia e rendere la Sicilia un’Isola di Pasqua.
A sfidare l’omertà e il lassismo radicato in Sicilia non sono ancora in tanti ma si sta certamente risvegliando quel sentimento di rivalsa della società civile siciliana. A conferma di ciò due voci si sono alzate in modo altisonante contro il dispotismo dei mafiosi: Andrea Vecchio, imprenditore catanese e attuale deputato alla Camera e Salvatore Fiore, imprenditore edile di Belpasso.
I due condividono delle storie fin troppo similari sia per quanto riguarda le modalità con cui la mafia li ha relegati nella sua morsa sia per quanto riguarda il lieto fine.
La volontà di intervistare i due imprenditori nasce dunque dalla necessità di dar adito a due voci che riescano a smentire che in Sicilia tutto debba continuare ad andare alla stessa maniera e che la storia di questa terra sia indissolubilmente legata alla storia della mafia.
Andrea Vecchio, accettando il mio invito si rende subito disponibile a ricevermi nella sua azienda per una chiacchierata. Si dimostra fin da subito gentile nell’accogliermi e dalle sue spalle robuste già traspare la personalità di una persona che ne ha viste parecchie nella sua vita. Dalle prime battute dell’intervista traspare già quella trasformazione della Mafia, o per lo meno, egli esordisce affermando: “In Italia la burocrazia è più dannosa e peggiore della mafia perché il mafioso rischia la vita mentre il burocrate si limita ad apporre un timbro e una firma”.
Alla domanda il perché ha deciso di ricorrere alla denuncia traspare il suo amore per questa terra tanto bella quanto dannata affermando il ruolo che per lui hanno le proprie radici passate: “Per ogni uomo, le radici sono la cosa più importante, se io mi fermo un attimo a riflettere e torno alla mia infanzia, ricordo solo una casa, quella nella quale ho mosso i primi passi, e nella quale mi sono sbucciato un ginocchio; una casa di paese poco lontano da qui dove io ho aperto gli occhi! Quelle sono le tue radici! L’albero d’arancio che c’era nell’aiuola, il secchio per tirare l’acqua dalla cisterna, e quelle radici non ti abbandoneranno mai, e ci saranno anche per voi! Un palazzo, un edificio, una strada che tieni fisso nella mente come riferimento della tua venuta al mondo. E queste radici non ti abbandonano; io per esempio, ho posto la sede dell’impresa nel mio paese d’origine, ma contatti non ne ho quasi con nessuno, perché molti miei coetanei sono andati via prima, hanno raggiunto la loro postazione definitiva, ‘IO RESISTO ANCORA UN PO’!’”
Le sue parole risuonano quindi come una denuncia e una lotta contro il dispotismo dei mafiosi pur di salvaguardare la sua impresa e l’attaccamento alle sue radici, convinto che la mafia abbia assunto sempre di più una ramificazione tentacolare in grado di ingabbiare tutto il sistema burocratico che ha come conseguenza disastrofica la paralisi di tutta la Nazione.
Con Salvatore Fiore invece, chiacchiero di fronte ad un caffè, seduto in un bar di Catania e nell’accendersi una sigaretta, comincia  fin da subito a raccontarmi alcuni trascorsi della sua vita e quanto la mafia abbia agito su una trasformazione radicale della sua stessa vita.
Da uomo libero quale egli si definisce dopo la liberazione dagli usurai, risponde alla mia prima domanda se si sentiva lasciato da solo durante le vicende subite dai mafiosi in questo modo: “Ma guarda, io ho fatto denuncia nel 2009, dopo circa 20 anni di usura e estorsione, io non mi sento una persona abbandonata dalle forze dell’ordine o dalla procura di Catania; posso essere abbandonato dalle persone comuni, io abito in un paese alle pendici dell’Etna, passo e vedo tutti i miei amici, sembra che vedano un fantasma e si allontanano… possibilmente hanno anche paura. Paura che oggi non ci dovrebbe essere più, perché dal ’90 ad oggi, la situazione a livello di mafia è cambiata parecchio; la mafia che uccideva negli anni ’90 oggi si è organizzata in modo diverso! Sono sempre persone che non hanno una dignità loro, scrupolo di coscienza, e che tolgono la dignità, il lavoro e si arricchiscono alle spalle di chi lavora onestamente. La mafia ora vedete, non uccide più personalmente ma uccide creando danni alle aziende, io non vendo tutti gli appartamenti e me la cavo, ma purtroppo chi magari ha un negozio è costretto a chiudere perché nessuno entra a comprare più le cose”.
L’Onorevole Andrea Vecchio e l’imprenditore Salvatore Fiore sono state vittime rispettivamente di atti estorsivi e di usura ovvero atti tradizionali con il quale la mafia racimola illegalmente soldi per poi reinvestirli su altri circuiti. Entrambi le vicende iniziano negli anni 90’ e si protraggono per più di quindici anni dove su altalenanti vicende riguardanti atti incendiari ai camion dell’azienda dell’imprenditore Vecchio corrispondono altrettanti atti intimidatori e minacce agli operai dell’imprenditore Fiore.
Le due vicende si incardinano all’interno di un contesto territoriale che li avvinghia insieme al terrore di non poter tornare a casa vivi. Si sentono entrambi senza respiro e senza via d’uscita a tal punto da non riuscire più a vivere serenamente, perdendo i contatti anche con i vecchi amici. In Sicilia infatti, la frase per eccellenza sembra risuonare in questa maniera: “Nenti sacciu e nenti vitti” attraverso la quale i rapporti amicali diventano sparuti pur di non interloquire con le forze dell’ordine e mettersi nei “guai”.
Malgrado la progressiva perdita della propria libertà, i due però riescono alla fine a denunciare le attività subite portando all’arresto membri di diversi clan collegati a quello di Santapaola nel catanese e dimostrando che al di là di tutto c’è ancora chi resiste e crede nella resilienza sociale del popolo siciliano e in una voglia di riscatto per la propria meravigliosa Isola di Pasqua.
Consapevoli del fatto che due voci insinuano un dubbio, tre voci possono diventare certezze.

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