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graviano giuseppe 500di Enza Galluccio
Le intercettazioni a carico del boss Giuseppe Graviano, tenute nel silenzio con immensa cura da quasi ogni organo d’informazione, offrono un’inaspettata occasione per riaprire certi discorsi (e magari qualche nuova iscrizione nel registro degli indagati) sulle relazioni tra Berlusconi, Dell’Utri, quindi, Forza Italia e la mafia.
Che cosa dice in sostanza Graviano in merito ai fatti? Il boss parla di un Berlusconi che avrebbe tradito un accordo. Nello specifico lo indica come il mandante delle stragi compiute da Cosa nostra; è presumibile che si riferisca sia a quelle del ’92 che, soprattutto, a quelle del ’93.
Come ho già scritto in più occasioni, Berlusconi era pronto a occuparsi attivamente di politica diversi mesi prima dell’inizio del periodo stragista del ‘92. Il suo braccio destro Marcello Dell’Utri aveva, a tal proposito, un gran bel sogno nel cassetto, che era certamente condiviso e sostenuto dall’imprenditore milanese.
Quel sogno aveva un nome: “Forza Italia”, un vero e proprio partito politico da presentare alle prime elezioni possibili, per mettere le mani in molte cose, dalle leggi - tutela degli affari di Fininvest a quelle in tema di giustizia e di detenzione carceraria.
Dopo il maxiprocesso, infatti, Cosa nostra aveva reagito “malamente”; non aveva gradito né le condanne né il successivo inasprimento delle pene per i mafiosi, che si erano concretizzate con l’inserimento del 41-bis, il cosiddetto “carcere duro”.
Inoltre, c’erano anche altre preoccupazioni che tormentavano l’anima dei boss di ogni luogo. Dopo Andreotti e Craxi, cominciavano a mancare dei riferimenti politici che, essendo al governo, fossero in grado di proseguire la lunga storia di accordi tra mafia e potere. Ed ecco spuntare il sogno di Dell’Utri e Berlusconi (nonché di gran parte della cupola mafiosa), un vero asso nella manica per questi due personaggi.
Ma succede qualcosa che inizia a creare dei problemi per la realizzazione di quel grande sogno comune.
Il 19 maggio 1992, Paolo Borsellino concede un’intervista “speciale” nello studio di casa sua in via Cilea a Palermo. A due giornalisti francesi, Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, il magistrato parla dei legami esistenti tra la mafia e l’ambiente industriale del nord. Parla anche dei rapporti tra Dell’Utri, il boss Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi e, per Borsellino, la fine si avvicina sempre di più.
Quindi, non solo il controllo della politica e del potere, la corruzione libera, una giustizia e delle pene più blande, la possibilità di arricchirsi attraverso il crimine e il riciclaggio, sarebbero alla base degli accordi di quella che noi definiremmo come “seconda trattativa” tra lo Stato e la mafia. Secondo quanto dichiarato dal boss del Brancaccio, tra i patti ci sarebbe stata anche la decisione di eliminare alcuni “ostacoli” umani.
Tutto questo non è certo argomento nuovo per chi si occupa di questi temi, ma la vera sconvolgente novità è che, finalmente, in modo inconsapevole o meno, Graviano apre le porte all’avvio di un probabile (ennesimo) procedimento penale proprio nei confronti di chi sembra essere, nuovamente, l’alleato di una classe politica allo sfacelo, terrorizzata dalle possibili imminenti Elezioni politiche.
Certo è difficile immaginare che Giuseppe Graviano confermi, davanti ai giudici, le proprie dichiarazioni intercettate. Tuttavia, si potrebbe aprire, ancora una volta, la questione dell’opportunità politica di allearsi con “certi” personaggi.
Nel frattempo, per scongiurare ogni rischio, tutti i media sono pronti a sostenere, come sempre, l’intero drammatico “sistema” attraverso il silenzio o, quando tacere non è possibile, minimizzando tutto.

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