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puglisi pino eff yrdi Lorenzo Frigerio
Un sorriso vero, disarmante e poche parole pronunciate - “Me l’aspettavo” - e in un frazione di secondo la vita di Padre Pino Puglisi giungeva al capolinea su questa terra, sotto i colpi d’arma da fuoco del killer Salvatore Grigoli.
Era il 15 settembre del 1993, il giorno del suo cinquanteseiesimo compleanno, quando il parrocco di Brancaccio venne ucciso dal commando di killer mandato dai fratelli Graviano, boss indiscussi del quartiere dove il sacerdote si era speso senza sosta, soprattutto in favore dei più giovani.
Puglisi era stato capace di aggregare attorno alla sua persona molti ragazzi non solo con la proposta evangelica della sequela di Cristo, ma anche e soprattutto con l’ascolto paziente delle loro storie e la proposta di un’alternativa credibile alla manovalanza del crimine: studio, gioco e divertimento erano tornati ad essere a portata di mano di quei giovani, abbandonati a loro stessi e facile preda del richiamo mafioso in un contesto degradato quale era Brancaccio che, ancora oggi, purtroppo, sembra mostrare resistenza agli sforzi di riqualificazione urbana e civile.
Un omicidio dalla duplice causale: togliere di mezzo un soggetto divenuto pietra d’inciampo estremamente pericolosa, capace di inceppare l’ingranaggio consolidato della gestione criminale in quella porzione del territorio cittadino, ma anche dare una risposta sanguinaria al grido di condanna contro la mafia lanciato da Giovanni Paolo II appena qualche mese prima, al termine della celebrazione eucaristica nella Valle dei Templi.
Parole dette a braccio quelle del pontefice polacco, dettate dall’indignazione e fuori da ogni liturgia: «Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!».
E, ancora, la condanna senz’appello che provocò la reazione violenta degli uomini di Cosa Nostra: «Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!».
Parole chiare, pronunciate con forza e che toglievano perciò ogni alibi alla convivenza tra mafia e Chiesa e allo sfruttamento costante e continua della fede religiosa da parte degli uomini d’onore. Fino a quel momento era stato possibile per la mafia servirsi impunemente dell’educazione e della pratica cattolica per legittimare atti, parole e omissioni. Da quel momento non sarebbe più stato ammissibile e consentito a livello teologico, nonostante i ripetuti tentativi sul piano pratico ad oggi ancora in essere.
Dopo Wojtila, prima Benedetto XVI, con fugaci accenni e, ancor più oggi Francesco, con rinnovata energia e autentica convinzione, hanno spazzato via ogni possibile residuo di legittimazione alla possibilità di conciliare la vita cristiana con la militanza nelle organizzazioni mafiose.
Padre Puglisi, proclamato Beato dalla Chiesa il 25 maggio 2013, è stato capace di anticipare la linea di condotta del perfetto uomo di Dio, ha pagato con la vita la testimonianza del Vangelo in terra di mafia. Uomo del suo tempo ha giocato fino in fondo la sua dimensione umana e quella spirituale, divenendo un punto di riferimento credibile agli occhi dei suoi parrocchiani.
Nella sua azione pastorale, le opere della fede sono prima di tutto gesti concreti, quotidiani, a partire dalla battaglia per dotare il suo quartiere di un livello minimo di servizi per i cittadini, a partire dalla scuola. Sono i fatti che parlano più di tante parole.
Del resto Padre 3P si era espresso in modo chiaro sulla necessità di battersi contro le mafie a viso aperto, testimoniando nei fatti la contrarietà del messaggio vangelico alla filosofica criminale: «E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti».
Chissà cosa avrebbe detto Puglisi di Bergoglio, di questo Papa arrivato da un altro mondo che oggi sta mettendo in discussione l’intero mondo?
Si sarebbe sicuramente trovato in sintonia con un pontefice che vuole una Chiesa umile, piegata in ginocchio per soccorrere i poveri, anziché prostrata davanti ai potenti.
Una Chiesa quella di oggi che sembra vivere una fase di profondo travaglio, sotto gli stimoli lanciati da Francesco che richiama la necessità di tornare alle origini del messaggio evangelico, per recuperare il senso più vero della vita cristiana.
Da un lato abbiamo parrocchie, congregazioni, associazioni e fedeli che vivono con fastidio questo forte richiamo, perché li obbliga ad uscire dai propri recinti, dalle proprie liturgie che, spesso, si sono fatti riti stanchi e sterili, per andare incontro al prossimo.
Dall’altro abbiamo parrocchie, congregazioni, associazioni e fedeli che continuano incessantemente  a coniugare Vangelo e vita e quindi accolgono con sollievo e riconoscenza le parole del Papa, perché legittima le loro azioni in favore di migranti, poveri, minori, carcerati, famiglie in difficoltà.
Da un lato abbiamo una chiesa impegnata in feste patronali e lotterie per il restauro di arredi e icone, oppure che appalta le processioni locali agli uomini d’onore e costringe i simulacri di santi e madonne ad inginocchiarsi davanti alla casa del boss.
Dall’altro abbiamo una Chiesa che non smette di destinare risorse ai bisogni e alle emergenze di uomini e donne afflitti da problemi di sussistenza e di vita, che accoglie la diversità e si spende per l’accoglienza del disagio nelle sue diverse forme.
Non abbiamo dubbi sul fatto che Puglisi, se fosse vivo oggi, sarebbe schierato da quest’ultima parte della Chiesa, insieme a Francesco.
Non abbiamo dubbi sul fatto che Puglisi, se fosse vivo oggi, si sarebbe trovato in compagnia di quelle donne e uomini di Chiesa che ogni giorno abitano le “periferie esistenziali” ma anche quelle fisiche, urbane per soccorrere le fragilità dell’essere umano.
Sacerdoti, religiose, religiosi che si sono dati appuntamento presso il Monastero San Magno di Fondi per ragionare e pregare insieme e hanno stilato un documento che, nella scia dell’insegnamento di Papa Francesco, ribadisce la necessità di una Chiesa che stia dalla parte degli ultimi e non dei potenti.
Tra gli impegni principali che i sottoscrittori si assumono vi sono quelli di “non tacere dinanzi alle ingiustizie e ad ogni tipo di illegalità”; “contrastare ogni forma di corruzione perché cancro della civiltà e della democrazia”; “vivere ogni manifestazione di pietà popolare nella logica della semplicità e della radicalità evangelica affinché non si trasformino in esaltazione di personaggi potenti e boss mafiosi, e in mortificazione di poveri ed ultimi”.
Non è un documento velleitario, ma piuttosto un “testo di responsabilità e impegno” che rappresenta la volontà di uno scatto in avanti da parte di chi, fino ad ora, si è battuto contro sopraffazioni, ingiustizie e violenze in nome del Vangelo, spesso in contrapposizione alle gerarchie vaticane e oggi vuole supportare lo sforzo di cambiamento nella Chiesa avviato da Francesco.
Ricordare oggi il Beato Puglisi significa anche dare atto del cambiamento che nella Chiesa è in corso, un cambiamento reso possibile anche dal sangue del suo martirio.

Tratto da: liberainformazione.org

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