di Giovanni Tizian
Le immagini esclusive di Michele Zagaria che dal carcere di Opera inveisce contro il giornalista Sandro Ruotolo: 'Lo possano squartare vivo'. Da qui l'Espresso è partito per raccontare quanto ancora contano le parole del boss. La videoinchiesta
C'è solo il vetro blindato a separarlo dai familiari. Nella saletta dei colloqui del carcere di massima sicurezza, sezione 41 bis, loro ascoltano con attenzione. Poi rispondono e commentano. Ogni gesto del capo famiglia è da studiare con attenzione. Con un cenno, un tic, un movimento delle mani, anche il più impercettibile, decide cosa è necessario fare fuori da lì. Sul suo territorio. A Casapesenna. E anche altrove.
Il disprezzo per i nemici del clan è evidente in ogni fotogramma. I primi cinque anni di carcere duro non hanno indebolito Michele Zagaria. Anzi, in queste immagine inedite che “l'Espresso” è in grado di pubblicare, il padrino mostra tutta la sua arroganza nonostante i quattro ergastoli. Inveisce contro i nemici giurati. In questo caso un giornalista.
È ancora lui, insomma, a dettare la linea. Con l'impero che perde pezzi importanti e pregiati. E la valanga di arresti, sequestri e processi che hanno decimato il gruppo. Dietro l'apparente tranquillità, in realtà, il boss è tormentato da una profonda inquietudine. E reagisce con la prepotenza del capo tutte le volte che si sente spogliato del suo scudo di invicibilità. Così se un'inchiesta giornalistica lo colpisce nel cuore delle sue relazioni indicibili con i servizi segreti deviati, la soluzione è che il giornalista venga «squartato vivo».
Il riferimento è all'inviato Sandro Ruotolo che nella puntata “Inferno Atomico”, sulla terra dei fuochi, di qualche anno fa accostava il nome di Zagaria agli spioni infedeli di Stato. La questione che ha fatto infuriare il padrino è il passaggio sulla trattativa che sarebbe avvenuta per la gestione dell'emergenza rifiuti. Il tema è finito al centro di alcune informative e anche in alcuni dettagliati articoli di Rosaria Capacchione, cronista del Mattino e ora parlamentare del Pd.
Le minacce a Ruotolo sono state intercettate più di un anno fa. Pronunciate durante l'incontro con alcuni dei parenti più stretti, hanno fatto scattare d'urgenza un dispositivo di protezione per il giornalista. Che da allora vive sotto scorta. I brogliacci sono finiti in un'informativa inviata dal Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria alla procura antimafia di Napoli.
Nella stessa relazione ci sono anche le parole riservate al magistrato Catello Maresca. Il pm che ha coordinato la cattura di Zagaria ed è titolare di altre delicate indagini sull'impero del boss. «La prossima volta che vado in videoconferenza e c’è il magistrato Maresca gli dico che mi ha rotto le palle visto che si è accanito su di me... Mi devo ammazzare oppure lo devo fare uccidere fuori. Brigadiere, fuori ancora qualcosa posso fare». Qualcosa fuori può ancora fare, dice di se stesso. E proprio per questo fa ancora paura.
Michele Zagaria, dunque, è sempre il “Capastorta” che ha governato la federazione dei clan del Casertano. Certo, la famiglia è stata colpita duramente. La sorella Elvira, per esempio, è stata da poco condannata in primo grado. E il fratello, Pasquale, che sarebbe dovuto uscire a breve, in realtà non tornerà a casa prima del 2020. Ma c'è don Michele. Che anche dal carcere comanda. «Continua a esercitare una sua influenza sul territorio» conferma una fonte investigativa.
Era il 2011 quando i poliziotti fecero irruzione nel bunker tecnologico della villa di via Mascagni a Casapesenna. La stradina che porta al portone in ferro della casa è stretta e insidiosa. Ai lati, da alcune delle case sul lato destro, spuntano piccole telecamere di sorveglianza. La via dista dalla piazza principale del paese meno di un chilometro. In questo centro con poco meno di 7 mila abitanti, passato, presente e futuro sono marchiati da un cognome. Da una dinastia criminale, Zagaria appunto. Anche adesso da recluso in isolamento al 41 bis, la sua figura pesa come un macigno da queste parti. Fantasma che comandava nei sedici anni da latitante, fantasma che comanda da carcerato in massima sicurezza.
Per capire fino a che punto Zagaria continua a decidere il destino di un territorio, siamo tornati nel feudo dove è cresciuto “professionalmente” il boss. Che negli anni è si specializzato in impresa e finanza. Per investigatori e inquirenti, infatti, è sempre stato la mente imprenditoriale di Gomorra.
IL COMUNE SCIOLTO
Per raggiungere Casapesenna bisogna lasciarsi alle spalle l'autostrada A1 e imboccare la statale Nola-Villa Literno. Una superstrada che taglia in due le province di Napoli e Caserta. E finita in montagne di verbali dei pentiti: c'è chi ha dichiarato che i piloni di cemento su cui si regge la strada sono stati utilizzati per interrare rifiuti tossici; chi ha suggerito ai pm di scavare lungo le campagne che costeggiano l'arteria.
Già da qui, ancor prima di raggiungere Casapesenna, lo spettro del Clan di Zagaria irrompe in una meravigliosa giornata di sole. Ma più in generale si avverte la cappa del clan dei Casalesi. Dei quattro generali al vertice sono rimasti in tre: Zagaria, Schiavone e Bidognetti. Antonio Iovine, “o Ninno”, invece, ha scelto di pentirsi qualche anno fa. Non ha retto il 41 bis.
Vale la pena ricordare uno dei verbali recenti di Iovine. Quello in cui ha ha raccontato dell'esercito di sindaci in odore di camorra. Un vero gruppo di sostegno politico e amministrativo alla criminalità casalese (le recenti indagini vanno proprio in questo senso cercando di recidere i rapporti con enti locali e municipi). Del padrino di Casapesenna, per esempio, Iovine dice: «Michele Zagaria aveva un rapporto strettissimo con l'ex sindaco Fortunato Zagaria; era il suo garante, nel senso che chi voleva parlare con il sindaco doveva passare per il boss».
La politica ha sempre attratto il boss. Senza amici negli Enti pubblici non sarebbe stato possibile ottenere la valanga di appalti e subappalti. Nell'edilizia, come nella sanità. Il consiglio comunale di Casapesenna è stato sciolto per tre volte: 1991, 1996, 2012. Quattro anni fa il primo cittadino si chiamava Fortunato Zagaria, che Iovine ha descritto come molto intimo dello Zagaria capo bastone. L'amministrazione verrà sciolta per camorra. E lui è finito sotto processo per violenza privata, aggravata dall'aver favorito il clan, ai danni di Giovanni Zara, un avvocato che oggi difende le vittime del racket.
Zara è l'esempio di come si è mossa a livello politico la camorra negli ultimi anni. La sua candidatura inizialmente andava bene a tutti, buoni e cattivi. Il clan era convinto di poterlo manipolare. Così è stato eletto. Ma poi è stato fatto fuori portandolo alle dimissioni per le sue posizioni antimafia. Perché Zara non era per niente manovrabile. Un errore di valutazione costato molto caro ai complici della cosca.
Durante il dibattimento in cui Zara è parte offesa per l'ex sindaco Zagaria si è aggiunta anche l'imputazione per concorso esterno. In pratica, sostiene l'accusa, per più di dieci anni avrebbe favorito il gruppo del suo omonimo attraverso anche l'istallazione del sistema di citofoni che partiva da via Mascagni. Già, perché la rete di comunicazione dell'allora superlatitante era costituita da una rete parallela proprio di citofoni che permetteva di dialogare da casa a casa. A prova di intercettazione. Un marchingegno che sembra partorito da spie esperte. Eppure come dicono i pentiti, quella rete è stata realizzata con la complicità dell'amministrazione.
IL NUOVO SINDACO
Il rinnovamento di Casapesenna sarebbe dovuto passare dal Pd, che esprime il nuovo sindaco del paese: Marcello De Rosa. Di mestiere fa l'imprenditore. E tempo fa ha denunciato un estorsione. Per questo motivo vive sotto scorta. Tuttavia anche lui ha già una grana giudiziaria. Che potrebbe bloccare ciò che De Rosa definisce «una nuova stagione».
Purtroppo, però, in questa vicenda passato e presente si fondono. L'indagine che lo riguarda, infatti, è un filone legato all'ex sindaco. Una sorta di continuità tra la vecchia e la nuova giunta. Il primo cittadino è indagato per concorso esterno così come il predecessore. Al processo contro Fortunato Zagaria sono state depositate alcune intercettazioni, tra queste quelle con De Rosa. In una di queste i due parlano delle imminenti elezioni. E Zagaria, il Fortunato, lo incita ad andare avanti, a spendere più soldi per la campagna, «tanto ci sono i finanziatori». Chi sono questi finanziatori? I pm cercheranno di capirlo. Così come stanno valutando una serie di denunce e di esposti che riguardano alcuni incarichi concessi a professionisti della zona.
«Ad oggi non sono stato informato di niente» si difende con “l'Espresso” il sindaco che sul suo predecessore aggiunge: «Ho sempre avuto un rapporto cordiale con una persona che abitava a 20 metri da casa mia». Perciò De Rosa, che si definisce renziano, riduce le relazioni e i contatti con l'ex primo cittadino sotto processo a una questione di cordialità. Eppure dalla carte in mano agli inquirenti il quadro appare molto diverso.
A partire dai membri della squadra di De Rosa che rappresenterebbero la continutà rispetto al passato. Non è un segreto, d'altronde, che il fratello del renziano di Casapesenna era vice nella vecchia giunta. «Dalle conversazioni si evince che il neo sindaco, per lo svolgimento del suo incarico istituzionale, chiedeva consigli a Fortunato Zagaria. In particolare De Rosa Contattava Zagaria per chiedergli consigli sull'attuazione delle attività assistenziali e riscreative a favore degli anziani». Insomma, non proprio un sintomo di rottura con il passato.
Non proprio un gesto da rottamatore.
PACCO DI CAMORRA
Ha fatto discutere, per esempio, la scelta di promuovere per l'anniversario della morte di don Peppino Diana un'incontro nelle scuole sulla dieta mediterranea. «Anche questo è un modo per parlare di legalità» va ripetendo De Rosa. Qualcuno però ha criticato l'iniziativa. Normale dissenso democratico. Eppure chi ha espresso il suo disappunto, come Sandro Ruotolo, è stato indicato come il nemico del paese: «La nostra comunità ha subito un attacco dal giornalista che nei giorni scorsi ha scritto che da noi si respira un aria di paure e pesantezza».
Qualche giorno prima della lezione sulla “Dieta”, però, è accaduto un fatto gravissimo. L'aria si è fatta irrespirabile. Il clima greve. «Un episodio senza precedenti» racconta Pasquale Cirillo, referenti di Libera Casapesenna. Nel tardo pomeriggio di domenica 13 marzo, a Orlando, un ingegnere militante dell'associazione, viene recapitato un pacco di polistirolo bianco, di quelli utilizzati dai caseifici per la mozzarella. Era stato consegnato a mano alla madre da un figuro col cappellino ripreso dalle telecamere della zona.
Orlando intuisce fin da subito che quello non è un regalo amichevole. E chiama i carabinieri. Quando gli agenti aprono il “regalo” trovano una testa di agnello, interiora, zampe di maiale, una pistola e un caricatore con tre proiettili. L'intimidazione è avvenuta il giorno dopo l'incontro organizzato dal presidio di Libera per dare la solidarietà al cronista Ruotolo, che era presente.
Tra minacce a giornalisti e magistrati, teste d'agnello e proiettili, sindaci nuovi e vecchi indagati per camorra, il rinnovamento a Casapesenna sembra un orizzonte molto distante. Se poi si allarga la prospettiva e si mette a fuoco il territorio complessivo, preoccupano le nuove leve dei clan Schiavone e Bidognetti. Nuove leve che si muovono sul territorio sconfindando fino al basso Lazio. Non hanno rinunciato ai loro spazi. Quasi come ai vecchi tempi. Sulle orme dei padri-padrini.
Tratto da: espresso.repubblica.it