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di Giulia Zuddas*
Riportiamo di seguito un estratto della tesi di laurea sul caso Moro di una giovane studentessa sarda (in fondo all’articolo è possibile scaricare il file integrale del documento).
Capitolo 1
Aspetti giornalistici
1.1 Il menabò
Quando si dice che l’occhio vuole la sua parte si fa riferimento a tutti quei processi mentali con i quali il nostro cervello lavora, soprattutto in maniera inconscia, di fronte a una immagine o anche più semplicemente a un testo. Nel caso del giornale, e più in particolare della prima pagina che fa un po’ da vetrina a ciò che segue nelle pagine interne, nulla viene lasciato al caso. Il disegno di ogni pagina è frutto di un accurato e meticoloso lavoro di analisi che non si basa solo sui contenuti.
Fondamentale, al di là di ciò che comunica un articolo, è come lo comunica. L’occhio, durante la lettura, ha bisogno di essere guidato, accompagnato. Ed è qui che il progetto grafico nasce e prende forma, prendendo il nome di “menabò”: una parola curiosa, che affonda le sue origini nel linguaggio agricolo, andando a indicare, in maniera poi del tutto simbolica, l’azione di menare i buoi, e di tracciare, perciò, un percorso che nel linguaggio giornalistico diventa l’impaginazione delle diverse sezioni del giornale.
Il menabò dei quotidiani a lenzuolo (le cui misure generalmente corrispondono ai 40 cm x 58 cm) rispetta tendenzialmente delle strutture molto simili, che vedono l’apertura come grande protagonista del giorno, l’articolo di fondo come voce morale su un argomento caldo della settimana, la spalla e il taglio basso con notizie di secondaria importanza, con tanto di grafici, strilli e balconi che danno un assaggio di notizia da assaporare poi all’interno.
Quando avvengono fatti eccezionali però, come attentati, scandali finanziari o politici, omicidi o scomparse di personaggi famosi, il menabò cambia. L’aspetto eterogeneo delle notizie in prima pagina lascia spazio alla monotematicità, sempre a seconda della gravità del caso affrontato.
Il sequestro di Aldo Moro fu un caso di altissima drammaticità, culmine di una situazione di crisi sociale e politica ormai esasperata. Dal giorno del rapimento, il 16 marzo 1978, fino alla settimana seguente al ritrovamento del cadavere, avvenuto il 9 maggio dello stesso anno, il progetto grafico dei principali quotidiani italiani dell’epoca, subì dei drastici cambiamenti. Non furono da meno La Stampa e il Corriere della Sera, che sembrarono gridare la gravità dei fatti raccontati, innanzitutto attraverso l’impianto grafico del giornale.
I momenti di più forte tensione del periodo sono state chiaramente le due date sopracitate, quando entrambi i giornali hanno dedicato ben nove pagine al sequestro dell’allora presidente della Democrazia Cristiana. Le fotografie sono entrate prepotentemente a completare l’impronta emotiva dei titoli, dando forma al livello di tragicità dell’evento.
Per 55 giorni La Stampa e il Corriere della Sera hanno smembrato la struttura del giornale per dare un ruolo in primo piano al sequestro dell’onorevole Moro. Nei giorni successivi al ritrovamento i contenuti inerenti si sono esauriti nelle successive due, tre pagine, lasciando poi spazio alle notizie di cronaca nazionale, di politica e di cultura. Proprio la cultura, regina per molto tempo della terza pagina, se ne è riappropriata solo nei giorni di più totale stallo, all’incirca nei primi dieci giorni dell’aprile del ’78, quando trattative e comunicati delle Brigate Rosse sembravano essere avvolti da una coltre di silenzio. Sempre durante questi giorni di scarsità di novità, le prime pagine di entrambi i quotidiani (in particolar modo La Stampa) hanno lasciato spazio, soprattutto nelle spalle e nei tagli bassi, a notizie di politica estera e nazionale.
Perciò, è importante notare come entrambi i quotidiani analizzati, abbiano deciso di conferire una certa importanza alla notizia attraverso soprattutto l’impaginazione, andando così a valorizzare due aspetti fondamentali. Il primo è quello della modifica corpo dei titoli e all’ingente aumento delle foto, che di per sé costituiscono due avvenimenti speciali; il secondo è quello che si è riversato sul piano dei contenuti, più che della forma, ponendo decisamente in secondo piano le altre notizie, e dedicando totalmente (o semitotalmente) la prima e talvolta la seconda pagina del giornale al sequestro, in quei drammatici 55 giorni.
In conclusione, si può dire che sia La Stampa che il Corriere della Sera hanno, nei due mesi di cronaca per il sequestro dell’onorevole Moro, hanno utilizzato uno schema di impaginazione a libro, prediligendo perciò una andatura di tipo verticale, nonostante si parlasse all’interno di una stessa pagina del medesimo argomento. Oggi, lo stesso argomento dagli stessi giornali, verrebbe probabilmente trattato secondo uno schema a stella (con un articolo centrale e altri mini articoli attorno di approfondimento) o uno schema a schermo che, con l’ausilio delle immagini a colori, conferisce una certa continuità tra i vari articoli disposti su due pagine adiacenti.
1.2 Le diverse forme di articolo
Ogni articolo, soprattutto in prima pagina, ha una posizione ben precisa. Generalmente la divisione avviene in taglio alto, medio e basso, situati a partire dal di sotto del nome della testata.Quasi quaranta anni fa, all’epoca del sequestro Moro, erano evidenti alcune differenze. L’andatura seguiva un incalzare di tipo verticale, molto simmetrica, dove le colonne erano rigidamente allineate. Certo, lo sforzo di lettura richiesto era senz’altro maggiore rispetto a quello impiegato nei quotidiani moderni, ma questo non impediva una efficiente circolazione delle notizie.
La Stampa degli anni Settanta si presentava così: il nome della testata al centro in alto, un breve sunto con indirizzi e costi del giornale, e due strilli ai lati di una dozzina di parole che rimandavano ad argomenti da approfondire all’interno; l’apertura, contenente la notizia più importante del giorno, perfettamente allineata da due colonne ai lati. Una, a sinistra, è l’articolo di fondo (o editoriale), curato in genere dal direttore, o da un politico, o da un intellettuale, non è altro che una riflessione sull’argomento del giorno parecchio connotativa; l’altra, a destra, chiamata spalla: in genere di carattere più informativo che emotivo. Nel taglio basso, poi, alcuni articoli di modesta grandezza, e spesso il corsivo, chiamato così per il font utilizzato nella stesura: in genere un commento, una riflessione del giorno.
Nei 55 giorni di cronaca incessante sul caso di Aldo Moro, per quanto l’impaginazione dei quotidiani presi in esame abbia subito delle modifiche e così, ovviamente, anche i contenuti, l’articolo di fondo e la spalla hanno cercato ogni giorno di ritagliarsi il loro spazio. Certo, a differenza dei giorni di quiete (quando non avvengono fatti eclatanti e drammatici) nei quali gli argomenti spaziano ampiamente, durante gli stati di emergenza il tema di ogni parte della prima pagina diventa uno. Così è stato dal 17 marzo, giorno in cui è stata lanciata la notizia, fino a qualche settimana dopo il ritrovamento, non oltre il 20 maggio. La Stampa ha dimostrato un’ottima capacità di cronaca, precisa e dettagliata, mai ripetitiva, dove le notizie -sistematicamente rielaborate dalle agenzie- sono state integrate da interviste, ipotesi, riflessioni di intellettuali e statistiche. Il quotidiano ha seguito giorno per giorno il caso su ogni fronte, ponendo in primo piano la cronaca del sequestro, seguendo poi le mosse politiche del governo, concentrandosi, non da meno, sulle reazioni del popolo, tra fabbriche e scioperi, e lasciando infine spazio e rispetto al dolore della famiglia Moro. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale, parliamo di un precetto che poco appartiene al giornalismo d’oggi, poiché gran parte della testate viola l’intimità del dolore, sbattendo in prima pagina quello prima ancora che le notizia in sé. La Stampa si è preoccupata anche di tenere aggiornato il lettore, creando una sorta di continuità tra un numero e l’altro, riassumendo, di tanto in tanto, il numero di attentati fino ad allora avvenuti per mano delle Brigate Rosse.
C’è da notare un particolare: La Stampa, molto più rispetto al Corriere della Sera, ha lasciato spazio in prima e seconda pagina a notizie non aventi a che fare con il caso Moro. La sua è stata una cronaca assidua e dettagliata, pur cercando, però, di lasciare il lettore legato in qualche modo alla realtà. Un fattore determinante nella riduzione dello spazio dedicato a Moro dopo la sua morte è stata senz’altro la necessità di affrontare il tema delle elezioni. A partire, infatti, da pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere del presidente della DC, la politica ha fatto irruzione in prima pagina e La Stampa ha rilegato approfondimenti e riflessioni sul sequestro nelle pagine più interne al giornale. Non c’è da stupirsi né da fargliene una colpa, il mondo che va avanti si riflette innanzitutto in un quotidiano.
C’è da fare un’ultima riflessione a riguardo. Essendo la redazione de La Stampa ubicata a Torino, la testata si è occupata da vicino degli avvenimenti, sempre legati alle Brigate rosse, che hanno visto come protagonista la regione piemontese. Tra questi, l’agguato all’ex sindaco della democrazia cristiana Picco. In questo modo ha così garantito una denuncia a 360 gradi, senza guardare in faccia istituzioni o partiti politici. Un po’ come ha fatto il Corriere della Sera, concentrato più su Milano, per ovvi motivi.
Comparando il Corriere della Sera con La Stampa non saltano all’occhio eccessive differenze formali e tecniche. Il nome della testata milanese percorre tutta la fascia alta del foglio, completata al di sotto con una sorta di sommario che elenca gli indirizzi utili e i costi di eventuali abbonamenti.
L’andatura verticale si apre, anche in un momento di crisi come quello preso in analisi, con l’articolo di fondo sulla sinistra, l’apertura leggermente ridotta poiché completata da diversi articoli nel taglio basso, e la spalla spesso bipartita su due colonne. Nei due mesi presi sotto esame, il menabò ha subito, sì, delle modifiche, ma anche in questo caso più sul piano dei contenuti.
L’uso dei trafiletti di separazione verticali, oltre che i soliti di separazione orizzontale, conferiscono più leggibilità e ordine all’intero gruppo di articoli, in particolare modo in seconda e terza pagina, dove le notizie si affollano senza troppo criterio. Motivo di ordine sono anche le civette, o strilli, posti in prima pagina che danno un assaggio delle notizie che verranno poi riprese nelle pagine indicate. Durante i giorni del sequestro Moro, queste sono state tra le pochissime “infiltrazioni” esterne al caso che compaiono in prima pagine, salvo anche stavolta il caso della legge sull’aborto e delle elezioni di maggio.In un periodo di tensione, come il sequestro di un uomo politico di spicco e con la tenuta sotto scacco dello Stato da parte dei terroristi, il Corriere della Sera ha saputo portare avanti un eccellente lavoro di reportage, e questo è stato possibile anche grazie all’uso intelligente fatto delle fotografie e dei disegni fatti a mano (aspetto che verrà approfondito nei prossimi paragrafi). La testata ha assicurato al lettore una cronaca precisa, limpida, un lavoro efficace di ricostruzione, senza lasciare nulla al caso o alla supposizione. Ogni ipotesi è stata verificata, attraverso interviste e approfondimenti, per garantire una ricostruzione dei fatti lineare. Un lavoro al servizio del lettore, arricchito da riflessioni e commenti di intellettuali e studiosi, oltre che dagli articoli di fondo di forte impatto emotivo. Brillanti, connotativi, spietati: gli editoriali del Corriere della Sera hanno dato voce alle emozioni che un periodo di tensione come quello del terrorismo delle Brigate rosse ha suscitato negli italiani.
Fondamenti della linea seguita dal Corriere della Sera sono il rispetto per il dolore e il riconoscimento del ruolo etico dei mass media di fronte un evento così drammatico e universale. A quest’ultimo riguardo, infatti, dedica più volte dei pezzi, come per esempio: “Il difficile equilibrio di chi deve informare”, un articolo in seconda pagina del 22 marzo, sul quale Gastone Alecci e Lietta Tornabuoni costruiscono una serie di riflessioni di primaria importanza sulle responsabilità sociali e morali di chi scrive su questioni delicate come terrorismo.
Anche nei periodi di così detto stallo delle informazioni, soprattutto nella prima e nella seconda settimana di aprile del 1978, il Corriere della Sera ha tracciato un filo di continuità per far sì che la notizia del sequestro, e ancora il terrorismo di per sé, non venissero relegati del dimenticatoio, approfittandone per proporre interviste e riflessioni a freddo. Il contenuto dei pezzi passa attraverso i titoli che non risparmiano aggettivi e avverbi connotativi, ma anche anzi denotano una limpida presa di posizione di fronte al terrorismo. Appuntamento fisso, sempre a proposito di riflessioni cariche di pathos, con diverse rubriche tra cui “Strettamente personale”, spesso firmata da nomi illustri come Enzo Biagi, la cui parola avrà degli importanti effetti sociolinguistici che analizzeremo nel prossimo capitolo.
* Tesi di laurea di Giulia Zuddas - Relatore: prof. Marco Pignotti
Università degli studi di Cagliari - Facoltà di studi umanistici (corso di laurea in lingue e comunicazione)
Scarica la tesi integrale (PDF): Il caso Moro - Il ruolo della stampa