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reggio calabria panorama 2di Nerina Gatti*
Ieri a Reggio Calabria, e per l'Italia intera anche se ancora non lo sa, non è stata una giornata come un'altra, c'erano posti di blocco ovunque e dall'alba gli elicotteri sorvolano l'intera città.
Ieri, a Reggio Calabria, magistratura e Guardia di Finanza hanno finalmente strappato il velo dagli occhi a quella parte di città che ancora si ostinava a non voler né vedere né sapere la verità.
L'arresto dell'avvocato Paolo Romeo può segnare una svolta storica per la città e avrà ripercussione in tutto il Paese.
Gli intrecci, gli interessi e i rapporti dell' avvocato ed ex parlamentare sono di una portata tale che il sisma che è partito ieri dalla Calabria farà tremare fino alle fondamenta una rete di insospettabili che per anni hanno tratto beneficio dai rapporti con l'avvocato, già arrestato e condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa con la potentissima cosca dei De Stefano.

LA LOBBY SEGRETA
Dopo l'arresto dell'avvocato Giorgio De Stefano, pochi mesi fa, capo dell'omonima cosca, oggi è crollata la facciata dell'altra eminenza grigia che dalla città in punta allo Stivale, per decenni ha co-gestito una potentissima e segreta lobby ndranghetista-massonica-politica che ha influenzato le sorti del Paese. Insieme all'avvocato Romeo, tra fermati e indagati si delineano i contorni dell'area d'influenza e convergenza dei poteri di questa associazione criminale.
Dall'ex magistrato di Cassazione Giuseppe Tuccio al Presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, da uno dei principi del Foro reggino, Antonio Marra, fino al parroco di San Luca, Don Pino Strangio nonché rettore del Santuario di Polsi, luogo dove un tempo i capi clan si riunivano per decidere le strategie.
Non si tratta, come cercheranno di farci credere in tanti, di un evento a carattere locale. L'influenza di Romeo, di De Stefano e di altri nomi di insospettabili che ancora non sono emersi, è ben documentata da innumerevoli racconti di pentiti, da indagini di varie procure, quasi tutte poi "stranamente" archiviate o omissate e in pochi e temerari resoconti di una manciata di giornalisti che non si sono fatti lusingare o corrompere dai favori né intimidire dalle minacce.
L'indagine di oggi si chiama "Fata Morgana" che è anche il nome di un fenomeno ottico che si osserva nello Stretto di Messina, il pezzo di mare tra Reggio Calabria e la Sicilia. Si tratta di una forma insolita di miraggio che distorce gli oggetti.
Il riferimento è alla figura della Fata Morgana, che nella mitologia celtica, induceva nei marinai visioni fantastiche per attirarli e poi condurli alla morte.
Reggio Calabria, e l'Italia intera in verità, è stata per anni vittima di questo miraggio.
Ora è arrivata l'ora di spalancare bene gli occhi.

LA SVOLTA CON L'INDAGINE META
D'altronde a Reggio Calabria, quindi di seguito in tutta Italia, c'è stato un'evento che ha fatto da spartiacque tra la vecchia concezione della 'ndrangheta e un livello superiore che della vecchia 'ndrangheta non ha quasi più nulla. Si tratta dell'indagine denominata Meta, iniziata per catturare uno dei capi più potenti, ossia l'uomo detto "il Supremo": Pasquale Condello.
Ma oltre all’arresto di Condello, le risultanze investigative sono riuscite a dimostrare come le cosche più potenti si fossero unite a formare “un direttorio che governa la struttura visibile della ‘ndrangheta in un sistema criminale in parte occulto”.
A coordinare le indagini era un giovane magistrato di nome Giuseppe Lombardo, lo stesso che ha gestito l'inchiesta Fata Morgana.
Al processo Meta il pm Lombardo ha chiuso la sua requisitoria con queste parole: ”Da qui bisogna ripartire per far emergere ulteriori verità sul sistema criminale che ha condizionato la vita civile e democratica di Reggio Calabria. La ‘ndrangheta non finisce qui, manca ancora la metà che decide e si veste con abiti da cerimonia e frequenta ambienti dove gli abiti da lavoro non sono ammessi.” Un errore, Lombardo e gli investigatori della sezione anticrimine di Reggio Calabria, all'epoca guidati dal tenente colonnello Valerio Giardina, l'avevano commesso però: "...abbiamo fatto un errore, di battitura. L’indagine non doveva chiamarsi Meta ma Metà”.
All' epoca erano in tanti ad aspettare di sapere chi fossero gli invisibili che si nascondevano dietro l’altra metà.

LE PAROLE PREMONITRICI DEL PROCURATORE
Lo stesso procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, già a maggio di 2 anni fa dopo la sentenza del processo Meta, ci aveva assicurato che era l’intenzione del suo ufficio di andare avanti. “Le indagini vanno oltre, non si fermano”, dichiarava Cafiero de Raho. “La sentenza Meta, come per reati diversi lo è stata la condanna del governatore della regione Giuseppe Scopelliti - continua il procuratore - sono segnali importanti nell’ambito di un panorama di una giustizia forte anche nei confronti dei potenti. Questi risultati dimostrano che non ci sono più intoccabili. Deve essere chiaro che la giustizia si muove in modo uguale nei confronti di chiunque. Non ci sono più sacche di impunità.”
E da quello che si sussurra negli uffici blindati della procura Reggina le sorprese non sono ancora finite. Alla lista degli arrestati e degli indagati di oggi si aggiungeranno altri nomi.
Il miraggio è finito.

*Dal mio pezzo per lanotiziagiornale.it

Tratto da:
facebook.com/nerina.gatti.5/posts/10154235210377375

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