Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

gulotta avvocatidi Alessandro Fulloni
L’ex calciatore della Fiorentina e il sostegno a Giuseppe Gulotta che trascorse 36 anni (di cui 24 in carcere) ingiustamente accusato dell’omicidio di due carabinieri
L’ultimo aiuto, in ordine cronologico, a Giuseppe Gulotta, ex ergastolano ingiustamente detenuto per 24 anni con l’accusa, rivelatasi falsa, di avere ucciso due carabinieri, è arrivato da Moreno Roggi, indimenticabile ex terzino della Fiorentina il cui futuro nella nazionale — il ct era Bernardini, «Zoff, Rocca, Roggi...» — e nel calcio venne azzoppato nel 1976 da un grave infortunio. Il suo nome è legato all’ultimo risvolto di una vicenda che racconta un incredibile errore giudiziario determinato da un’indagine che vide una confessione estorta dai carabinieri. A suon di botte. Il protagonista è un siciliano di 58 anni, «Pippo», nato ad Alcamo Marina, nel Trapanese, padre di un ragazzo di 28 anni, nonno di un bimbo di 6. E marito di una donna che da un precedente matrimonio aveva avuto altri tre figli, ognuno con prole. «Una famiglia allargata, anzi allargatissima» dice Giuseppe Gulotta. Il suo calvario giudiziario comincia il 26 gennaio 1976, quando in una stanza della stazione dei carabinieri di Alcamo vennero trovati cadaveri due militari diciottenni, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Crivellati di colpi mentre dormivano da qualcuno entrato aprendo la porta blindata con la fiamma ossidrica. Chi li ammazzò, fuggì con le loro pistole Beretta di ordinanza.

Le indagini: terrorismo, pista anarchica e mafia
Le indagini mettono subito nel frullatore terrorismo rosso — le Brigate rosse smentiscono la responsabilità con un volantino —, pista anarchica e mafia. Ne parla anche Peppino Impastato, al microfono della sua radio privata. Un avvertimento allo Stato, grida. Pochi giorni dopo il duplice omicidio i carabinieri fermano un diciannovenne di Alcamo, Giuseppe Vesco, detto «Peppe ‘u pazzo». Aria naif, vagheggia di anarchia e rivoluzione con gli amici del bar. Nella sua auto, una Fiat 127, vengono trovate due pistole, una delle quali è una calibro 9 come quella dei carabinieri uccisi. «Peppe ‘u pazzo» confessa i nomi dei complici, altri ragazzi del paese, inseparabili amici tra di loro. Ma per parlare, si scoprirà molto dopo, lo torturano di brutto. Tra quelli accusati da Vesco c’è anche Gulotta, arrestato il 12 febbraio di 36 anni fa. Anche per lui confessione estorta dopo botte, scariche elettriche sui genitali e una specie di waterboarding. Come può, urla la sua innocenza a tutti i magistrati che incontra, ma nessuno gli crede. Intanto si fa due anni dentro, in attesa di giudizio.

L’accusatore muore suicida in carcere
Vesco, nell’ottobre del ’76, muore suicida in carcere. Nel frattempo il processo per la strage decolla. Un iter assai lungo e contorto: il primo capitolo l’aveva scritto la Corte d’Assise di Trapani che aveva assolto l’imputato. La Corte d’Assise di Palermo però, ribalta il verdetto e condanna Pippo all’ergastolo. I legali ricorrono in Cassazione che annulla questa condanna e trasferisce gli atti nuovamente a Palermo, ad altra sezione. Ancora una sentenza, ancora un ergastolo. Stessa decisione presa poi dalle Corti d’Appello di Caltanissetta e Catania, investite da altri rinvii trasmessi dalla Cassazione. Nel 1990 la sentenza diventa definitiva. A questo punto Pippo — che si è stabilito a Certaldo (provincia di Firenze) perché inizialmente venne sottoposto al divieto di dimora in Sicilia e fa il piastrellista grazie all’aiuto di alcuni parenti in Toscana — entra in carcere. Adesso racconta: «Scappare? Avrei potuto (come fecero altri accusati, ndr). Ma non ho voluto. “Beh vado in prigione”, mi dissi. In cella vivevo unicamente di speranza». Detenuto modello, un periodo anche in libertà vigilata.

Il colpo di scena arriva nel 2007
Il colpo di scena arriva nel 2007, quando uno dei carabinieri che trent’anni prima partecipò alle indagini si presenta ai giudici. Un tarlo gli consuma la coscienza. L’ex brigadiere si chiama Renato Olino, all’epoca era in servizio al reparto antiterrorismo di Napoli. A verbale fa alcune ammissioni. In particolare racconta che ci furono dei «metodi persuasivi eccessivi» per far parlare Vesco. Il pentito Vincenzo Calcara in un altro procedimento dichiarò di aver appreso in carcere dell’estraneità alla strage di Gulotta. Processo riaperto. Il 13 febbraio 2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria assolve Pippo — assistito dagli avvocati Baldassarre Lauria e Pardo Cellini — con formula piena. Gulotta e Olino si incrociano in aula. L’ex brigadiere gli si avvicina, gli chiede scusa «anche a nome di altri miei colleghi». «Sulle prime restai interdetto — è il ricordo dell’ex ergastolano innocente — e poi lo ringraziai. Senza di lui sarei ancora dentro».

Roggi: «M’è venuta voglia di conoscerlo»
Il piastrellista di Alcamo in questo periodo non se la passa bene. Nel corso delle vicissitudini giudiziarie ha perso il lavoro. Spera nell’indennizzo (ha chiesto 56 milioni di euro) che vorrebbe dallo Stato. Risarcimento per niente scontato, oltre al fatto che la sentenza tarda ad arrivare. Gulotta vive di aiuti, quelli che arrivano dalla Caritas diocesana di Firenze come ha scritto qualche giorno fa La Nazione che lo ha incontrato. Un articolo letto da Moreno Roggi, inesauribile motore dell’associazione «Glorie Viola» che si occupa di beneficenza. «M’è venuta voglia di conoscere quell’uomo. Siamo andati a pranzo insieme a Certaldo — spiega l’ex terzino della Fiorentina, oggi procuratore —. È sereno, tranquillo, vittima due volte di un’ingiustizia: la prima lo ha visto portare sulle spalle un’ingiusta accusa per 36 anni. La seconda riguarda il risarcimento, chissà se glielo daranno mai». Le «Glorie Viola», assieme a Chiantibanca e Caritas, hanno così staccato un assegno da 2 mila euro a favore di Pippo. Ma Roggi scuote la testa. «Non è nulla, rispetto alla parte più importante della sua vita che gli hanno rubato...». Intanto la procura di Trapani ha aperto un nuovo fascicolo. C’è da scoprire il nome degli assassini dei carabinieri Apuzzo e Falcetta, ancora sconosciuto dopo 40 anni.

(Era il 13 febbraio 1976 quando la vita di Pippo Gulotta, allora 19 anni, venne stravolta per l’ingiusto arresto ad Alcamo. Addio libertà. Ed era Ferragosto, ancora del 1976, quando il ginocchio di Moreno Roggi, allora 22 anni, fece crac in un’amichevole a Viareggio. Addio al sogno del calcio. Storie «parallele» che si sono incrociate pochi giorni fa al tavolo di quella trattoria a Certaldo. L’ex viola sospira: «Come dico sempre, la mia vita è stata da cento ori, ed è andata molto bene lo stesso. Certe storie che ascolti semmai ti aiutano a capire quanto il tuo bicchiere sia da considerare mezzo pieno. Anzi, tutto pieno»)

Tratto da: corriere.it

In foto: Giuseppe Gulotta tra gli avvocati Baldassare Lauria, a destra, e Pardo Cellini durante la lettura della sentenza (13 febbraio 2012) che lo ha scagionato a Reggio Calabria (Ansa)

ARTICOLI CORRELATI

"ALKAMAR", il libro di Giuseppe Gulotta e Nicola Biondo (Video)

“Una vita in carcere da innocente”: la storia di Giuseppe Gulotta

La strage di Alcamo Marina. Assolto dopo 33 anni, ma è morto

ALKAMAR. La mia vita in carcere da innocente

Ti potrebbe interessare...

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos