di Michele Gemma
Faccia sofferente, di chi è stato abbandonato; sguardo fiero, di chi sa di aver fatto la cosa giusta e con dignità tenta di risollevarsi. Sulla pelle, sul collo, sotto l’orecchio destro fin sulla spalla, la scritta “619” ad indicare l’eterna appartenenza al cartello dei narcos spagnoli di Santiago de Compostela, una delle più grandi organizzazioni di spaccio internazionale di droga capeggiata dal boss Elías Piñeiro Fernandez. La sua professione è quella di meccanico navale (praticamente un genio delle barche, persino l’ex presidente degli Sati Uniti d’America George Bush gli ha fatto i complimenti), lo Stato, la Polizia italiana lo ha arruolato per infiltrarlo nei narcos. Unico caso in Italia di un civile infiltrato. È la pazza storia di Gianfranco Franciosi “per gli amici Gianni”. Balzata agli onori della cronaca grazie ai servizi mandati in onda nelle trasmissioni Presadiretta e le Iene. Successivamente la storia del 36enne di Bocca di Magra, piccolo paesino in provincia di La Spezia, è diventata di interesse internazionale dopo l’ampio articolo che gli ha dedicato il settimanale statunitense Time dal titolo “Italy’s Donnie Brasco Finds the Government Can’t Protect Him from The Mafia” e il lungo servizio della televisione francese CanalPlus intitolato “L’homme qui a infiltré les narcotrafiquants”.
Dopo aver fatto sequestrare 12 tonnellate di cocaina purissima, fatto arrestare 18 componenti dell’organizzazione e con una sentenza di morte sulla testa emanata dal boss Elias dovrebbe essere per tutti un eroe nazionale invece deve fare i conti con processi penali per reati che lo Stato gli ha fatto commettere e con i debiti che Equitalia, puntualmente, gli ricorda. Dopo essere stato scaricato dallo Stato ha deciso di rendere pubblica la sua storia con una libro scritto a quattro mani con l’inviato di Presadiretta Federico Ruffo dal titolo “Gli orologi del diavolo”. Ed è grazie al libro ed alla cena culturale organizzata dai Laboratori Urbani di San Giovanni Rotondo ed all’enoteca Opuswine, nell’evento Librando, che Gianni si trova nella città di San Pio.
Arriva a circa due ore dall’inizio della cena culturale, con lui l’inseparabile Debora: sua moglie. Sono stanchi, hanno percorso tutto d’un fiato oltre 1000 chilometri. Una sola sosta per fumare una sigaretta, la prima fermata della loro auto è viale Kennedy, caserma dei carabinieri di San Giovanni Rotondo. “Devo far mettere un timbro e arrivo”, dice al telefono Gianni. “Vi seguo”, facciamo da scorta, lo accompagniamo in un hotel del posto a pochi metri dal santuario del fraticello con le stimmate. “Qualche minuto, il tempo di una rinfrescata e torniamo giù” dice sorridendo il testimone di Giustizia. “La prima cosa che dobbiamo fare domani mattina è andare nel santuario”, gli ricorda la moglie devotissima di Padre Pio. La sua simpatia è contagiosa, non sembra uno che ha visto più volte la morte in faccia, come nei 7 mesi e 22 giorni trascorsi nel carcere di massima sicurezza francese con terroristi, camorristi e n’dranghetisti. Sembra conoscere quasi perfettamente il futuro: “Sono un morto che cammina, devo solo capire come rinviare il più tardi possibile questo appuntamento. Devo farlo per ricostruire un progetto di vita da lasciare a chi mi è stato vicino in tutto questo tempo”, ripete Gianni guardando fisso negli occhi Debora seduta di fronte a lui. Era li lì per ripartire, le sue barche dovevano essere esposte al salone nautico di Genova, poi il 18 settembre l’incendio doloso che ha distrutto tutto, in tutti i sensi: “Dopo aver preso una parte dei soldi che mi spettavano,63mila euro su oltre 450mila, ho riaperto il mio cantiere e ripreso a costruire barche. Stavamo iniziando ad intravedere una nuova ripartenza. L’incendio ci ha tagliato le gambe. Anche in quell’occasione ho dovuto dimostrare che si è trattato di un evento doloso. Per lo Stato, per chi lo rappresenta, era stato un cortocircuito”. Adesso è senza lavoro, unitamente ad altri testimoni di Giustizia sta portando avanti la battaglia per un reinserimento sociale e lavorativo di chi ha deciso di testimoniare contro le organizzazioni criminali: “Stiamo avendo segnali positivi su questo fronte. Ho fatto richiesta per entrare nella Dia e nel Sismi, pare che dovrebbe esserci una risposta positiva”, ride e mi domanda: “Sarà forse perché sanno che io potrei rifiutare e continuare a fare quello che ho sempre fatto, cioè il meccanico”, continua a ridere. La sua storia, pian piano, grazie a diversi servizi giornalistici e al libro sta diventando sempre più di dominio pubblico, entrando nelle scuole con incontri mirati. Insomma sta diventando un insegnamento anche di vita che qualcuno potrebbe anche emulare: “Conviene ragionarci e non fare come ho fatto io - spiega Gianni -. In quel momento, quando lo Stato ti chiede di fare una cosa non hai idea di come può andare a finire. Figurarsi pensare di essere abbandonato. Io non ho mai fatto un processo da undercover, non sono mai entrato in un tribunale ad indicare chi era il boss e chi i componenti dell’organizzazione. Non ne ha avuto bisogno, il mio lavoro è stato minuto per minuto monitorato grazie alla cintura che indossavo”. Non hai mai pensato di nascondere qualcosa, cocaina e soldi, da utilizzare a lavoro finito? “La tentazione è grande, in particolar modo quando ti ritrovi in un borsone con uno, due, milioni di euro. Un pagamento da effettuare ad un trafficante del quale nessuno sapeva niente. Niente telecamere, niente testimoni, niente di niente. Tutto consegnato alla Polizia. Oggi dico che sono stato scemo perché se chiedi una elargizione straordinaria al Ministero lo Stato non ti neanche risponde. Tempo congruo ti dicono, quindi decidono quello che vogliono. La Commissione ex articolo 10 (quella costituita da Falcone e Borsellino) non ha tempi di scadenza nè superiori. Basta pensare che la prima volta che Bubbico (Filippo, vice ministro degli Interno del governo Renzi) mi ha ascoltato ha detto che io sono pazzo”. Il rapporto con Elia, il boss, era diventato fraterno. Come reagiresti ad una sua chiamata: “Mi sparerei, sarebbe una molto brutta. O sparisco”. Un segreto che custodite solo tu e il boss, qualcosa che non si potrebbe raccontare? “C’è sempre qualcosa che non si può raccontare, al netto di tutte le questioni giudiziarie che sono registrate e archiviate e tante altre riportate nel libro, uno dei pochi testi che non ha ricevuto querela”. Gianni conclude la sua chiacchierata con una notizia: “La mia storia diventerà presto una fiction televisiva e un film. Sono stato contattato dalla Warner Bros”. La nuova versione di Scarface è pronta.