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napoli c luciano ferraradi Lorenzo Frigerio
Chissà cosa avrebbe scritto Giancarlo Siani, se gli fosse toccato di raccontare sulle pagine di un qualsiasi giornale lo scontro avente per oggetto il destino di Napoli e dei suoi abitanti. Una battaglia politica e dialettica, senza esclusione di colpi, tra chi sostiene che a Napoli la camorra è un fatto costitutivo della società e chi, al contrario, nega questa condanna atavica e sostiene e promuove il cambiamento in atto, preferendo evidenziare le luci e dimenticare le ombre. Mentre Rosi Bindi e Roberto Saviano da un lato e Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca dall’altro duellano dalle colonne dei quotidiani, arriva la notizia che Monica Paolino, presidente della Commissione antimafia in Consiglio regionale è indagata per voto di scambio politico elettorale di stampo mafioso. E al procuratore nazionale antimafia Roberti che invita a guardare in faccia la realtà e a rifuggire i negazionismi, rispondono i carabinieri che portano a termine un’imponente operazione nei Quartieri Spagnoli: in manette non solo boss e manovali, ma anche i titolari di alcuni esercizi commerciali con le accuse di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, traffico di stupefacenti, detenzione d’armi comuni e da guerra.

Leggendo le cronache di questi ultimi giorni, nell’approssimarsi del trentennale della scomparsa di Giancarlo Siani, giovane cronista ucciso sotto casa dai killer camorristi il 23 settembre del 1985, la prima reazione è quella dello scoramento, del pensare cioè che nulla da quel giorno crudele sia cambiato per Napoli, per la Campania, per il sud del nostro Paese.

Una Napoli che arranca e fa fatica ogni giorno, dove a prevalere sono i clan camorristici e il sistema economico sociale ad essi intimamente collegati sembra non lasciare spazio alcuno alle speranze di cambiamento. Un vero e proprio welfare mafioso/camorristico che ha preso il posto di uno Stato che non si è mai davvero materializzato e fatto concreto per gli abitanti della città nel corso dei secoli, a dispetto del cambiamento di regimi e governi.

Se Siani avesse avuto modo di occuparsene e scrivere di Napoli e della Campania oggi, saremmo in molti a sorprenderci dei suoi articoli. Nel rileggere gli articoli scritti dal 1979 al giorno della sua morte, si ricava una cifra stilistica che difficilmente lo avrebbe portato a debordare dal suo ruolo di giornalista. Non lo fece mai in quegli anni, crediamo non lo avrebbe fatto neppure oggi, anche con trent’anni di carriera alle spalle. Quella carriera che invece non fece perché arrivò a fermarlo il piombo criminale.

Gli articoli di Giancarlo Siani sono il romanzo quotidiano di una umanità dolente, alla ricerca di uno spazio di sopravvivenza e speranza. Un pensionato che muore per strada perché travolto da una moto; un medico che viene aggredito e picchiato in corsia dal marito di una donna in cinta; un preside che chiude la scuola perché mancano le condizioni igieniche minime; un ladro che finge di fare un trasloco e chiede una mano ai carabinieri che lo hanno sorpreso sul fatto; gli operai di una fabbrica che scioperano contro la perdita del posto di lavoro; una madre disperata che chiede di incarcerare il figlio per sottrarlo al destino di tossicodipendente; un anziano solo che muore in casa senza che nessuno se ne accorga; una bambina di sei mesi che termina la sua esistenza per le percosse ricevute da genitori troppo impazienti; un marito geloso che spara al rivale focoso. Sono questi i protagonisti del racconto di Siani: ad ognuna di queste storie il giovane cronista dedica una precisa ricostruzione dei fatti, lascia che siano altri a commentare anche le vicende più sordide e si astiene da qualsiasi giudizio di tipo etico e moralistico, vuole che siano le storie a far parlare di sé. Lo fa con uno stile asciutto, senza enfasi fuori luogo. Un tono minimalista che però esalta il valore di ogni parola, fa emergere il periodare ricco di particolari e denso di significato.

Questo vale tanto quando si occupa di cronaca nera, nella sua qualità di locale corrispondente de “Il Mattino” per Torre Annunziata, “una città chiusa in gabbia”, secondo una sua felice definizione, ma vale anche quando deve documentare la politica locale, descrivendo i lavori del consiglio comunale, gli scempi degli abusi edilizi e dei piani regolatori manovrati, i disastri ambientali e i danni per la salute delle persone. Mai un giudizio di troppo, mai una parola più del dovuto.

Giancarlo Siani mantiene questa cifra stilistica anche tutte le volte che affronta i grandi temi della società partenopea: il lavoro, con i numerosi resoconti delle lotte sindacali; la scuola, tra le attese degli studenti e le strutture fatiscenti loro dedicate; la droga, con il dramma della tossicodipendenza, documentato con costanza, fino all’ultimo articolo quello sui “muschilli”, mandati a vendere l’eroina da adulti troppo avidi.

Ecco siamo certi che se Giancarlo Siani avesse dovuto scrivere di quello che sta accadendo in questi giorni intorno a Napoli e al sud in genere, avrebbe rifuggito il rischio di cadere nella retorica e nel buonismo. Non avrebbe evocato palingenesi e interventi straordinari, ma si sarebbe limitato a scrivere di quanto avrebbe visto e sentito, lasciando che fossero i fatti a parlare, documentando la distanza tra la realtà e i propositi della politica. Anche se questo lo avrebbe portato ad essere etichettato come “gufo”.

Tratto da: articolo21.org

Foto © Luciano Ferrara

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