Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

battaglia-antoniadi Antonia Battaglia - 16 giugno 2015
Aveva 34 anni Alessandro Morricella, l’operaio dell’Ilva che l'8 giugno scorso è stato investito da un violento getto di ghisa bollente mentre lavorava, in uno degli impianti che erano stati posti sotto sequestro dal Giudice per le Indagini Preliminari Patrizia Todisco. Era il luglio del 2012 quando l’area a caldo dello stabilimento fu posta sotto sequestro, quando la speranza e la voglia di legalità di una città intera avevano gioito ai provvedimenti di una magistratura coraggiosa e spavalda, che aveva osato sfidare i poteri forti e le lobbies.

Alessandro ha preso fuoco, nell’Altoforno 2 (AFO/2), che, appunto sotto sequestro, avrebbe dovuto fermarsi con tutta l’area a caldo. Ma così non è stato, perché grazie alle leggi pro-Ilva che si sono succedute governo dopo governo, sia quell’impianto che le altre installazioni inquinanti hanno continuato a produrre acciaio e a causare danni alla salute umana e all’ambiente (lo dicono le perizie del Tribunale).
La FIOM, in un sopralluogo effettuato qualche giorno prima dell’incidente mortale, in quello stesso reparto, aveva rilevato che i dispositivi di raffreddamento risultavano in avaria e che altri macchinari di controllo non funzionavano correttamente. Tali rilievi, aveva dichiarato la FIOM, erano stati segnalati subito allo Spesal.
Le indagini della magistratura, in queste ore, si stanno orientando verso i reati di omicidio colposo e inosservanza delle disposizioni per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con un numero di persone coinvolte nell’indagine che sembra crescere, visto che, si apprende da fonti giornalistiche, gli inquirenti vogliono accedere agli uffici dell’Ilva, verificare gli incarichi e le deleghe operative di un’azienda in amministrazione straordinaria e quindi con una gerarchia molto complicata.
Sono stati numerosi, in questi anni, gli incidenti mortali dentro lo stabilimento. Eppure, nonostante il fatto che l’ultimo rapporto di sicurezza della fabbrica sembra risalire al 2008 (sono passati 7 anni!), gli impianti  continuano a funzionare come se nulla fosse.
Anche gli scarichi in mare non sono in regola (l’ultima diffida dell’ISPRA è del marzo 2015) e non sembra che le prescrizioni più importanti dell’AIA siano attuate, ma tutto funziona indisturbato. Senza intralci. Con eventi di slopping ormai quotidiani (durante la fase di produzione in acciaieria, i disservizi provocano una fumata di polveri rosse, che non viene aspirata in quanto mancano le cappe di aspirazione e che fuoriesce posandosi nei polmoni di operai e abitanti) e con conseguenti e conclamati effetti nefasti sulla salute e l’ambiente.
La questione delle discariche interne dello stabilimento e degli inquinanti che potrebbero essere stoccati nei siti adibiti a questo fine è stata sollevata di recente da Peacelink presso la Commissione Europea. Ma si ha l’impressione che a Taranto nulla cambi e che la situazione rimanga insopportabilmente e incredibilmente statica, nonostante le morti bianche, nonostante il processo “Ambiente Svenduto” in corso, nonostante tutte le grida di allarme lanciate dalle perizie epidemiologiche e mediche.
Quanti altri morti ci vorranno per rendere sicuro lo stabilimento e per accettare che si deve chiudere l’area a caldo, che l’Ilva di Taranto è una fabbrica obsoleta che continua a produrre accanto ad un grosso centro abitato?
Quando si accetterà che, anche laddove dovesse verificarsi la completa attuazione delle prescrizioni dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), continueranno ad esserci gravi danni per la salute umana?
Inoltre, per accertare l’efficacia dell’AIA in termini di danni ambientali e sanitari, si dovrà attendere un intervallo temporale lungo (potrebbero volerci decenni!) affinché la messa in opera delle prescrizioni sia concretizzata e resa effettiva, con conseguenti possibili modifiche e la elaborazione di potenziali nuove misure.
Cosa accade intanto nell’attesa dell’attuazione di un programma per la protezione della salute umana che sembra non attuarsi mai e i cui punti più importanti (chiusura dei parchi minerali e aspirazione dei fumi durante le fasi di lavoro, per citarne solo due) sono lontani dell’essere messi in opera?
“Tale assunto è eticamente inaccettabile, poiché convalida nei fatti un modello di ‘sanità pubblica’ in cui si osservano malattie e morti in una popolazione lasciata vivere per anni in condizioni di inquinamento ambientale noto per la sua dannosità, limitandosi a verificare un eccesso di malattie e morti per poi intervenire”, dice l’ISDE in Audizione al Senato il 21 gennaio scorso, in occasione dell’esame del disegno di legge Ilva e Sviluppo di Taranto.
Cambiare radicalmente il ciclo impiantistico e dismettere in via definitiva l’area a caldo dal ciclo produttivo o chiudere definitivamente lo stabilimento?
Lo status quo attuale è inaccettabile!

Tratto da: blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos