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acque albuledi Giuliano Girlando - 12 febbraio 2015
Nel mondo normale, una volta accertata la falsità del bilancio di un Comune, la stessa amministrazione si affretterebbe a riportarlo alla dovuta correttezza e la falsità verrebbe adeguatamente perseguita dalla magistratura. Così appare non essere, però, in quella sorta di “mondo sottosopra” rappresentato dal Comune di Tivoli e dalla Procura del posto. Ricostruiamo i fatti. Anni fa la Procura Regionale per il Lazio della Corte dei Conti aprì un procedimento nei confronti di tre sindaci del Comune di Tivoli per accertare l’esistenza, o meno, di danni erariali conseguenti al mancato o carente controllo amministrativo della gestione della società termale Acque Albule SpA, della quale il Comune di Tivoli era, all’epoca, proprietario unico. Nel corso del procedimento, conclusosi con una sentenza di condanna (N.1015/90/R), venne disposta una Consulenza Tecnica che, fra altre fonti di danno, individuò anche l’illecita, mancata appostazione nel bilancio comunale di una forte somma, dovuta dalla società al Comune. Si trattava degli interessi relativi ad un cumulo di canoni insoluti per lo sfruttamento dell’acqua termale. Un decreto ingiuntivo aveva condannato la Acque Albule a pagarli ed il perito esplicitò, inoltre, uno degli atti amministrativi di riferimento che prevedevano gli interessi in questione, quantificati, al dicembre 1996, in oltre un miliardo e trecento milioni di lire.

La sentenza venne notificata al Comune di Tivoli nel dicembre del 1999, quando l’amministrazione si stava preparando a cedere una quota di azioni della Acque Albule SpA (c.d.: privatizzazione). Però i bilanci, invece di essere riportati alla dovuta correttezza e trasparenza, vennero volutamente mantenuti inveritieri e su tale base illecita il 40% delle azioni della società termale venne intestato al gruppo Sirio Hotel, facente capo all’imprenditore Bartolomeo Terranova. Legato da rappporti di lavoro con il sindaco che soprintendeva all’operazione di cessione; quel Marco Vincenzi, attuale capogruppo DS alla Regione Lazio e, peraltro, ritenuto essere tra i responsabili dei bilanci inveritieri.
Ma il mondo del Comune di Tivoli e della locale Procura, si è rivelato ancor più e pienamente sottosopra, come detto, quando la vicenda è passata al vaglio di quest’ultima. I magistrati tiburtini non avrebbero preso in considerazione gli atti amministrativi ufficiali attestanti l’obbligatorietà dei sopraddetti, ed invece mancanti, interessi, e addirittura sono ricorsi ad un incredibile ed assurdo travisamento del contenuto, letterale e sostanziale, della sopraddetta perizia della Corte dei Conti.
La quale aveva testualmente stigmatizzato essere irregolare “l’approvazione dei bilanci di esercizio … nei quali non sono stati riportati gl’interessi … vista la deliberazione della Giunta Municipale … tali interessi ammonterebbero a lire 1.360.780.128 al 31 dicembre 1996”. Però il decreto di archiviazione della denuncia su tale falsità recita “sono soltanto indirette le considerazioni della Corte dei Conti … concernenti la mancata indicazione degli interessi …non è dato francamente ravvisare quale diretta attinenza possa avere … con la vicenda della privatizzazione della Acque Albule …” (decr. arch. pag. 9).
Da allora, i bilanci del Comune di Tivoli sono stati mantenuti inveritieri, pur nella consapevolezza diffusa della loro irregolarità. La somma che si fa mancare dalle casse comunali, oggi ammonterebbe a circa due milioni e l’attuale amministrazione, nello scorso luglio, ha dato formale mandato di verificare la liceità della situazione al Sindaco in carica. Che, però, tale verifica non ha fatto e nel frattempo è stato approvato un ulteriore bilancio comunale non veritiero.

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